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Il figlio

Quasi grande

Gaia Manzini

In bilico tra l’infanzia e quello che verrà, un passo avanti e un orso bianco indietro. Ciao 2021

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Voglio andare a scuola da sola, basta. Basta baci per la strada; basta mano nella mano; basta soprannomi e nomignoli che gli altri possono sentire (nel senso: bene se usati a casa, ma fuori mai!). E comunque quest’estate voglio andare a quel campus di due settimane, quello di vela, dove si dorme nei letti a castello e si sta sempre in costume, dai come si chiama… Ecco, sì, quello. No, non mi dovete neanche accompagnare. Ok accompagnare sì, ma niente smancerie prima di salutarsi: al limite potete comprarmi il telefonino, così mi scrivete qualche volta. Tanto l’anno prossimo andrò alle medie e quindi il telefonino mi servirà.

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Voglio andare a scuola da sola, basta. Basta baci per la strada; basta mano nella mano; basta soprannomi e nomignoli che gli altri possono sentire (nel senso: bene se usati a casa, ma fuori mai!). E comunque quest’estate voglio andare a quel campus di due settimane, quello di vela, dove si dorme nei letti a castello e si sta sempre in costume, dai come si chiama… Ecco, sì, quello. No, non mi dovete neanche accompagnare. Ok accompagnare sì, ma niente smancerie prima di salutarsi: al limite potete comprarmi il telefonino, così mi scrivete qualche volta. Tanto l’anno prossimo andrò alle medie e quindi il telefonino mi servirà.

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Avere dieci anni, avere finalmente un’età con due numeri, un’età simbolica gemella del massimo dei voti, deve essere un po’ come aver raggiunto la cima di qualcosa: da lì in poi non si può altro che scendere in progressione verso la maturità. Ma fin quando si rimane lassù, imbrigliati per dodici mesi nei propri 10 anni, è come essere in bilico. In bilico come, giorni fa, eravamo noi tutti a qualche ora da mezzanotte, a un passo dalla fine di un 2020 da dimenticare. Il primo gennaio ci siamo svegliati e – come immaginavamo – non era cambiato nulla: la mattina era fredda e buia, come al solito; le notizie sui giornali assomigliavano a quelle degli ultimi mesi, l’oppressione del lockdown era ancora lì. Eppure un cambiamento, seppur minimo c’è stato nel nostro sguardo. Si è fatta avanti la speranza, un’energia nuova: il peggio ce lo siamo lasciati alle spalle.

 

Mia figlia si prova le mie scarpe col tacco, le abbina con le borsette, è bella e impacciata allo stesso tempo: è ancora una bambina e già un po’ la ragazza che diventerà. La lettera a Babbo Natale l’ha scritta in word sul mio computer, l’ha arricchita di una griglia grafica (!), ha alternato i colori per ogni riga e ha allegato i link dei regali che avrebbe voluto (e in parte ha ricevuto). Ha scritto di essere certa che Babbo abbia un computer e un indirizzo di posta elettronica. Mi ha chiesto di cercare il suo profilo Facebook e Instagram: ne abbiamo trovati tantissimi, ma – dice – sono tutti falsi, non vedi? E’ innocente e cinica. L’ho vista scrivere la lettera con l’entusiasmo di chi spera in qualcosa, anche se poi a tavola mi ha detto: Comunque io ci credo al sessanta per cento… anzi al cinquantotto. E le tue compagne di scuola? Anche. (Devono aver fatto un sondaggio e aperto una discussione in classe). Qualcuna ha suggerito che è meglio fingere di crederci, per ricevere più regali. Il 23 dicembre ha trascorso tutto il giorno a stilare i punti per un piano diabolico: quello per scoprire la vera identità di Santa Claus. Il piano prevedeva la cartina della nostra casa schizzata a pennarello, dei percorsi incomprensibili e la condizione necessaria di svegliarsi nel cuore della notte. Il luogo della scoperta era segnato con un cerchio rosso. La sera del 24 le ho chiesto se fosse pronta per mettere in atto il suo piano. Ha sorriso ironica – sa benissimo che siamo noi a portare i regali e noi sappiamo che lei lo sa, ma nessuno si azzarda a svelarlo: non ci va, non ne sentiamo il bisogno, ci piace rimanere in bilico. No, non ho voglia di scoprirlo, ha detto beffarda.

 

 

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Intanto nel suo letto i pupazzi per la notte si sono moltiplicati: oltre all’inseparabile orso bianco, anche altri tre, tra cui il vecchio coniglietto a forma di forchetta che stava nella culla. E’ il suo pigiama party permanente. Non se ne vuole liberare, lo dice con un sorriso: ancora una notte, ancora qualche tempo. Diventare grandi comporta sempre questa cosa dello stare in bilico: desiderare il domani e nello stesso tempo sentire già la mancanza di quello che è stato. E’ come camminare: per procedere di un passo bisogna sempre sbilanciarsi in avanti, lascandosi dietro un piccolo vuoto. Non c’è altro modo di spingersi più in là. Lasciarsi indietro un anno difficile per vedere se siamo ancora capaci di sperare e fare progetti, di abbracciarci e stare vicino alle persone, dopo aver capito quali sono importanti e perché. Lasciarsi indietro un anno difficile, non per tornare alla vecchia vita, ma per vedere cosa e come possiamo migliorare. Lasciarsi indietro un mondo fatto solo del calore della casa per aggiungere pezzi alla propria vita - amici, avventure, indipendenza - ma solo dopo aver salutato con un po’ di commozione il vecchio orso. Dopo avergli preparato una cuccia tutta sua in una cesta a un passo dal letto dove ha trascorso gli ultimi dieci anni; dopo avergli augurato la buona notte e sistemato altri peluche intorno; dopo avergli detto di non aver paura, perché loro due saranno sempre inseparabili.

 

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Non si mette a dormire quello che appartiene al passato solo una volta: non solo a dieci anni. Si continua a farlo fin quando è necessario, fin quando si ha la forza di cambiare e diventare sempre un po’ più grandi. Abbiamo un intero anno davanti a noi: buon 2021 a tutti.

 

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