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GranMilano

Azionisti popolari, cordate vip e nostalgie. Pazza Inter as usual

Ivan Berni

Pechino non vuole che si spenda un euro in più per le squadre di calcio, Zhang cerca acquirenti ma la trattativa con Bc Partners è saltata. E Cottarelli lancia l'azionariato diffuso, modello Bayern Monaco

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Chessifà con l’Inter?? Per ora, pare, che la brami solo il tagliator cortese Carlo Cottarelli, che lancia l’azionariato popolare prima di tutto per tifosi passionali e dal portafoglio gonfio ma sperando anche (ma anche…) che si tassino meno abbienti ma ancora più passionali e numerosi tifosi nerazzurri, stremati all’idea che se ne vadano i cinesi per non si sa chi, o peggio per qualcuno che somiglia a un tale Erik Tohir. La situazione è assai seria anche se malinconicamente grottesca. La famiglia Zhang vuole vendere perché così impone, di fatto, il comitato centrale del Partito comunista della Repubblica popolare cinese. Pechino non vuole che si spenda un euro in più per le squadre di calcio. Per motivi etici, così almeno dicono gli eredi del Grande Timoniere. Però la famiglia Zhang non vuole vendere a meno di 950 milioni. La trattativa con il fondo Bc Partners è andata a carte e quarantotto perché l’offerta si è bloccata a 750 milioni.

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Chessifà con l’Inter?? Per ora, pare, che la brami solo il tagliator cortese Carlo Cottarelli, che lancia l’azionariato popolare prima di tutto per tifosi passionali e dal portafoglio gonfio ma sperando anche (ma anche…) che si tassino meno abbienti ma ancora più passionali e numerosi tifosi nerazzurri, stremati all’idea che se ne vadano i cinesi per non si sa chi, o peggio per qualcuno che somiglia a un tale Erik Tohir. La situazione è assai seria anche se malinconicamente grottesca. La famiglia Zhang vuole vendere perché così impone, di fatto, il comitato centrale del Partito comunista della Repubblica popolare cinese. Pechino non vuole che si spenda un euro in più per le squadre di calcio. Per motivi etici, così almeno dicono gli eredi del Grande Timoniere. Però la famiglia Zhang non vuole vendere a meno di 950 milioni. La trattativa con il fondo Bc Partners è andata a carte e quarantotto perché l’offerta si è bloccata a 750 milioni.

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Altri pretendenti stanno sulla porta, per capire se le pretese cinesi si abbassano. Sono i fondi EQT (20 pe cento controllato dalla famiglia svedese Wallemberg); i fondi americani Actos Sports e Ares management; e poi c’è l’immancabile fondo arabo, il Mudabala, degli Emirati. Ma tutti la vogliono e nessuno, per ora, la prende. E anche Cottarelli, che lo farebbe per sport, non può farlo da solo o con i suoi 15 facoltosi (ma non miliardari) amici raccolti nell’associazione Interspac. Il tecnocrate economista si immagina di importare a Milano il modello dell’azionariato diffuso adottato dal Bayern di Monaco. Cottarelli lo ha detto in un’intervista a Repubblica uscita ieri: “Se ho un ruolo nel club più volentieri andrò allo stadio e acquisterò magliette e merchandising”. Ma non è così convincente e sexy. “Distinguiamo quel che ci affascina teoricamente, l’azionariato popolare, da quel che pare di capire sarebbe questa operazione – dice Michele Mozzati, interista fino al midollo come il compagno di scrittura Gino Vignali – Io posso fare l’azionista popolare per un movimento culturale o, come ho fatto, per Radio Popolare, ma per una società sportiva e per una squadra di calcio è un’altra cosa. Mi vien da dire ‘Ridateci i vecchi padroni’, quelli che investivano per avere una certa popolarità di ritorno, per darsi un ruolo in società. Non ci sono più? Certo che lo so. Ma a questo punto meglio un fondo speculativo, che prende una squadra per farci i soldi, non per insondabili motivi geopolitici. Un fondo non ha interesse a farsi pubblicità. Se entra è per guadagnarci. È una logica diversa”.

 

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Mozzati non trova che l’argomento dell’azionista più motivato al merchandising sia una leva di coinvolgimento convincente: “Non siamo in Inghilterra, o almeno non è una cosa da Inter. Io non ho l’età per andare in giro con la maglia della squadra – dice – Oggi sarebbe imbarazzante ma lo sarebbe stato anche quando avevo vent’anni. Faccio parte di un mondo antico. Siamo stati abituati a magnati che ci regalavano Ronaldo il Fenomeno. O Maradona, parlando d’altri”. Il durevole sbandamento psicologico dell’Inter – oltre che con l’astinenza dalla conquista di coppe e campionati dai tempi del triplete – ha molto a che vedere con i Moratti, ovvero la famiglia di magnati che ha costruito il mito della squadra e inciso indelebilmente la memoria e il vissuto dei suoi tifosi. Cottarelli, che è bauscia nel profondo, lo sa bene ed evoca la possibilità di un ritorno clamoroso, spolverando la sedia presidenziale per il ritorno di Massimo Moratti: “Sarebbe bellissimo. Ed è bello che abbia definito romantico il nostro progetto”. Ma è pia illusione, considerando l’innumerevole quantità di volte che ha giurato di non volersi mai più occupare dell’Internazionale Football Club, e soprattutto di tornare a svenarsi per sostenerne le ambizioni. Moratti non tornerà.

 

O perlomeno non tornerà nelle vesti del magnate presidente pronto a spolpare le sue finanze per la squadra e il suo sommo divertimento. Perché mai nessuno, come i Moratti, ha giocato con il calcio come un innamorato pazzo, disposto a gesti e spese no limits. Do you remember il “Chino” Recoba? E dice qualcosa che, a parte Bobone Vieri (giustamente scocciato della vigilanza sulle sue abitudini notturne) tutti i grandi ex dell’Inter siano lì a raccontare quanto sono grati alla famiglia per il sontuoso e affettuoso trattamento? Forse Moratti potrebbe tornare come il simbolo del romanticismo smarrito, come il garante della passione dispersa sulla Via della seta, come uno che conosce il mistero del calcio e quanto sia importante custodirne la ricetta. Come uno che potrebbe dire a Conte (quello ancora in carica: l’allenatore già gobbo) di far giocare Eriksen almeno mezza partita alla volta, e magari portarsi a casa il danese malinconico per una partita a biliardo, che così si sente meno solo e incompreso che ad Appiano Gentile.

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