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GranMilano

Tutto l’amore di Armani per Milano e la sua eleganza. A “casa Armani”

Fabiana Giacomotti

La presentazione della nuova collezione, lo storico Palazzo Orsini e quel sentimento viscerale per la città che prende forma attraverso la moda, nei vestiti nelle le sfilate

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La Giorgio Armani spa ha circa novemila dipendenti. Realizza all’estero buona parte del suo fatturato, pari a 2,1 miliardi di euro, dove il signor Armani è idolatrato quasi più che in Italia. Dovunque ci si trovi, alla locuzione “moda italiana” qualcuno modula i fonemi della propria lingua per evocare il meglio possibile il suo nome: “Oh yes, Italian fashion, Ammani”, “Armanì”, “Amaaani”. Questo per dire che il signor Armani potrebbe vivere come vuole, dove vuole, anche senza dar prova di quella determinazione che gli fa amare così visceralmente Milano, la città di cui possiede e custodisce uno dei gioielli architettonici più segreti, Palazzo Orsini, che già i viaggiatori di inizio Ottocento chiedevano di visitare per potervi ammirare gli interni disegnati da Luigi Canonica e l’allegoria dell’Amore trionfante di Andrea Appiani affrescata sul soffitto del salone da ballo. Si ostina ad amarla, questa città che lo accolse nel 1975, studente di medicina un po’ incerto sul proprio futuro, trasformandolo in uno dei marchi italiani più noti al mondo, e a trovarla meravigliosa.

 

Milano più elegante di Parigi con quella grandeur ammaliante, dove pure ha sempre sfilato (ma non avrebbe sfilato stavolta, anche se non ci fosse stata la pandemia: che avrebbe presentato “a casa”, Armani l’aveva già deciso da un anno). Milano più coinvolgente di Londra, “sempre un po’ troppo gotica”, osservava l’altra mattina, con lo stesso tono innamorato di Stendhal quando scriveva che “non esiste nulla di più amabile dei costumi milanesi… all’opposto dell’Inghilterra, mai un volto arido o disperato”. In ottima forma, vestito come sempre in blu Prussia, l’altra mattina Armani evocava una recente passeggiata “nella Milano vuota ed elegante”, presentando a un gruppo ristrettissimo di critici la collezione che il pomeriggio avrebbe diffuso in video, partendo da una ripresa aerea della città e del cortile del palazzo, sublime. La città vuota: un’occasione per goderla meglio, non per intristirsi; per buttarsi il momento doloroso alle spalle e ripartire, ancora una volta.

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Per essere più consapevoli della preziosità della vita. Chiude la collezione, non a caso, un abito blu Klein di centocinquanta metri di tulle accostato e sovrapposto, a effetto corteccia: un’evocazione al “rispetto che chiedo per la Terra. La nostra vita vale ben oltre le feste, i viaggi e le stravaganze. Senza un pianeta che ci ospiti, anche i soldi servono a poco”. Armani ama Milano perché è una città che gli assomiglia: austera, di ricchezza non esibita (certo, ci sono anche le Terrazze Sentimento, ma ci sono sempre state, e non hanno mai incrociato quelli come lui). La collezione che ha presentato, il suo “omaggio”, la evoca in ogni taglio e in ogni piega, in questo suo mostrarsi e nascondersi, in questa sua leggerezza non evidente, in questa sensualità non sfacciata eppure persistente, che rappresenta doppiando gli abiti più delicati, trasparenti e ricamati con il tulle. La moda giorno ricorda i palazzi di Piero Portaluppi, rigorosi e sontuosi al tempo stesso, grigio e bianco e greige di materiali sui quali la luce si rifrange. La sera può essere divertente, in corto, un volant di crine ricamato attorno al collo, oppure sognante e riservata. Perfettamente speculare alla sfilata di Valentino a Roma, e alla stessa collezione: nettissima, quasi astratta nel suo studio sul rapporto fra tempo e figura umana, sullo sfondo barocco della Galleria Colonna. In entrambe, la profonda riflessione che la creatività italiana sa fare su se stessa.

 

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