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il foglio arte

Piero e Pierre, due artisti su un balcone nel giorno più freddo di Los Angeles

Piero Golia

La pandemia e la scoperta della stabilità. L’altra faccia del fare arte, che è come vivere nel buio e cercare a tentoni un varco. Verso il futuro

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Per me che vivo e lavoro a casa, la routine quotidiana è scandita da grandi problemi di concentrazione che mi fanno passare da un’attività all’altra vagando nel soggiorno di casa, che ogni giorno si rimpicciolisce. I mesi passano lentamente, questo 2020 sembra eterno, ma non è fatto di quell’eternità che mi piace, che ricerco nell’arte ed a cui ho dedicata la vita, no, è l’eternità della noia e dell’incertezza. Come in una rappresentazione di Beckett, mi ritrovo a volte sull’uscio di casa sperando che si presenti un volto amico.

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Per me che vivo e lavoro a casa, la routine quotidiana è scandita da grandi problemi di concentrazione che mi fanno passare da un’attività all’altra vagando nel soggiorno di casa, che ogni giorno si rimpicciolisce. I mesi passano lentamente, questo 2020 sembra eterno, ma non è fatto di quell’eternità che mi piace, che ricerco nell’arte ed a cui ho dedicata la vita, no, è l’eternità della noia e dell’incertezza. Come in una rappresentazione di Beckett, mi ritrovo a volte sull’uscio di casa sperando che si presenti un volto amico.

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Erano appunto mesi che non ospitavo un essere umano in carne e ossa a casa mia, e quando mi ha scritto Pierre Huyghe mi sono sentito preso alla sprovvista, forse capendo per la prima volta l’assurdità della mia vita negli ultimi mesi. “Vengo a Los Angeles la prossima settimana, arrivo lunedì e riparto domenica mattina. Ci vediamo giovedì? Pierre”.

   

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Pierre è da sempre uno dei miei più cari amici. Insieme abbiamo vissuto tante avventure. La gioia di vedere un vecchio amico mi ha fatto persino abbassare il livello di guardia, e anche se sono ancora in lockdown spontaneo (perché qui a L.A. non c’è un vero e proprio confinamento obbligatorio) decido la situazione straordinaria merita un’eccezione. Mi organizzo per accoglierlo all’aperto, sul mio balcone con la vista sull’insegna di Hollywood da una parte, e il castello di Harry Potter, dall’altra. Prevedo un distanziamento fra le sedie di due metri, conforme ai dettami del dottor Fauci che io applico gioiosamente, sfruttando il grande e immenso vantaggio del sud della California: all’esterno il clima è sempre piacevole. Preparo le seggiole, il tavolino, pulisco e disinfetto, in attesa del suo arrivo.

   

Conobbi Pierre circa quindici anni fa, a New York, eravamo seduti accanto a una cena fra conoscenti in comune e da allora è nata una amicizia fatta di lunghissime chiacchierate, in cui condividiamo il desiderio di dare forma alla realtà. Una decina di anni fa addirittura lo convinsi a trasferirsi a Los Angeles per produrre insieme uno spettacolo musicale da proporre ai casinò di Las Vegas. A Vegas non ci arrivammo mai, ci fermammo letteralmente a metà strada, nel deserto di San Berardino, dove comprammo una miniera d’oro che avrebbe dovuto finanziare il nostro progetto. La miniera era vera, era nostra, ma quello che non trovammo fu l’oro. Per fortuna, altre volte invece le cose son finite meglio, come quando gli chiesi di realizzare l’acquario per il mio Chalet, l’acquario più grande che avesse mai fatto (e fino ad oggi secondo solo a quello del Metropolitan Museum di New York).

   

Finalmente arriva giovedì e mi sveglio per scoprire che avevo torto. Come dice mia madre, “con ’sto tempo non si capisce più niente”e mi trovo di fronte al giorno più freddo e grigio della storia di L.A. Ma, come dicevo, la realtà non ha mai rappresentato un ostacolo né un limite per noi. Per scrupolo rimisuro la distanza tra le sedie, siamo pronti.

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Pierre si presenta elegante, in ogni dettaglio, minimale e semplice. Nulla è lasciato al caso, ogni cosa è scelta e ricercata, come per una dottrina scientifica. Jeans e felpa grigi e mascherina abbinata. In realtà mi spiega che non è un abbinamento di colore, anzi, forse il contrario, il grigio è una scelta di “non colore”, nulla è lasciato al caso. Dove sia riuscito poi a trovare una N95 grigia questo non lo si saprà mai, ma questo è proprio il lato magico di Pierre, la perfezione dei dettagli,questo è quello che rende le sue azioni assolute, nella vita, nell’arte.

