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Aspettando "Giulio Cesare in Egitto"

Presentata l'opera di Georg Friedrich Händel. Il 18 ottobre in scena alla Scala

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Cicip. Non si placano anche a Milano (e non solo nei circoli sul Tevere) le tensioni fra i promotori di Milano-Cortina 2026 e il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora dopo la bocciatura, da parte di quest’ultimo, di Stefano Domenicali per la guida del comitato. A dispetto di quanto espresso pubblicamente dai sindaci delle città coinvolte, sul nome del presidente di Lamborghini c’era un sostanziale accordo. Punto che non è piaciuto al ministro. Domenicali si è dunque sfilato. Peccato, dicono anche in ambienti bancari, perché dovunque sia andato Domenicali ha fatto bene; senza contare, aggiungono, che le modalità di selezione di un manager privato, benché nell’ambito di un progetto per così dire a capitale misto, non dovrebbero essere le stesse di un manager pubblico; ma forse, al ministro, è sfuggito. In ogni caso, ci sbaglieremo, ma qualcosa ci dice che la spunterà Tom Mockridge. 

 

Ciciap. Qualcosa ci dice anche che il Settecento è stato un secolo più libero e interessante di questo, se è vero che il controtenore Bejun Mehta, presentando l’altra mattina l’eccellente Giulio Cesare in Egitto con la regia di Robert Carsen che debutta domani sera (scene e costumi contemporanei di Gideon Davey, in video molte immagini delle Cleopatre hollywoodiane; nessuna nostalgia per Cecilia Bartoli, sostituita con la bella Danielle De Niese) ha dovuto argomentare per venti minuti sull’estensione e la diversa coloritura dei falsettisti di oggi, come non sarebbe mai successo ai primi interpreti di Haendel, compresi i castrati à la Farinelli. A noi ci ha rovinati l’Ottocento finto-puritano, e non finiremo mai di scriverlo.

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