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Ho messo nell’arte il veleno della transizione. Conversazione con Achille Bonito Oliva

Con la Transavanguardia ha scardinato un sistema di concetti “puritani”. Oggi dice che la NFT art può avere futuro

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Achille Bonito Oliva (Caggiano, 1939) è uno dei più importanti critici d’arte e curatori di mostre viventi, noto soprattutto per avere scardinato il sistema dell’arte concettuale d’avanguardia (che lui definirebbe “puritano”) alla fine degli anni Settanta, introducendo la Transavanguardia, il quarto movimento artistico italiano che è riuscito nel Ventesimo secolo a “sfondare” internazionalmente (dopo Futurismo, Metafisica e Arte povera). E’ anche uno dei pochi critici d’arte che sia riuscito a combinare un lavoro teorico ed espositivo serio sull’arte con una presenza ironica, ludica e istrionica in televisione, nonché esprimere al contempo un senso del dovere al servizio della divulgazione pubblica. Fra le trasmissioni televisive ideate e condotte da Bonito Oliva: Autoritratto dell’arte contemporanea (Rai 3, 1992-1996), lo speciale Totòmodo, l’arte spiegata anche ai bambini (Rai 3, 1995), nonché Fuori quadro (Rai 3, 2014-2015). Nel maggio 2021 apre una mostra dedicata a lui al Castello di Rivoli, al quale il critico ha donato il suo magnifico archivio.
La seguente conversazione è un collage di innumerevoli visite a casa di A.B.O negli ultimi tempi.

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Achille Bonito Oliva (Caggiano, 1939) è uno dei più importanti critici d’arte e curatori di mostre viventi, noto soprattutto per avere scardinato il sistema dell’arte concettuale d’avanguardia (che lui definirebbe “puritano”) alla fine degli anni Settanta, introducendo la Transavanguardia, il quarto movimento artistico italiano che è riuscito nel Ventesimo secolo a “sfondare” internazionalmente (dopo Futurismo, Metafisica e Arte povera). E’ anche uno dei pochi critici d’arte che sia riuscito a combinare un lavoro teorico ed espositivo serio sull’arte con una presenza ironica, ludica e istrionica in televisione, nonché esprimere al contempo un senso del dovere al servizio della divulgazione pubblica. Fra le trasmissioni televisive ideate e condotte da Bonito Oliva: Autoritratto dell’arte contemporanea (Rai 3, 1992-1996), lo speciale Totòmodo, l’arte spiegata anche ai bambini (Rai 3, 1995), nonché Fuori quadro (Rai 3, 2014-2015). Nel maggio 2021 apre una mostra dedicata a lui al Castello di Rivoli, al quale il critico ha donato il suo magnifico archivio.
La seguente conversazione è un collage di innumerevoli visite a casa di A.B.O negli ultimi tempi.

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Carolyn Christov-Bakargiev: Quali sono i ricordi più vividi della tua giovinezza?

Achille Bonito Oliva: Mia madre mi ha raccontato che, chiedendomi durante l’infanzia cosa volessi fare da grande, le risposi “voglio fare il bambino”. Il mio avvicinamento alla poesia e alla lettura è di fatto una forma di ritorno all’infanzia. Ricordo che, abitando a Napoli, ogni estate trascorrevamo oltre due mesi nei palazzi di famiglia a Caggiano. Avevo modo di leggere un libro al giorno, prendendoli in prestito dalla biblioteca di mio padre e da quella di un medico condotto che risiedeva lì. A questo periodo risalgono le letture per me formative, come E adesso, pover’uomo? (1932) dello scrittore mitteleuropeo Hans Fallada, tutti i testi teatrali di Eugene O’Neill – mio padre collezionava i numeri della rivista “Sipario” – e i romanzi di Franz Kafka. (…) Mi definirei il più grande “critico morente”, prendendo in prestito una frase di Ennio Flaiano.

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C.C.B.: E da “critico morente”, quale ritieni essere il tuo contributo al pensiero artistico?

