gran Milano

Dalemiani ce n'è? L'ininfluente rientro degli ex nel Pd

Fabio Massa

Vista da Milano l’idea di un Articolo 1 riassorbito dal Partito democratico non sposta di un millimetro né gli assetti politici interni al Pd né gli assetti interni al centrosinistra. O erano già tornati, o non ci sono proprio più

E così, i dalemiani tornano a casa, pare. O forse no, visto che anche a Roma l’annuncio di Massimo D’Alema non è che abbia sortito enormi effetti. Ma vista invece da Milano l’idea di un Articolo 1 riassorbito dal Partito democratico non sposta di un millimetro né gli assetti politici interni al Pd né gli assetti interni al centrosinistra. Perché in prospettiva milanese i dalemiani siano perfettamente irrilevanti, salvo rari casi.

  
Il primo motivo dell’irrilevanza è la forza dei dem sotto la Madonnina. Nelle ultime tre elezioni amministrative il partito che fu di Renzi, e poi di Gentiloni, e poi di Zingaretti, e ora di Letta, ha avuto percentuali di molto superiori alla media nazionale. Il gruppo dirigente è compatto, sebbene separato tradizionalmente tra riformisti e massimalisti. Una separazione che è ormai presente da decenni, da quando – ricordano i vecchi – Barbara Pollastrini “scippò” per un voto la segreteria a Sergio Scalpelli. Era il marzo 1991, e anche allora D’Alema ci mise lo zampino, convocando tutti a Botteghe Oscure e decidendo la candidatura alternativa al liberal Scalpelli, che aveva avuto un successo personale rilevantissimo nel congresso provinciale. Storie vecchie, con personaggi che in alcuni casi sono ancora in campo, in altri casi invece pian piano si sfilacciano. Rimane il punto che il gruppo dirigente riformista ha trovato un suo assetto tra gli esponenti di sinistra del Pd (leggasi Majorino) e i riformisti (leggasi Roggiani, Maran, Bussolati). Anche il nodo dell’alleanza con il M5s a livello strutturale è secondario rispetto al peso ma anche all’onore di amministrare Milano, soprattutto con un sindaco come Beppe Sala che dalle dinamiche del Pd si è tirato fuori aderendo ai Verdi europei (ma ripescando l’ex sfidante 5s  Layla Pavone come coordinatore per la trasformazione digitale della macchina comunale).

  
Secondo punto: chi tornerà all’interno del Pd? Che cosa è rimasto di Articolo 1 a Milano? Chi sono i dalemiani? La risposta all’ultima domanda è semplice, ormai sono davvero pochi, anche se in alcuni casi di sicuro peso e intelligenza. Come nel caso di Carlo Cerami, avvocato e intellettuale tra i più stimati nel capoluogo e non solo, legato a D’Alema ma anche a Gualtieri, e fine pensatore. Cerami tuttavia non è mai uscito dall’orbita Pd, e non ha mai aderito alle traiettorie di Articolo 1, che viceversa aveva come esponenti due pesi massimi provenienti dalla Cgil.

 

Il primo, Onorio Rosati, infuocò una breve estate, anni fa, con il dibattito sulle primarie per le Regionali poi vinte da Fontana contro Gori. Ex segretario della Camera del Lavoro, ora sta con Nicola Fratoianni e Sinistra italiana, Paolo Tafuro e Paolo Limonta. L’altro ex Cgil è Antonio Panzeri. Ormai in pensione, una vita da onorevole e parlamentare europeo, Panzeri gestisce una ong: è da molto che non compare nel dibattito.

   

Chi pare dia segnali di riavvicinamento è invece Francesco Biglieri, segretario provinciale di Articolo 1, che avrebbe espresso qualche velleità di tornare a dialogare con i dem, sebbene alle ultime amministrative alla fine abbiano preferito candidare due esponenti nella lista Sala: Lucia Audia e Marco Loria. Entrambi non eletti e con un risultato poco soddisfacente.

 

Solo in due, mesi fa, sono rientrati nel Pd: David Gentili e Natascia Tosoni, ma non erano mai stati in Articolo 1, appartenevano alla complessa galassia di Sinistra per Milano. Stesso discorso per Alessandro Capelli.

 

A sinistra che cosa rimane? Poco, e frammentato. Ci sono gli ex di Sinistra per Milano, gli ex pisapiani, con le scelte di amore per la zona 9 di Anita Pirovano (oggi presidente di municipio), Simone Zambelli e Mirko Mazzali (forse uno dei più lucidi avvocati garantisti di sinistra in circolazione). Rimane fuori dal Pd Francesco Laforgia, parlamentare. Storia lunga e pochi voti, se non nessuno. Nato bocconiano, nel 2010 è coordinatore cittadino del Pd e nel 2013 viene eletto in Parlamento. Nel 2017 molla i dem e finisce in Articolo 1, di cui diviene il capogruppo. Nel 2018 viene eletto con Leu e molla Articolo 1. Dopo un anno fonda l’associazione èViva, (una costola di Leu, il che fa già ridere), corre alle europee, ma non supera lo sbarramento. Difficile che rientri nel Pd, anche se c’è da comprendere come potrebbe provare a rientrare al Senato, dopo il taglio dei parlamentari. Chissà, le vie del Signore sono infinite. Quelle di D’Alema e dei reduci della sinistra, invece, più che vie sembrano sentieri. Impervi.
 

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