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Tornare a scuola adesso è giusto o sbagliato? “Mamma, io però”

Annalena Benini

Le ragioni del picchetto, la Dad e le idee che penso di giorno e poi prendo a calci di notte

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La sera vado a dormire con le idee molto chiare, la notte litigo con me stessa e a volte mi prendo a calci, la mattina ho un vago ricordo di quel che è successo la notte, sono abbastanza tranquilla ma sento in un angolo di me, all’altezza del sopracciglio destro, un’inquietudine che durante il giorno aumenta con l’aumentare delle notizie e delle opinioni altrui: cerco di farmi strada, cerco di non annegare, cerco di ricordarmi che cosa pensavo la sera prima ma quando me lo ricordo non lo condivido più e comunque ho voglia di spaccare almeno una sedia. Poi mangio qualcosa di dolce, mi faccio una nuova opinione e mi calmo. Non mi peso, perché una volta, non sapendo cosa sfasciare, ho rotto la bilancia e ho fatto bene.

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La sera vado a dormire con le idee molto chiare, la notte litigo con me stessa e a volte mi prendo a calci, la mattina ho un vago ricordo di quel che è successo la notte, sono abbastanza tranquilla ma sento in un angolo di me, all’altezza del sopracciglio destro, un’inquietudine che durante il giorno aumenta con l’aumentare delle notizie e delle opinioni altrui: cerco di farmi strada, cerco di non annegare, cerco di ricordarmi che cosa pensavo la sera prima ma quando me lo ricordo non lo condivido più e comunque ho voglia di spaccare almeno una sedia. Poi mangio qualcosa di dolce, mi faccio una nuova opinione e mi calmo. Non mi peso, perché una volta, non sapendo cosa sfasciare, ho rotto la bilancia e ho fatto bene.

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Arriva mia figlia, apre il frigorifero, lo richiude delusa, se ne va e dice: mamma, io però picchetto. Si chiude in camera sua prima di avere finito la frase, quindi per un po’ penso che abbia detto solo: mamma, io però. E basta. E’ una cosa che dice spesso quindi non ci faccio caso. Mamma, io però non mangio quella roba. Io però non vengo. Io però non ho maglioni. Io però ho fame. Io però ho finito i giga. Io però odio Latino. Io però un film doppiato non lo guardo. Io però ho bisogno di quel libro adesso. Io rispondo sempre: sì. Poi la parola picchetto ritorna, esce dalla porta chiusa della stanza sotto forma di fiumi di messaggi vocali con voci squillanti e con voci tenebrose, e allora forse capisco, vado a bussare e le chiedo per che cosa picchettano, ma sto attenta a non farle capire che ho il cervello in manette. Per tornare a scuola in sicurezza, dice lei. Cioè per non tornarci?, dico io.

  

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Ero rimasta a quando il più grande desiderio era tornare in classe, ero rimasta ai gradini occupati davanti a scuola per protestare contro la Dad e l’assenza di contatto umano, ma sto zitta perché non riesco a ricordarmi che cosa ne pensavo. Era giusto, era sbagliato? Non mi ricordo. Mia figlia mi guarda come si guarda una ragnatela, però meno affascinata, e dice che è troppo pericoloso tornare a scuola adesso, perché nonostante gli orari di ingresso scaglionati gli autobus sono strapieni, e a causa dello scaglionamento molti ragazzi che di solito vanno a scuola in auto con i genitori, devono prendere i mezzi perché i genitori sono già al lavoro, e che dopo tre giorni di lezioni in presenza ci sono già, nel suo liceo, sette professori in quarantena e due positivi. Che non ha senso andare a scuola un giorno e poi stare di nuovo tutti a casa. E che l’esame di maturità è ancora un mistero. Ma tu hai la maturità fra tre anni e mezzo, minimo.

  

Mamma, ti prego: anche noi abbiamo paura. Avete paura di ammalarvi?, chiedo e intanto mi specchio nei suoi occhi e vedo una ragnatela che parla. Non tanto per noi, abbiamo paura per voi, mamma ho paura anche per te che hai avuto quella polmonite. Sinceramente, dice, e io di quel sinceramente dubito ma non oso manifestarlo, ho paura di contagiarti: è meglio a questo punto finire l’anno in Dad. Ma serve un picchetto memorabile, con tutte le scuole di Roma. Abbiamo fatto un documento rivendicativo. I professori comunque sono d’accordo con noi.

   

Ecco di nuovo l’inquietudine che sale: che cosa penso? E’ giusto? E’ una scusa? La Dad non era il male? Immagino questo picchetto memorabile con tutte le scuole di Roma che arrivano in autobus e si muovono insieme e vanno per le strade e nelle piazze con i documenti rivendicativi e non so se sia la definizione migliore di sicurezza. Penso alla fatica di incastrare gli orari scolastici, alle palestre trasformate in aule, alla verifica di Greco che se non la fai in classe è come non farla, al contatto umano e a quelle centinaia di migliaia di banchi monoposto su cui stanno crescendo le ragnatele. Mi sento sempre di più una ragnatela sopra un banco monoposto. Mangio un’altra cosa dolce, sono calma e mia figlia dice: mamma, io però qualcosa. Qualcosa che non faccio in tempo a sentire, perché la porta è già di nuovo chiusa e la musica alta. E’ quasi sera, quindi ho le idee più chiare in attesa di prendermi a calci stanotte. La mia idea chiara è che voglio che lei vada a scuola, ma mi preoccupa che vada a scuola. Voglio rompere quella sedia, ma anche sedermici sopra. Poi di nuovo, sopra la musica e dietro la porta: mamma, io però. La mia risposta è chiara: sì, infatti.

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