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Il Figlio

Il divorzio sulla pelle dei figli

Andrea Catizone*

Le trappole del diritto nelle rese dei conti tra marito e moglie. I figli non sono moneta di scambio

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Iscritto alla scuola inglese e a quella italiana; iscritto a nuoto, scherma, arti marziali e danza; iscritto al corso di pittura e di musica; di cinese e di arabo. Sono alcuni dei bizzarri effetti del principio etico della bi-genitorialità introdotto nel nostro ordinamento con la legge n. 54 del 2006, Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento, al fine di regolamentare, in teoria a favore dei figli, i comportamenti dei genitori che si separano. Il senso di questo termine risiede nella necessità di affermare appieno il bisogno dei figli a mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori, anche in caso di separazione o divorzio: il diritto a non essere predominio di una figura genitoriale a discapito dell’altra. Ma il mondo perfetto disegnato dalla teoria del diritto si sgretola davanti alla crudezza dei fatti di realtà, che sono il riflesso di istinti umani non sempre nobili.

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Iscritto alla scuola inglese e a quella italiana; iscritto a nuoto, scherma, arti marziali e danza; iscritto al corso di pittura e di musica; di cinese e di arabo. Sono alcuni dei bizzarri effetti del principio etico della bi-genitorialità introdotto nel nostro ordinamento con la legge n. 54 del 2006, Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento, al fine di regolamentare, in teoria a favore dei figli, i comportamenti dei genitori che si separano. Il senso di questo termine risiede nella necessità di affermare appieno il bisogno dei figli a mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori, anche in caso di separazione o divorzio: il diritto a non essere predominio di una figura genitoriale a discapito dell’altra. Ma il mondo perfetto disegnato dalla teoria del diritto si sgretola davanti alla crudezza dei fatti di realtà, che sono il riflesso di istinti umani non sempre nobili.

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Gli effetti di questo principio sfiorano il paradosso perché, come il prefisso bi- al sostantivo genitorialità invita a fare, si duplica una funzione che invece ha in sé una natura unitaria. Di più, laddove volesse essere sdoppiata, come capita il più delle volte in una situazione di conflitto tra i genitori che si separano, la si deve ricondurre ad unità per il bene dei figli che ne subiscono gli effetti. Un compito che non può essere demandato unicamente ai genitori che si lasciano soprattutto perché sono già dentro una diatriba su vari fronti e che rivela una difficoltà di mettersi d’accordo soprattutto nelle decisioni che riguardano i figli; se così non fosse, si potrebbe ipotizzare che non si sarebbero separati. Lo scopo delle norme è tradito dai mezzi individuati dall'ordinamento: invece di fissare un argine agli istinti di prevaricazione che emergono in modo quasi incontrollato in quella fase di scomposizione della famiglia e di ricostruzione delle relazioni al suo interno su nuove basi, si offre uno strumento giuridico piuttosto diabolico che acuisce e favorisce quel disequilibrio e alimenta quegli istinti.

 

E’ dentro la bi-genitorialità che si consumano le più ingiuste e pericolose vendette tra un marito ed una moglie che divorziano dimenticandosi di essere anche padre e madre degli stessi figli e che devono dimostrare, non si sa a chi poi, di essere all’altezza della sfida tra di loro trasformata in un duello all’ultimo sangue tutto a discapito dei figli minori. In nome della genitorialità divisa in due, si consuma una resa dei conti con la passata vita coniugale cercando di imporre scelte e decisioni sui figli che non c’entrano nulla con loro, con i loro desideri, con le loro aspirazioni. Ciascuno di essi è titolare di una metà di un diritto, meglio di una facoltà, tagliata in due parti identiche come una mela col coltello. Ma gli esseri umani, i minorenni, non sono riconducibili ad addendi di operazioni.

 

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La costruzione identitaria 

E’ il piano delle emozioni umane, forti e contrastanti nella fase evolutiva e di costruzione identitaria dei minorenni che sfugge al sistema creato dal principio della bi-genitorialità; sfugge quella faticosa attività di comprensione dei propri figli; sfugge la necessità di raggiungere un equilibrio tra i propri desideri con quelli dei propri figli. I “good parents” non sono quelli che impongono unilateralmente le proprie volontà sui figli, sperando di pareggiare i conti con la propria vita; sono quelli che, al contrario, li ascoltano, seguono le loro inclinazioni, li aiutano a crescere seguendo un  modello educativo che loro hanno scelto, ma che deve essere adattato alla natura dei propri figli. Anche i figli hanno una loro volontà che si costruisce sulla base di quello che sentono dentro di loro e che spesso è completamente ignorato o non corrisponde a quello che pensano, desiderano, sognano mamma e papà. 

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Ecco allora che la ridondante aggiunta del prefisso bi alla genitorialità introduce elementi di ambiguità alla già complessa funzione genitoriale. Il  bi è in definitiva una grave svista: i figli si trovano, in un gioco di specchi, a fronteggiare non un nucleo compatto e di riferimento, ma singole manifestazioni  della genitorialità che talvolta assumono forme parossistiche, se non di schizofrenia. Per tutelare i figli dalle prepotenze tra i genitori, nonché dalle vendette post fine relazione, è urgente rivedere l’uso delle parole. Il diritto è fondato proprio sull’interpretazione delle parole, sulla loro collocazione all’interno delle proposizioni, sugli effetti che suffissi, prefissi, e altri strumenti grammaticali hanno sulla carne e nell’anima dei destinatari delle norme. E quando si tratta delle carne e dell’anima dei bambini, non si ammettono errori.

 

*Andrea Catizone è avvocato per i minori e giurista

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