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Arabi su Marte. La prima missione interplanetaria di Abu Dhabi

Giulia Pompili

Con "Hope" gli Emirati arrivano per ultimi nella corsa allo spazio, ma hanno scelto con molta cura i loro alleati

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Roma. E’ iniziata ieri la prima missione interplanetaria degli Emirati Arabi Uniti, una specie di rivoluzione per la corsa allo spazio contemporanea. Mentre America e Cina si contendono vari primati – il ritorno dell’uomo sulla luna, le missioni su Marte – nella competizione spaziale globale entra di diritto un altro concorrente, che ha investito molti, molti soldi per realizzare un obiettivo che non è soltanto scientifico. La missione partita ieri, e che finora è stata un successo, si chiama “Hope”, ma è anche la “Missione su Marte degli Emirati”, e il veicolo spaziale dovrebbe arrivare nell’orbita del pianeta rosso entro il dicembre del 2021, in tempo per le celebrazioni del Giubileo degli Emirati, cioè i cinquant’anni dalla fondazione della nazione. E’ la prima volta che un paese arabo guida una missione scientifica interplanetaria, e lo straordinario sforzo per entrare nella competizione globale è dimostrato dal fatto che Abu Dhabi ha raggiunto lo spazio autonomamente, per la prima volta, soltanto undici anni fa. Anche la missione per Marte, un progetto da duecento milioni di dollari, era stata annunciata soltanto sei anni fa dal presidente Khalifa bin Zayed al Nahyan. Il capo dell’agenzia spaziale emiratina, Mohammed Al Ahbabi, ha detto subito dopo il lancio che “gli Emirati ora sono ufficialmente membri del club: impareremo molto, ci impegneremo di più e continueremo a sviluppare il nostro programma spaziale”. Tutte le altre agenzie spaziali che hanno in corso missioni su Marte – la Nasa americana, la Roscosmos russa, l’Agenzia spaziale europea, l’Agenzia spaziale cinese, l’Indian Space Research Organisation – hanno una lunga tradizione di esplorazioni spaziali, e quindi esperienza. Gli Emirati arrivano per ultimi, ma hanno scelto con molta cura i loro alleati.

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Roma. E’ iniziata ieri la prima missione interplanetaria degli Emirati Arabi Uniti, una specie di rivoluzione per la corsa allo spazio contemporanea. Mentre America e Cina si contendono vari primati – il ritorno dell’uomo sulla luna, le missioni su Marte – nella competizione spaziale globale entra di diritto un altro concorrente, che ha investito molti, molti soldi per realizzare un obiettivo che non è soltanto scientifico. La missione partita ieri, e che finora è stata un successo, si chiama “Hope”, ma è anche la “Missione su Marte degli Emirati”, e il veicolo spaziale dovrebbe arrivare nell’orbita del pianeta rosso entro il dicembre del 2021, in tempo per le celebrazioni del Giubileo degli Emirati, cioè i cinquant’anni dalla fondazione della nazione. E’ la prima volta che un paese arabo guida una missione scientifica interplanetaria, e lo straordinario sforzo per entrare nella competizione globale è dimostrato dal fatto che Abu Dhabi ha raggiunto lo spazio autonomamente, per la prima volta, soltanto undici anni fa. Anche la missione per Marte, un progetto da duecento milioni di dollari, era stata annunciata soltanto sei anni fa dal presidente Khalifa bin Zayed al Nahyan. Il capo dell’agenzia spaziale emiratina, Mohammed Al Ahbabi, ha detto subito dopo il lancio che “gli Emirati ora sono ufficialmente membri del club: impareremo molto, ci impegneremo di più e continueremo a sviluppare il nostro programma spaziale”. Tutte le altre agenzie spaziali che hanno in corso missioni su Marte – la Nasa americana, la Roscosmos russa, l’Agenzia spaziale europea, l’Agenzia spaziale cinese, l’Indian Space Research Organisation – hanno una lunga tradizione di esplorazioni spaziali, e quindi esperienza. Gli Emirati arrivano per ultimi, ma hanno scelto con molta cura i loro alleati.

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Il veicolo degli Emirati si è staccato dal suolo terrestre, ieri, dalla base spaziale giapponese di Tanegashima, e lo ha fatto su un razzo Mitsubishi. Gran parte della missione marziana di Abu Dhabi è stata costruita in collaborazione con Tokyo. Gli scienziati che hanno assistito al lancio dal Centro spaziale Mohammed bin Rashid di Dubai vengono da ogni parte del mondo, in un modello di selezione di talenti deciso dal paese arabo proprio per coadiuvare gli scienziati locali. Ma il primato della collaborazione, e quindi l’accesso primario alle informazioni che darà la missione, è giapponese. Dei tre satelliti di osservazione terrestre finora lanciati nello spazio dagli Emirati, due sono stati costruiti da aziende sudcoreane e lanciati dalla Russia, poi però Abu Dhabi ha deciso di affidare tutto a Tokyo: l’ultimo satellite, costruito localmente, è stato lanciato nell’ottobre del 2018 grazie al razzo e alla base dell’Agenzia spaziale giapponese. Il primo ministro giapponese, Shinzo Abe, ha un rapporto molto stretto con lo sceicco Mohamed bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario, figlio del presidente Al Nahyan, e vicecomandante supremo delle Forze armate degli Emirati. Non è un caso se l’ultima visita di stato di Abe prima della pandemia e del lockdown sia stata proprio negli Emirati: a metà febbraio, Tokyo e Abu Dhabi hanno firmato un’intesa di partenariato strategico, ma soprattutto Abe sta lavorando diplomaticamente per cercare di contenere l’influenza della Cina nel Golfo.

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La missione su Marte degli Emirati è poi l’ennesimo punto a favore per la Jaxa, l’Agenzia spaziale giapponese, che nonostante missioni importanti dal punto di vista dell’innovazione scientifica (sono stati i primi a mandare sulla stazione spaziale internazionale un astronauta-robot, nel 2013, e il Giappone è stato il primo paese a raggiungere la superficie di un asteroide) non è mai riuscita a costruirsi un’immagine internazionale di successo: poca comunicazione, un modello scientifico molto distinto dalla Difesa. Negli ultimi anni però la Jaxa sta trasformando il suo ruolo: è considerata un partner affidabile, dice chi si occupa di industria aerospaziale internazionale, e soprattutto è meno politicizzata delle agenzie spaziali americane e cinesi. E’ anche per questo che la missione “Hope” è un destabilizzatore nella corsa allo spazio contemporanea: è guidata da un paese molto ambizioso come gli Emirati, ed è tecnicamente supportata dall’agenzia spaziale più silenziosa ed efficace.

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