Può un manipolo di 30 probi ed integerrimi funzionari costituire la
risposta alla dilagante corruzione? Può una (ennesima) “Autorità”
garantire limpidezza all’utilizzo di una tale mole di danaro pubblico qual
è quella che lo Stato moderno ha avocato a sè “per il bene comune”?
Vien da ridere. Da quando si è persa la percezione stessa dell’esistenza
di una “struttura normativa” del reale - e quindi di una morale
“naturale” - la cogenza di certi comportamenti o discende dalla
personale “virtuosità” del soggetto o è declinabile nel noto
imperativo categorico del “devi perché devi” (ben nota ai lettori
serali di Kant).La morale “laica” irride la morale naturale e formula le
sue leggi positive non curandosi affatto di come è fatto l’uomo. E
l’uomo è fatto così: che quando gestisce le “cose sue proprie” fa
coincidere l’interesse personale con la virtù; ma quando è un
funzionario pubblico, anche onestissimo, accade che dovendo, “perché
deve”, assegnare appalti di milioni e milioni di euro a terzi, sia indotto
in tentazione. Sarà banale, ma l’unica equazione immediatamente
realizzabile nel contesto sopra descritto non può che prevedere: meno Stato
= meno danaro pubblico = meno corruzione. Ed inoltre.Il giacobismo manettaro fa di tutta l’erba un fascio, ma c’è corruzione e corruzione, mazzetta e mazzetta: siamo proprio sicuri che in tale contesto costituisca sempre un crimine pensare di lucrare un qualche beneficio in termini di
“attenzioni” o anche “favori” o comunque una qualche forma di
“riconoscenza”, anche quando queste “attenzioni” non danneggino
ulteriori terzi né costituiscano illegittimi ed ingiusti oneri per la
collettività amministrata? Esiste un tertium genus tra virtuoso e corrotto?
Se si è arrivati, in ben altra materia, a teorizzare di una “zona
grigia” dove la legge è meglio non rivendichi la propria cittadinanza,
sarebbe così deprecabile teorizzarla in questa materia senza passare per
quelli che tra guardie e ladri tifano per i ladri?