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Il Figlio

“The Rosselinis”. Cosa significa essere figli di un genio

Ilaria Macchia

“Ma con il cognome che hai, vuoi fare il cameriere?”. La storia della rossellinite, malattia ereditaria, nel documentario di Alessandro, nipote del compianto regista Roberto Rossellini

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Se sei figlio di Roberto Rossellini, non sarai mai un genio. Nei primi minuti di “The Rosselinis”, la voce narrante, che è quella del regista, dice: “Nonno ha lasciato al mondo intero i suoi capolavori, ma a noi nemmeno una lira. Ci ha lasciato invece un enorme patrimonio di conflitti.” E’ il nipote di Roberto Rossellini a parlare, mentre scorrono le immagini del funerale del nonno. Si chiama Alessandro, e a 57 anni ha deciso di esordire come regista di un documentario, appunto, sulla sua famiglia: The Rossellinis. Alessandro è uomo problematico, difficile, dipendente dalle droghe e incapace di avere una vita regolare a causa di una strana malattia che lui chiama “rossellinite”. E su questa malattia si basa la tesi portata avanti nel documentario: se sei un Rossellini, allora hai sicuramente la rossellinite, una patologia che ti rende scontroso, vizioso, un po’ arrogante e afflitto da una costante ansia da prestazione. Insomma, un uomo peggiore di quello che potresti essere.

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Se sei figlio di Roberto Rossellini, non sarai mai un genio. Nei primi minuti di “The Rosselinis”, la voce narrante, che è quella del regista, dice: “Nonno ha lasciato al mondo intero i suoi capolavori, ma a noi nemmeno una lira. Ci ha lasciato invece un enorme patrimonio di conflitti.” E’ il nipote di Roberto Rossellini a parlare, mentre scorrono le immagini del funerale del nonno. Si chiama Alessandro, e a 57 anni ha deciso di esordire come regista di un documentario, appunto, sulla sua famiglia: The Rossellinis. Alessandro è uomo problematico, difficile, dipendente dalle droghe e incapace di avere una vita regolare a causa di una strana malattia che lui chiama “rossellinite”. E su questa malattia si basa la tesi portata avanti nel documentario: se sei un Rossellini, allora hai sicuramente la rossellinite, una patologia che ti rende scontroso, vizioso, un po’ arrogante e afflitto da una costante ansia da prestazione. Insomma, un uomo peggiore di quello che potresti essere.

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Nel documentario, la tesi cerca di essere smentita o contestata dai parenti che Alessandro va a trovare in giro per il mondo: dalle zie gemelle Isabella e Ingridina, figlie del secondo matrimonio di Roberto Rossellini con Ingrid Bergman; da Raffaella, che oggi si fa chiamare Nur, l’ultima figlia avuta con la moglie indiana; e da un nugolo di altri zii e cugini che si affrettano a dichiarare che essere parenti di Roberto Rossellini è stata per loro, invece, una fortuna. Eppure, a dispetto di alcune risposte leggere dei protagonisti, si intravedono molte fratture nel racconto di ognuno di questi figli. In particolare c’è un momento in cui Robertino (il primo figlio di Roberto e Ingrid), che ha scelto di rifugiarsi nella casa di vacanza dei Bergman in Svezia, su un’isola privata, come un eremita, dice: “Io non sono affatto contento della mia vita, non avendo nessuna passione in particolare. E poi non solo, se volevo fare alcuni lavori anche i più semplici la gente mi diceva: ma tu sei un Rossellini, ma che vuoi fare, il cameriere col nome che hai? Non potevo fare niente, dovevo fare il genio. Era l’unica concessione, il genio.”

 

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In un altro momento, un giovane Renzo, il primo figlio di Roberto, che si era deciso a intraprendere la stessa carriera del padre e a fare un film tutto suo, rimane in silenzio, senza una risposta, quando un giornalista gli chiede: “Quali sono le qualità di tuo padre, come uomo?” E ancora, quando Alessandro gli chiede se lui, figlio di Roberto, ha mai provato una pressione, o un condizionamento per il fatto di essere figlio di Rossellini, quindi figlio di un genio, Renzo risponde dicendo soltanto: “Ero Rossellini. Ero Roberto (un lapsus), ero il figlio di Roberto Rossellini”, facendo intuire che nessun altro appellativo avrebbe mai potuto avere nella vita, oltre questo. Di padre in figlio, la discendenza di Roberto ha forgiato anche Alessandro, il regista del documentario, figlio di Renzo: “In qualità di esemplare Rossellini, tutti si aspettavano che io sarei stato molto colto, creativo per natura, bastava il seme di Roberto Rossellini che era in ognuno di noi. Da grande mi sono accorto che il genio in me un po’ tardava, e così ho iniziato a non sentirmi all’altezza del mio cognome.”

 

La parola che ricorre di più in questo documentario è proprio questa, genio. Il genio di Roberto Rossellini, capostipite di una famiglia così grande e diversa al suo interno, tanto da essere in contrasto continuo, per anni, ha forgiato una dinastia. Questa famiglia ha sempre cercato la genialità. E forse l’ha trovata, oppure, sfiorata, in forme diverse da quella del padre. Un padre che voleva essere “come una scrofa”, con tutti i figli addosso a dargli baci, ma era poi del tutto incapace di ascoltarli, di conoscerli. Guardando “The Rossellinis”, un documentario allegro, che si apre con un funerale e si chiude con un’altra celebrazione, questa volta pagana, di tutta la famiglia (un servizio fotografico per Vogue Italia), è facile pensare che, per chiunque, Roberto sarebbe stato irresistibile, un genio. Ognuno di noi, al suo fianco, forse avrebbe finito per drogarsi, o per passare il tempo a domandare tutto di “Europa ’51”.

 

E forse per ognuno di noi la voce di Anna Magnani in “Roma città aperta” che grida “Francesco! Francesco!” sarebbe diventata un’ossessione, un tormento, e non solo una delle più grandi scene del cinema mondiale. A ognuno di noi, vivendo in casa con un genio, sarebbe potuta venire la rossellinite, che di per sé, dopo aver visto questo documentario, sembra a tutti gli effetti una grande eredità.

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