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GranMilano

L’elefante impantanato. Perché la Lombardia non riparte

Daniele Bonecchi

Non solo la Sanità. La regione prepara il suo Recovery ma l’economia annaspa. E la leadership?

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Piove a dirotto. L’acqua nella palude cresce a vista d’occhio. L’elefante ha le zampe piantate nel fango e fa una gran fatica a muoversi. Una situazione grottesca per lui che è il padrone indiscusso di questi territori. E’ questa l’immagine che offre oggi, in piena pandemia e nella baruffa politica, la Regione Lombardia. Un animale poderoso, forte, ma che da molti mesi ormai ha smarrito le sue qualità migliori: pil stellare, eccellenza sanitaria, ruolo trainante in molti settori dell’economia e della ricerca. Colpa del Covid, ma non solo. Perché la risposta che è arrivata da piazza Città di Lombardia non ha convinto (per usare un eufemismo). E lo scambio di cortesie con l’Iss che denuncia i 54 errori della Regione porta allo scoperto un dialogo tra sordi. Certo a peggiorare le cose ci si è messo un governo scarsamente affidabile e un’opposizione (al Pirellone) incattivita. Ma le responsabilità ci sono, tutte.

 

Ma prima di passarle in rivista è opportuno riavvolgere il nastro, per capire com’è nato il Fontana uno. Lui, Attilio Fontana, non ha brigato per arrivare alla guida della Regione. Quando si è seduto – dopo una netta vittoria elettorale – in cima al palazzo voluto da Roberto Formigoni, Fontana era conosciuto nel mondo della politica come un uomo del fare. Un bravo e paziente amministratore (già sindaco di Varese) disposto al dialogo lontano dal furore ideologico di Pontida e poi sovranista. Ha trascorso il primo anno di governo pigiando sull’acceleratore dell’autonomia regionale. Il governo quasi amico Salvini-Di Maio non gli ha permesso di raggiungere il risultato. Anche perché il federalismo della prima ora è stato inghiottito dal sovranismo salviniano. Peggio, per la legge del contrappasso l’inatteso arrivo di Covid-19 ha messo in discussione anche l’autonomia regionale, da tempo si è tornati a parlare (male) del Titolo V. Ma questa è un’altra storia. Con l’arrivo della pandemia e il dramma nella bergamasca è iniziata la via crucis di Fontana, esasperata dalla presenza di un Salvini “liberato” dagli impegni di governo e che ha imposto una linea, più che altro comunicativa, opposta a quella usata da Luca Zaia in Veneto.

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Ma tutti i nodi di una gestione della Sanità già indebolita dalla precedente riforma Maroni e da una catena di comando rifatta negli ultimi anni vengono al pettine: ospedali in grave sofferenza, nessun piano pandemico, tracciamento mai decollato, morti, tanti morti, medici di famiglia abbandonati a sé stessi, il disastro dei vaccini anti influenzali, fino al “caso Rt”. L’unica risposta, il padiglione per l’emergenza in Fiera, sbertucciato dalle opposizioni (ma tornato utile con la seconda ondata). Nel mezzo, polemica sui dati a parte, un rapporto col governo centrale peggiorato, col Conte bis, in tema di Sanità: dalla saga delle mascherine fino alle siringhe “anomale”. Infine, la crescente difficoltà di gestione della Sanità di Giulio Gallera precipitata nell’arrivo “provvidenziale” di Letizia Moratti, che però inizia con un paio di scivoloni (ieri Moratti ha comunicato che Lombardia ha utilizzato finora il 78,5 per cento delle dosi consegnate e, salvo intoppi, la “fase 1” sarà conclusa il 5 marzo). Moratti, più che doppiare le polemiche di Fontana su una linea che è ancora quella salviniana – molto diversa da quella di Zaia in Veneto – ha il compito di mettere mano al più presto a un riordino operativo e delle catene di comando.

