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Gran Milano

Fondazioni e imprese si posizionano dentro Banco Bpm. Gran partita

Mariarosaria Marchesano

Cinque Fondazioni bancarie, che rappresentano il 5,5 per cento del capitale della banca, hanno dato vita a un patto di consultazione con l’obiettivo di far sentire la propria voce nelle prossime scelte strategiche

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Grandi manovre sono in corso in Banco Bpm in previsione di future fusioni e aggregazioni con altre banche, cose che interessano da vicino il territorio lombardo. Dopo mesi, anzi anni, di indiscrezioni su presunti matrimoni che sono sfumati, prima con Ubi che a sorpresa è convolata a nozze con Intesa Sanpaolo, poi con la francese Crédit Agricole che ha preferito concentrarsi sul Credito Valtellinese e, più di recente con Bper, gli azionisti di Piazza Meda devono ritenere che il momento cruciale stia arrivando e non vogliono farsi cogliere impreparati. Nei giorni prima di Natale un gruppo di cinque Fondazioni bancarie (Crt, Enpam, Lucca, Trento e Rovereto) che insieme rappresentano il 5,5 per cento del capitale della banca guidata da Giuseppe Castagna ha dato vita a un patto di consultazione con l’obiettivo di far sentire la propria voce nelle prossime scelte strategiche. Il loro esempio è stato seguito adesso da un terzetto di imprenditori – Giorgio Girondi, patron del gruppo produttore di filtri, Ufi Filters, Sandro Veronesi con la sua Calzedonia Holding e Dario Tommasi, a capo dell’omonima dinastia di viticoltori veronesi – che è riuscito a coagulare il 6,6 per cento in un nuovo patto che, a quanto si vocifera, potrebbe spingersi sotto la soglia del 10 per cento, che è il limite oltre il quale occorre l’autorizzazione della Bce.

 

Queste cose succedono quando le banche hanno un azionariato molto frammentato, che teme iniziative troppo aggressive da parte del mercato, per esempio un’opa ostile, oppure quando si intende dare manforte all’azione dell’amministratore delegato. Nel caso di Banco Bpm dovrebbe trattarsi della seconda ipotesi perché, a quanto pare, Castagna non è contrariato dalla formazione di questi schieramenti e canali di comunicazione sono già avviati con entrambi. Del resto, la grande stagione del risiko bancario si presenta come ricca di opportunità ma anche di insidie, tra aggregazioni caldeggiate dalla Vigilanza, suggerite dalla crisi economica scatenata dalla pandemia e quelle spinte da alcuni grandi investitori. Fondamentale sarebbe per l’amministratore delegato poter contare su un ampio consenso nell’assemblea dei soci attraverso cui dovrà passare qualsiasi tipo di operazione. Tra il patto di consultazione delle Fondazioni e quello delle imprese non risulta esserci una sensibile diversità di approccio in questo senso se non quella dettata dalla natura dei soci, più sensibile alle istanze sociali e ai bisogni del territorio le prime, più incline a preservare lo sviluppo del tessuto economico i secondi. Nel complesso, c’è una visione comune e cioè che vada preservata la stabilità della banca e che il suo futuro debba restare saldamente ancorato all’area lombardo-veneta.

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In particolare, il mantovano Girondi, che in Banco Bpm ha investito 113 milioni di euro per acquistare una partecipazione superiore al 5 per cento diventando il secondo azionista dopo la banca svizzera Ubs (salita di recente al 6 per cento), non fa mistero di voler preservare il valore del suo capitale spingendo verso operazioni che rafforzino l’istituto meneghino nel nord Italia. Obiettivo condiviso con Veronesi e Tommasi e, si dice, anche con altri imprenditori locali che presto potrebbero entrare nell’accordo di consultazione. Tutto questo gran movimento è considerato dagli analisti come il segnale che Banco Bpm sta per entrare nella stagione del consolidamento bancario in cui avrà un ruolo centrale grazie a tre fattori che giocano in suo favore: la presenza nelle regioni più ricche del nord Italia, lo spazio per creare sinergie a livello di costi e di ricavi e, infine, la carta più importante che è rappresentata da una dote fiscale di 1,1 miliardi di Dta, cioè di crediti di imposta che si possono trasformare in capitale in caso di fusioni e aggregazioni, come previsto dall’ultima legge di bilancio. Ma con chi si potrebbe unire l’ex popolare? L’ipotesi più accreditata di recente, è cioè un matrimonio con Bper, ha perso smalto in seguito ad alcune dichiarazioni di Carlo Cimbri, numero uno di Unipol (azionista di riferimento di Bper), che lo hanno fatto apparire più scettico rispetto ad appena due mesi fa quando aveva, in sostanza, benedetto le nozze. Ma il risiko bancario è fatto anche di tatticismi e mosse a sorpresa e nulla si può escludere, compresa l’ipotesi di accordi con operatori esteri. Una strada che la Bce intende incoraggiare alla luce dell’impatto che i crediti deteriorati generati dalla crisi economica avrà nei bilanci delle banche che farà diventare inevitabile l’unione delle forze anche tra banche di paesi diversi.  

 

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