   

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Ci sediamo e il tempo inizia a scorrere velocemente, anche senza il comfort di un divano. Non ci vediamo da più di un anno, da quando lui si è trasferito in Cile per la voglia di continuare a esplorare, sempre alla ricerca, mai stanco di mettersi in gioco, lui, un verso esploratore che privilegia la scoperta alla stabilità. E proprio da lì comincia la conversazione. E lui vita, nell’arte. Ci sediamo e il tempo inizia a scorrere velocemente, anche senza il comfort di un divano. Non ci vediamo da più di un anno, da quando lui si è trasferito in Cile per la voglia di continuare a esplorare, sempre alla ricerca, mai stanco di mettersi in gioco, lui, un verso esploratore che privilegia la scoperta alla stabilità. E proprio da lì comincia la conversazione.

  

E lui, da gran narratore, racconta dei sei mesi passati in Patagonia. Mostra fotografie sul suo telefono e parla della natura magica, che cresce e si sviluppa, che si prende tutto senza l’intervento dell’uomo, che racconta la sua storia, proprio come appare nei suoi lavori, nei quali l’elemento naturale, il mondo animale, vegetale e minerale sono i motori di una nuova narrativa poetica e profonda.

   

A differenza di un pittore che cerca la verità in sé stesso, Pierre interloquisce con la realtà: si interessa a verità universali, invece di cercare in sé stesso cerca nella vita umana e nella natura forse perché è l’unico ricettacolo così grande da contenere abbastanza misteri e verità per costruire il futuro. Personalmente, penso che tutto sia cominciato ai tempi di Streamside days, nel quale Pierre interagisce con un gruppo di persone che si insedia in un centro urbano in costruzione sulle rive del fiume Hudson. Ne inventa i codici culturali, architettando dal nulla un ricco folklore fatto di cultura pop e tradizioni per celebrare la nascita della comunità. Sorge una parata, che Pierre tramuta in memoria da omaggiare ogni anno, una storia che si aggiunge alla realtà.

   

E’ forse da questo impulso che inizia il suo percorso, utilizzando in seguito la natura e i suoi abitanti come mezzo per costruire storie. Pierre è un sognatore, un po’ come l’islandese del dialogo di Leopardi. Ma lui alla semplicità dell’islandese aggiunge un’intelligenza incredibile ed impara egli stesso a dare forma alla natura. In un mondo improvvisato, dove il mercato ha preso il sopravvento sulla scoperta, ed il successo si raggiunge facendo lavori che piaceranno alla gente, è una botta di energia vedere chi come lui non si piega, e pensa che il futuro sia trasformare la realtà. Mi fa sentire meno matto.

   

In tv e nelle cronache, fare l’artista è una cosa glamour, tutti vedono le feste e le inaugurazioni, ma nessuno vede il buio. Fare arte è come vivere nel buio e cercare a tentoni un varco, è una vita complicata perché si parla il linguaggio del futuro che nessuno conosce ancora. Oggi, gli artisti hanno perso la facoltà di guidare, e in cambio di un temporaneo successo si sono conformati a proporre quello che la gente vuole, ma questo al prezzo di appiattire il mondo. Pierre al successo ha sempre preferito la perfezione. E nel caso di Pierre la perfezione diventa un linguaggio per costruire narrative, tradurlo in italiano per citarlo, sarebbe come convertire un quadro di Caravaggio in bianco e nero.

  

Al calar del sole comincia a fare freddo, eppure la conversazione continua. Faccio una pasta e zucca al volo e mangiamo coperti da sciarpe e cappotti. La luce della notte cambia il tono della conversazione. Gli mostro allora un video di questo carrellino robotico che ho visto per le strade di Hollywood e che mi ha fatto pensare a un suo lavoro. Un beta per le consegne (cioè, ti porta il cibo a casa dal ristorante). Probabilmente, con la situazione economica che c’è, questi carrelli pieni di vettovaglie verranno certamente assaltati prima di raggiungere la destinazione finale. La robotica e l’intelligenza artificiale sono le grandi passioni di Pierre. Probabilmente intesi come modelli scientifici per lo sviluppo, una sorta di versione controllata del processo di trasformazione della realtà. Quella realtà che io, ingegnere di formazione, cerco di muovere con la fisica e i gesti, lui invece entra nei processi di divenire e crescita, e li modifica con una poesia così dolce che muove la natura.

   

Ma tali gesti richiedono tempi lunghissimi, complicati da compiere in questo mondo dove l’attenzione dura un secondo. Eppure, Pierre è la dimostrazione che la realtà si misura in tempi lunghi, e quello che ne rimane è un risultato eterno. Quello che resta di importante è un lavoro incredibile, che ogni giorno si rigenera e si sviluppa, cresce con il tempo, guida la gente verso il futuro.

  

E’ quasi tempo di salutarsi, ma prima gli chiedo cosa facciamo su un balcone all’una di notte, e la sua risposta chiude la conversazione. “Arte, amico mio. Siamo qui per questo”. Arriva Uber, e Pierre scompare in una nuvola di lisoformio.

 

Piero Goli

Artista, vive a Los Angeles

 

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