 

Si attendono novità, al momento non pervenute. Se non vuole limitarsi a fare il parafulmine di Palazzo Lombardia, cosa che non è certo nelle sue corde. Ma oltre la Sanità è il fronte economico che fatica a ripartire. La pausa estiva, il “Piano Marshall” regionale con una serie di stanziamenti – ristori alle imprese, sostegno ai giovani, sgravi dove possibile – che però non riescono a rilanciare l’economia che va a rotoli, con le categorie che sfilano inferocite sotto la Regione. E l’arrivo del leghista Guido Guidesi in Giunta con le deleghe a sviluppo economico, uso del Recovery fund, ristori con la promessa di un cambio di marcia. Il settore lavoro e le categorie artigiane e del commercio e turismo soffrono, ma le risorse regionali non possono bastare senza una velocizzazione degli interventi nazionali. Nelle scorse settimane, le critiche di Assolombarda al governo sul Recovery plan, sugli ammortizzatori e il mercato del lavoro sono state chiare. Lo stesso presidente di Confindustria, il lombardo Carlo Bonomi, qualche giorno fa è stato assai critico sulle prospettive del governo nell’uso dei fondi europei. La Lombardia, in tutto questo, è la regione tra le più in sofferenza ma che dovrebbe esprimere anche l’idea di un indirizzo nazionale, per forza politico.

 

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Ma in questo, è evidente la debolezza della sua leadership. Fontana è pragmatico, prova a badare al sodo. Ha annunciato che il piano del Recovery lombardo, 36 miliardi che dovrebbero arrivare in Lombardia, è già pronto. Le aree di intervento ricalcano quelle generali del piano europeo, tutto dipenderà (una volta che a Roma riescano a decidere) dalla rapidità della Lombardia di passare alla fase operativa. E’ qui, si augurano tutti, che la pragmatica locomotiva lombarda potrebbe tornare a correre. Anche contando su un rapporto consolidato con le aziende e i centri di ricerca, università e non solo. Con il rimpasto natalizio il governatore ha giocato le sue carte, anche se l’impressione è che Fontana abbia più subìto che deciso le mosse (politicamente astute, a livello di poteri regionali) di Salvini. Secondo i piani del centrodestra, il rimpasto avrebbe dovuto portare una ventata di efficienza e concretezza, con Guidesi alle Attività produttive e Alessandro Mattinzoli spostato a mettere mano là dove anche il sindaco Beppe Sala (periferie e case popolari) ha fallito. Ma per il momento, la locomotiva sbuffa in stazione.

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E tutto intorno è l’opposizione a giocare la propria partita. In aula regionale, martedì scorso, il pandemonio: “Mi scuserete se non riuscirò a mantenere la consueta pacatezza, ma davvero la misura è colma e la mancanza di rispetto verso la Lombardia e i lombardi è andata oltre i limiti”, ha esordito Fontana durante l’ultimo Consiglio, prima che scoppiasse la bagarre sui dati utilizzati per colorare di rosso la Lombardia. L’opposizione ha gioco facile con le sue critiche, e la logica della spettacolarizzazione (pallottolieri, genuflessioni e uso dei social in stile indignados) fa parte dello scontro. Va detto, però, che alla facile pars destruens Pd e alleati non hanno finora affiancato proposte pratiche. Il piano Astuti per rifare la Sanità, al momento, è centrato sull’idea di punire i privati. Sull’economia, la sinistra lombarda è costretta ad allinearsi al governo Conte, bis o tris che sia, mentre l’Italia ha il peggior outlook del Fmi per il 2021. Quanto alla Sanità, se la gestione europea sta incontrando intoppi, i tempi scanditi dal commissario Domenico Arcuri sono biblici (ultima, la questione degli appalti per i centri “primula”). Basteranno il cambio della guardia al Welfare e la definizione di un Recovery plan tarato sulle esigenze del territorio per trascinare l’elefante fuori dalla palude? La precondizione è che a Roma nasca un esecutivo più affidabile e che le opposizioni (a Milano come a Roma) sotterrino l’ascia di guerra. Almeno fino a quando Covid-19 sarà un triste ricordo.

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