PUBBLICITÁ

Un Foglio internazionale

La libertà non è una caricatura

La litania di rinunce, accomodamenti e accecamenti militanti dopo Charlie Hebdo 

PUBBLICITÁ

Questo articolo è stato pubblicato su Un Foglio internazionale, l'inserto a cura di Giulio Meotti con le segnalazioni dalla stampa estera in edicola ogni lunedì

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Questo articolo è stato pubblicato su Un Foglio internazionale, l'inserto a cura di Giulio Meotti con le segnalazioni dalla stampa estera in edicola ogni lunedì

PUBBLICITÁ

 

"Tutti Charlie, ovvio" scrive Elisabeth Lévy direttrice di Causeur. "Come l’11 gennaio 2015 e come durante ogni anniversario. Non si litiga davanti alle tombe. Il processo che si è aperto, se non sarà ‘storico’, come viene ripetuto fino alla nausea, permetterà forse di ripercorrere la litania delle rinunce, degli accomodamenti e più ancora degli accecamenti militanti che hanno preparato le funeste giornate del 7, 8 e 9 gennaio 2015, nel corso delle quali diciassette persone sono state freddamene assassinate. I colpevoli non saranno giudicati. Ma non sono usciti dal nulla. In attesa, tutta la stampa saluta la ‘copertina’ di Charlie Hebdo e la sua scelta coraggiosa di ripubblicare le caricature danesi del profeta che i fratelli Kouachi, il 7 gennaio 2015, hanno asserito di aver vendicato a colpi di kalashnikov. E applaude le parole di Riss, il direttore del settimanale: ‘Non chineremo mai la testa. Non rinunceremo mai’. Ci piacerebbe credere a questa bella unanimità, immaginare un paese intero all’unisono del coraggio di questi sopravvissuti che vivono sotto stretta sorveglianza della polizia. Ma quasi sei anni dopo l’attentato, le illusioni liriche non sono più d’attualità. Tra i difensori del giornale, regna il disincanto. ‘Chi, oggi, pubblicherebbe le caricature di Maometto? Quale giornale? In quale pièce, in quale film, in quale libro si osa criticare l’islam? Chi lo ha fatto da cinque anni a questa parte?’, si è chiesto Richard Malka, avvocato di Charlie Hebdo, sul Point del 13 agosto. Le sue parole sono un po’ ingiuste, se si pensa al numero di opere, di ‘copertine’ (comprese quelle di Causuer) e di reportage (compresi quelli dei giornalisti del Monde) che, da sei anni a questa parte, non hanno mai smesso di lanciare l’allarme, di raccontare, di denunciare. Sono state pubblicate petizioni e lettere aperte, e alcuni intellettuali sono stati giudicati per aver osato dire ciò che vedevano, per esempio che l’antisemitismo è una delle malattie dell’islam.

PUBBLICITÁ

 

Rari sono quelli che oggi oserebbero dichiarare, come ha fatto François Hollande, che i territori perduti non esistono. Eppure, la cecità militante non è sparita, si continua nell’opera di falsificazione del reale. Sappiamo e non facciamo nulla, se non dei proclami che rientrano nel rituale della rassicurazione collettiva. L’islam radicale continua il suo lavoro di influenza e di secessione, come ha riassunto Zineb El Rhazoui sul Figaro: "Ovunque venga posto lo sguardo nello spazio pubblico, si vedono manifestazioni di islamizzazione della società. Eppure, la negazione di questa realtà è ancora molto diffusa. Anche se il discorso dello stato è evoluto, i suoi atti sono ancora timidi o insufficienti dinanzi alla vastità di questa ondata di islamismo che cresce, a tal punto da diventare visibile dappertutto, in tutti gli strati della società. Nelle strade, nei luoghi chic, nei luoghi popolari, nei trasporti, nei musei, in spiaggia, nelle amministrazioni, nelle scuole, nella polizia, nell’esercito, negli ospedali, nelle università. Dappertutto".

