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I 19 anni di Bui che cercava il futuro ed è finita dentro una scatola

Giulia Pompili

Storie di figli e delle figlie che sono partiti per cercare un lavoro in Europa e non hanno mai più dato notizie

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Cara Annalena, una volta li chiamavamo “boat people”, i vietnamiti che scappavano dal paese su imbarcazioni di fortuna, dopo la guerra. Ora qualcuno ha iniziato a chiamarli “box people”. Perché i trentanove morti trovati in un container refrigerato nella zona industriale di Grays, a Londra, la scorsa settimana, non erano cinesi, come aveva detto all’inizio la polizia. Avevano quasi tutti documenti falsi, e anche adesso la burocrazia non ha formalizzato i loro nomi. Qualcuno però sa chi sono. Le famiglie che nell’area di Yen Thanh, in Vietnam, aspettavano un messaggio, una telefonata. Appena sono usciti i dettagli delle indagini, i volti dei trafficanti, hanno capito. Sui-Lee Wee del New York Times è andata a cercarle, quelle famiglie, e ha scritto che il silenzio dei padri, dei figli e delle figlie che sono partiti per cercare un lavoro in Europa e non hanno mai più dato notizie è stato un segnale inequivocabile: erano loro, dentro a quel container. Ed è una storia terribile, anzi molte storie dentro una unica notizia: Nguyen Dinh Tu aveva ventisei anni e un debito fatto per costruirsi una casa, Bui Thi Nhung aveva 19 anni e voleva aiutare la famiglia, dopo la morte del padre due anni fa. I “box people” ci parlano di un paese, il Vietnam, celebrato come il miglior esempio di riscossa economica, di crescita industriale. E di tutti quelli che sono stati lasciati indietro. 

 

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