A.B.O.: Aver introdotto nell’arte una serie di “veleni”, come quello della filosofia del negativo. Posso dire di aver messo in discussione il darwinismo linguistico che attanagliava la storia dell’arte. Non esiste una successione lineare ascendente dei movimenti d’avanguardia e della modernità. I nodi critici che sottendono alla Transavanguardia si oppongono alla visione del postmoderno di Jean-François Lyotard. Con la sua teoria, Lyotard si confrontava con la modernità sviluppando un’idea catastrofica, tragica della storia. In realtà il prefisso ‘post’ implica ancora una linearità, contraddetta usando ‘trans’, che allude alla natura stessa di dinamico movimento. Il mio non è un pensiero legato esclusivamente all’arte visiva chiaramente, ma ad una visione generale delle arti. Ad esempio, Frank Gehry (Toronto, 1929) potrebbe essere considerato un transavanguardista. Con la Transavanguardia sviluppo una teoria di movimento, transizione, passaggio. Prodromo di questa formulazione è L’ideologia del traditore. Arte, maniera, manierismo (1976). È in questa pubblicazione che rivaluto la figura del traditore e la lateralità del critico, modernizzandola senza arrivare allo scontro e senza demonizzare le avanguardie, pur tuttavia sottraendo l’aura di eroicità affibbiata loro dalla storia. In fondo, mi sono sempre sentito un “eroe da camera”. Non a caso, quello che mi sostiene è l’ironia che, come affermava Goethe, è la passione che si libera in un distacco.

 

C.C.B.: Il Postmodernismo di fatto è una delle anime del Modernismo. Lo percepisco già in un artista come Giorgio de Chirico…

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A.B.O.: …ed era già presente nell’Ellenismo, che altro non è che la contaminazione dei modelli classici della Grecia attraverso un processo di espansione e apertura ad altri popoli. L’Ellenismo è l’ibridazione dell’arte greca. E così la Transavanguardia, da sempre esistita e da sempre accompagnatrice fidata della modernità. 

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C.C.B.: Accanto alla Bauhaus vi erano i Surrealisti. Di fatto, quello che tu fai è rivalutare in chiave positiva queste convivenze.

A.B.O.: Non a caso mi viene detto di essere colui che (ri)progetta il passato.

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C.C.B.: Che cos’è il museo per te, oggi, in un periodo di lockdown per la pandemia? Come può ritornare a essere vitale?

A.B.O.: Il museo è un luogo di appuntamenti, in cui l’estetica attende i visitatori. Proprio per la sua staticità, il museo infonde un’aura di sicurezza e permanenza.

C.C.B.: Attualmente a questa staticità si oppone una dinamicità economica legata a un’accelerazione numerica e digitale. E’ di pochi giorni fa la notizia che il collage digitale Everydays: The First 5,000 Days dell’artista americano Beeple – che sfrutta i cosiddetti NFT (non-fungible token) – è stato battuto all’asta da Christie’s per l’equivalente in Ethereum di 69,3 milioni di dollari. Si tratta forse di un capitolo successivo a mio parere della vendita del presunto Salvator Mundi di Leonardo, battuto all’asta nel 2017 per 450 milioni di dollari, e subito sparito dalla circolazione. 

A.B.O.: Il collezionismo e le aste che lo alimentano, a differenza dei musei, sono una forma di privatizzazione del bello. Sono il frutto di una valorizzazione dell’acquirente: il collezionista si espone e, attraverso l’acquisto, diventa famoso tanto quanto l’opera. Sebbene esso abbia storicamente garantito in parte la sussistenza agli artisti, si è rivelato essere un tentativo di possedere il bello, sottraendolo alla collettività e perciò nasconde anche un aspetto sadico. Si tratta di un processo per il quale la realtà fantasmagorica dell’opera è investita di uno statuto di valore oggettivo. In un tale contesto di dilagante mercificazione, il museo offre piuttosto alla comunità l’opportunità di usufruire di uno spazio in cui fruire del bello senza possederlo. È solo così che la società riesce a sopravvivere. Pertanto, penso che questo momento di crisi farà riavvicinare i visitatori al museo, in controtendenza con la gestione anoressica e depauperante della bellezza a cui stiamo assistendo. 

