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Il mese della buonanotte che non finisce mai e il maiale in vacanza

Annalena Benini

Non si può dire solo: è tardi, a domani. Il letto, il cronometro e le domande universali

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La buonanotte a casa nostra può durare anche quattro o cinque ore. La buonanotte non può essere mai una buonanotte normale. Non è accettabile che io vada in camera dei miei figli, dica: buonanotte, e poi vada a dormire, a guardare un film, a leggere, a ballare, non è accettabile nemmeno che esista una vita oltre la buonanotte. E’ ancora meno accettabile, scandaloso e tragico insieme, che io dia la buonanotte in una stanza che non è quella in cui i miei figli dormono. In salotto, ad esempio, o in cucina. E’ inconcepibile. Se abbiamo guardato tutti insieme una serie tivù o abbiamo finito i compiti e quindi siamo di pessimo umore, o abbiamo mangiato grissini con la nutella e siamo distrutti, io non posso restare ferma sul divano e dire: va bene, è tardi, buonanotte, a domani ragazzi. Si scatenerebbe immeditamente la guerra nucleare. Dare la buonanotte in un’altra stanza significa o che sono in atto grandi ostilità a causa dei compiti o del disordine o del gatto che non ha cenato, o che io sono una madre cattiva che ha deciso di abbandonare i suoi figli nel bosco.

 

Loro sono anche ragionevoli, accettano che io abbia un lavoro, anche se non sono interessati a sapere quale, accettano che io possieda un computer che loro non possono usare, e accettano che io diventi una belva se lo toccano. Mi riconoscono alcuni diritti inalienabili, e altri diritti sono in fase di conquista, come quello alla doccia senza che nessuno entri in bagno a chiedermi cosa significhi caravanserraglio o alterità. Ma il diritto a una buonanotte dislocata o veloce è ancora inimmaginabile: dare la buonanotte significa passare del tempo seduti o sdraiati su entrambi i letti, a turno, e per una quantità di tempo che deve essere esattamente suddivisa in parti uguali. Ognuno dei due cronometra l’altro, si sono fatti regalare gli orologi apposta, e sono attentissimi agli errori. Se durante la buonanotte a mia figlia rispondo a una domanda di mio figlio, allora quel tempo viene scalato dal conto finale, e io in ogni caso non posso muovermi da lì, e non posso controllare il telefono, non posso sapere se nel frattempo è scoppiata una guerra o se è arrivata l’estate, o se è il mio compleanno, perché il mio compito è esclusivamente dare la buonanotte, dare consigli, ascoltare ingiustizie subite, esaudire desideri, promettere giorni migliori, aggiustare bambole, cercare libri scomparsi, preferibilmente fino al mattino dopo. Anche per questo arrivo al momento della buonanotte molto stressata, impaurita, e cerco in tutti i modi di cambiare le regole, ma loro sono alleati e inflessibili, non sono diposti a cedere un millimetro di buonanotte. Devo ascoltare tutte le barzellette e ridere: “Un maiale va in vacanza, arriva in un posto lontano e la polizia gli chiede il passaporco”. Devo ascoltare nel dettaglio l’indignazione di mia figlia sul fatto che la gita di scuola a Venezia prevede

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anche lo studio di Tintoretto, e trovare una risposta alla questione: come posso divertirmi in gita se devo prendere appunti? Che senso ha votare il rappresentante d’istituto solo perché ha i ricci ed è carino? (Ha tantissimo senso, ho cercato di spiegarle). Tutte le domande universali, anche quelle sul gioco della bottiglia alle feste, in cui un bambino ha dovuto baciarle appassionatamente una mano e lei era disgustata però forse anche felice, si concentrano nel momento, cioè nel mese, della buonanotte, in cui i segreti vengono raccontati, le paure svelate, in cui non esiste più nulla di cui vergognarsi. In cui, se faccio per alzarmi troppo presto, il cane ringhia. E allora resto, e a volte mi addormento, e penso che comunque nessuno desidererà mai più con tanta ostinazione la mia buonanotte, la mia esistenza, nessuno sarà mai così orgoglioso e felice di farmi ridere con la barzelletta sul maiale in vacanza.

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