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Separare Trump dai suoi disastri è un'impresa sempre più difficile

Guido Vitiello

Ogni Grande Capo è sempre buono, si dice. E così si può spiegare anche QAnon. Ma per il presidente americano le frottole che allarmano Twitter sono tutt'altro che un segno di forza

Il Grande Capo è buono, ma è circondato da consiglieri malvagi. Tramano in segreto contro di lui, compiono imprese orribili a sua insaputa e gli nascondono la verità sulla condizione in cui versa il popolo, altrimenti lui interverrebbe in prima persona per raddrizzare i torti – oh sì che lo farebbe: perché il Grande Capo è buono. Questo mito politico ha avuto molte incarnazioni. Lo si è usato per monarchi, dittatori, presidenti, zar e papi. Qualcuno lo usa tuttora per Mussolini (che già da vivo lo ricacciò come favola idiota). A Cuba circolava la leggenda secondo cui i campi di rieducazione per omosessuali erano stati organizzati alle spalle di Castro, che una notte volle andarli a visitare camuffato da detenuto comune. Perfino con Hitler ci hanno provato: il caso più celebre è la tesi di David Irving secondo cui al Führer sbadatello i gerarchi non avevano fatto parola del genocidio.

   

Il mito risponde a un’esigenza psicologica semplice: proteggere dalle ombre l’immagine idealizzata del Grande Capo; un meccanismo di scissione e negazione che (chiedo un aiutino da casa agli psicoanalisti) trova forse la sua origine nella posizione schizo-paranoide di Melanie Klein. Tutto questo per dire che la mitologia del deep state e di QAnon, secondo cui Trump combatterebbe una guerra solitaria circondato dai cattivi, è fatta di variazioni sullo stesso tema. Queste frottole allarmano Twitter, che ha appena fatto una mattanza di account, ma la loro diffusione non è un segno di forza, al contrario: è la prova che separare Trump dai suoi disastri è un’impresa psicologica sempre più difficile.

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