Lo statalismo è la vera religione degli italiani. E ci condurrà all'autodistruzione

Giancristiano Desiderio

Un libro necessario. Da sabato 27 ottobre in edicola con il Foglio

Ogni due settimane in allegato con il Foglio a 4,50 euro c’è un libro della collana “Liberi dal Populismo”. Da sabato 27 ottobre c’è Giancristiano Desiderio con “L’individualismo statalista. La vera religione degli italiani”. Chiedilo al tuo edicolante.

 


 

Il populismo e il sovranismo sono le nuove formule di un vecchio problema: lo statalismo. In Italia la stagione dello statalismo della Prima Repubblica non è mai realmente finita e oggi con la cosiddetta Terza Repubblica, che vede al governo forze anti sistema come il M5s e la Lega, lo statalismo è ritornato a essere un organo della conoscenza con cui chi ha il potere ritiene di poter imporre a tutti, in nome della inesistente verità o della mitologica volontà generale, le sue scelte illiberali. Lo statalismo italiano, però, è particolare: non è solo una imposizione politica ma anche una volontà individuale degli italiani che vedono nello stato un’istituzione salvifica alla quale vendere l’anima in cambio della salvezza del corpo. E’ una scorciatoia che, come le bugie di Pinocchio, ha le gambe corte e come tutte le scorciatoie porta fuori strada. Infatti, l’Italia sta finendo nel burrone.

 

L’individualismo statalista è la vera religione degli italiani. In merito non ci possono essere dubbi. E’ la più antica forma di corruzione politica dove, però, non è il potere che corrompe gli italiani bensì sono gli italiani che corrompono il potere. La relazione che c’è tra la politica e gli italiani si basa su una finzione: al politico compete il ruolo di dire ciò a cui non crede e agli italiani di far finta di crederci. 

 

La scena pubblica è sempre una messa in scena. Una carnevalata che i fatti di questi giorni illustrano bene, nascondendo ciò che per comodità non si vuol vedere: la libertà tragica. La conseguenza della messa in scena è che la politica italiana è destinata a essere sempre illiberale. I suoi caratteri fondamentali sono tre.

 

Il primo: in uno stato liberale o decente la domanda decisiva non è “Chi deve governare?”, bensì “Quanto si deve governare?”. Chi governa non sa tutto e, dunque, non può tutto. La moderazione non è questione di toni – c’è sempre qualcuno che dice “Abbassiamo i toni” – ma di limitazione del potere.

 

Secondo: in Italia tutto ruota solo e sempre intorno alla prima domanda proprio perché si vuole un potere illimitato. Nella teoria e nella pratica della conquista dello Stato non è previsto il governo nazionale ma la irreggimentazione di un ceto politico che occupi tutto l’occupabile. La cultura dell’individualismo statalista produce governi molto attivi ma inutili.

 

Terzo: sono gli stessi italiani a chiedere allo stato di essere in cielo, in terra e in ogni luogo. Ovunque. Con il risultato che lo stato non ci sarà dove serve e sarà dove non serve.

 

Questa democrazia illimitata si alimenta con la sua stessa autodistruzione, ossia distruggendo le risorse economiche, sociali, umane che la nazione nel suo corpo continua a creare spontaneamente per intima necessità di sopravvivenza. Ma non è finita. Perché la cultura dell’individualismo statalista, rovesciando tutto sulle spalle del mitico stato, crea l’alibi perfetto. Quando si fallisce si sa con chi prendersela: con lo stato, con l’Europa, con i mercati, con “quelli di prima”. Ma è l’ultima delle bugie, perché ci salviamo o ci condanniamo da soli. Sempre.

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