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Giorgio Napolitano

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Giorgio Napolitano ha cercato di dare una risposta alla guerra civile fredda dell’ultimo ventennio con un sentiment nazionalista di patriottismo costituzionale, retorico e lontano dal paese, ma compatibile con l’integrazione sovrannazionale, diverso dal nazionalismo di destra, basato sul recupero di sovranità. Esso è stato raccolto dalla sinistra post ‘89 per imbiancare il sepolcro del proprio vuoto etico-politico e dalla palude del moderatismo italiano, che cela dietro la retorica la propria ignavia politica. Ma il patriottismo costituzionale ha oscurato l’urgenza dell’adeguamento istituzionale, incluso quel riequilibrio dei poteri verso il quale questo presidente ha scoperto una tardiva sensibilità solo in seguito a un coinvolgimento personale. Il fragoroso allarme di un predecessore che pose la necessità del recupero del potere costituente popolare, rimane inascoltato. Napolitano è un signore già comunista che, come tutti i comunisti, non ama il popolo e non crede al suo autogoverno: l’adeguamento sarà imposto dalla disciplina sovrannazionale a un paese incapace di darsela da sé. L’elitismo di Napolitano ha agevolato l’operazione di un governo di unità nazionale, che propone la democrazia consociativa come antidoto alla guerra civile e quindi garante dei poteri costituiti. Un legittimo disegno conservatore, ma che ha dato un colpo alla credibilità della democrazia rappresentativa con un nuovo esempio di legittimazione di governi con i rapporti di forza tra poteri elitari piuttosto che con la misura del consenso nei “ludi cartacei” elettorali. Per questi motivi politici, al di là delle intenzioni, ben oltre una terzietà tendenziosa e al di fuori di fantasiose coperture a inverosimili trattative, la presidenza Napolitano non ha contribuito ad arginare la crisi civile dell’Italia, al contrario ha contribuito al senso di inutilità e inefficienza della sua democrazia pluralista, in un paese la cui coscienza democratica non è storicamente delle più salde.
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