 

PUBBLICITÁ

In questo contesto, non si può che salutare la presa di posizione di Mohammed Moussaoui, presidente del Consiglio francese del culto musulmano (Cfcm), che invita i musulmani a non reagire alla ripubblicazione delle caricature: ‘La libertà di fare delle caricature è garantita per tutti, così come la libertà di amare o di non amare queste caricature. Nulla può giustificare la violenza’. Un progresso considerevole se si pensa ai ‘sì, è sbagliato uccidere, ma è sbagliato fare delle caricature’ che avevano fatto seguito al massacro. Resta il fatto che, secondo un sondaggio realizzato per Charlie, il 18 per cento dei musulmani francesi, e il 33 per cento di coloro che hanno tra i quindici e i diciassette anni, rifiutano ancora oggi di condannare l’attentato. Ci si può rassicurare ripetendo che l’82 per cento dei musulmani, invece, rifiuta fermamente che si uccida in nome della loro religione. Ciò significa che un milione di francesi, tra cui un gran numero di giovani, trova delle scuse agli assassini dei loro compatrioti. Ma al di là di questi musulmani radicali, e dei musulmani tout court, si ha l’impressione che molti di quelli che sfilavano l’11 gennaio hanno rinunciato a difendere le nostre libertà, a cominciare da quella che forse è la più essenziale, la libertà d’espressione.

PUBBLICITÁ

   

 

PUBBLICITÁ

Emmanuel Macron ha ricordato che in Francia c’è la libertà di blasfemia. Ma l’idea secondo cui non bisogna criticare le religioni, e soprattutto una di esse, è sempre più diffusa tra i politici, i giornalisti e i credenti di ogni obbedienza. Farlo significherebbe stigmatizzare delle popolazioni già discriminate. E bisogna fare ancor meno delle caricature, perché potrebbero suscitare reazioni violente. Così, nell’affaire Mila (liceale minacciata di morte per aver criticato l’islam su Instagram, ndr), abbiamo sentito l’ex ministra della Giustizia, l’inenarrabile Nicole Belloubet, affermare che ‘insultare una religione è ovviamente una violazione della libertà di coscienza’ – prima di ritrattare. Offendere l’islam o qualsiasi altra credenza non è ovviamente un obiettivo in sé. Ma sono quelli che giudicano i musulmani incapaci di sopportare la ‘sofferenza della libertà’ (Alain Finkielkraut) i primi a offenderli. Se anche noi abbiamo scelto di pubblicare alcune di queste caricature, è per rendere omaggio a Cabu, Charb e a tutti gli altri, uccisi per le suddette caricature. Ed è ugualmente per rispetto dei nostri compatrioti musulmani, che consideriamo dei francesi a tutti gli effetti: sappiamo che possono rispettare il sacro diritto all’irriverenza.

   

Solo che, al di là della questione spinosa delle credenze, il rifiuto della divergenza e l’odio del contraddittorio diventano una norma del dibattito pubblico. Certe minoranze offese praticano l’intimidazione, su internet o fisica, per proibire le critiche nei loro confronti o per imporre la loro narrazione come una verità ufficiale. Per gran parte della sinistra, il pericolo non è l’islam radicale o la violenza crescente, sono i populisti e la loro strumentalizzazione dei nostri ‘istinti più bassi’, dixit Dupond-Moretti (attuale ministro della Giustizia, ndr). L’aspetto più triste è questa propensione all’esclusione che si propaga anche tra i difensori di Charlie e nella redazione stessa del giornale satirico, dove si tende ad ignorare che tutti i sostenitori non vengono dalla parte giusta. Alain Finkielkraut osserva che Le Monde è Charlie, ma che nel suo editoriale chiede, lo stesso giorno del processo, di mettere al bando i giornalisti di Valeurs Actuelles, rivista che Le Monde, autoproclamato arbitro delle eleganze morali, ha bollato come razzista. Il pluralismo, ecco il nemico! (…). Il 7 gennaio 2015, è la libertà che i terroristi hanno voluto assassinare. Libertà di scioccare, di contrariare, di scherzare, di essere soli contro tutti e anche di sbagliarsi. Questi appelli alla censura nel giorno in cui si apre il processo sono la loro vittoria’.

 

(Traduzione di Mauro Zanon)

 

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