 

C.C.B.: Artisti come Beeple gravitano al di fuori del sistema artistico contemporaneo tout court ma anelano comunque all’unicità dell’immagine – forse attraverso meccanismi che potrebbero ricordare gli esperimenti della video art degli anni Sessanta, quando si sono create edizioni limitate dei video per regolare la vendita, ma dalle implicazioni finanziarie sicuramente più inquietanti.  L’esclusività del possesso dell’opera NFT, nell’infinito mare del digitale, ne determina il valore. L’uso degli NFT in campo artistico altro non è che un’azione in cui la struttura concettuale dello scambio è ciò che ha valore, non l’immagine del collage digitale scambiato. Non sono sicura che questa “forma d’arte” sarà integrata in toto all’interno del cosiddetto sistema dell’arte.

A.B.O.: Secondo me potrebbe invece esserlo. Come dicevi tu, vi sono molte affinità processuali con quella che è stata la prima video art.

C.C.B.: C’è un problema legato al valore dell’arte occidentale e al suo possibile collasso.

A.B.O.: La tradizione artistica occidentale si fonda sul riconoscimento dell’abilità tecnica. E’ attraverso la tecnica che si sviluppa il valore identitario in chi la pratica. Tuttavia, non è sempre stato così storicamente. All’inizio, gli architetti che realizzavano le cattedrali erano considerati dei semplici operai. Quando durante il Rinascimento le nozioni di autonomia e riconoscimento dell’artista hanno iniziato a prendere campo, le arti liberali sono state nobilitate dalla committenza e, su richiesta di committenti privati, si è cominciata a valorizzare l’operato del singolo autore. Con l’avvento delle avanguardie, questa attitudine ha subito ancora una volta un ribaltamento. Pensa a Marcel Duchamp che non tocca nemmeno l’opera. Piuttosto, attraverso l’azione, rinomina e si riappropria dell’oggetto artistico. Quello che intendo dire è che abbiamo già esperito momenti storici in cui la valenza concettuale dell’opera ha prevalso sulla sua materialità.

 


 
C.C.B.: Sì, da un lato mi trovo d’accordo. Dall’altro però non riesco a smettere di pensare che quello a cui stiamo assistendo attualmente sia in fondo una mera operazione numerica. Ho l’impressione di star vivendo in una società numerologica. L’attenzione è l’unico indice di valore: quanti utenti sono collegati online? Quanti followers ci stanno seguendo? Si tratta di un momento delicato per la tenuta del sistema non soltanto culturale ma soprattutto finanziario globale. Se l’attribuzione di valore alle valute correnti è compromessa dall’impennata delle quotazioni del bitcoin ed Ethereum, dalle cryptocurrency, il sistema bancario delle banche centrali potrebbe crollare. Non ci si può limitare più quindi a parlare in termini di smaterializzazione dell’opera ma si deve essere pronti ad affrontare una battaglia di numeri…sui numeri…con i numeri. I giovani artisti del mondo dell’arte contemporanea, europea e extra, sembrano seguire due tendenze. La sperimentazione di alcuni passa attraverso il bricolage e l’assemblaggio per giungere a un espressionismo materico. Quella di altri transita verso la filosofia, toccando il concettualismo. Quella di altri ancora, ad un’arte utile alla società, arte medica o arte attivista. In quest’ottica di pura vendita digitale, temo che il lavoro di tutti e tre questi ambiti rischi di valere meno di un pugno di dollari...

A.B.O.: Da un altro punto di vista, questa rivoluzione numerica può risultare interessante, in quanto demitizza il primato della tecnica. Non è necessaria nessuna abilità manuale, basta “saper contare”. L’arte assume un valore numerico spostando l’asse di interesse dalla qualità alla quantità. 


C.C.B.: In GucciFest Harry Styles dice “Ciao Achille”.
A.B.O.: E io dico “Ciao Harry”. E’ uno slogan. “Ciao Achille, ciao Harry”. Io parlo dell’arte e dico la moda veste l’umanità. L’arte la mette a nudo. E poi mi chiede della musica e io dico che la musica è un massaggio del muscolo antrofizzato della sensibilità collettiva.

C.C.B.: E Harry dice che fare l’artista è mettere al mondo una cosa che vorresti vedere ma che non hai mai visto.

A.B.O.: Ma lui è simpatico.
C.C.B.: E tu sei intelligente. 
A.B.O.: Ti ringrazio molto.

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