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Senza grandi opere, Genova non esiste

Andrea Mercenaro

Tacessero i cretini di fronte al lutto di questi giorni, non è concepibile una città senza infrastrutture

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Niente Gronda, niente variante, basta grandi opere. Già. Ma tacessero, per una volta, sulla mia città ferita, i cretini alla Travaglio. Il cuore stesso di Genova è una grande opera. Non cresce, non esiste, non è concepibile una città coi monti a pugnalare il mare, senza grandi opere. I grattacieli duecenteschi di Camogli furono grandi opere. Non è Vigevano, Camogli, e non è Rimini.

 

Gli svincoli autostradali, provate a uscire a Nervi, sono sospesi in cielo più di ponte Morandi. La Lanterna fu una grande opera, lo furono le gallerie tra Corvetto e il Portello e quella della Zecca, le case che precipitano giù da Oregina, la vecchia diga foranea, la sopraelevata concepita a forza per aria, l’ascensore per salire a Castelletto, che sembra oggi poca cosa e non lo fu.

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Furono grandi opere i Cantieri navali che vararono le navi più grandi, la Michelangelo o l’Andrea D’Oria, lo furono i palazzi appoggiati come miracoli sulle gallerie, col portone d’ingresso al sesto piano, i buchi scavati tra quartiere e quartiere, senza i quali non esistono strade, ma lo fu perfino quella gigantesca disgrazia di Stato chiamata Oscar Sinigaglia. Tacessero, i cretini, di fronte ai lutti della mia città, agli errori gravi, o financo alle eventuali furbizie dei Benetton. Senza grandi opere, Genova non c’è. Imparino che esisteva un motivo serio per chiamarla Superba. Che perfino un’operetta di terza, è di Grillo che parlo (nemmeno nato lì, tra l’altro, solo vicino), sta diventando essa stessa una grande tragedia.

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