L’erede al trono del Crisantemo Akihito incontrò Michiko nell’estate del 1957, durante una partita di tennis a Karuizawa. Ci tornarono nell’agosto del 2010 (foto LaPresse)

L'imperatrice senza voce

Giulia Pompili
Il messaggio alla nazione di Akihito è una richiesta d’aiuto. Ma dietro l’uomo che vuole riformare il Trono del Crisantemo c’è una donna che gli ha dedicato la vita. Mentre l’imperatore registrava il suo videomessaggio alla nazione, dietro le telecamere c’era lei, Michiko.

Il messaggio che è stato diffuso lunedì scorso dell’imperatore del Giappone, forse il più importante atto politico della sua vita, era stato registrato la sera prima, nel Palazzo Imperiale di Tokyo. Le immagini di quel video hanno fatto il giro del mondo: l’ottantaduenne Akihito, il “simbolo” del Giappone e dell’unità del suo popolo – così com’è scritto nella Costituzione giapponese – sedeva da solo alla scrivania, e il suo volto tradiva molto più delle parole la gravità del messaggio che stava lanciando. Una richiesta d’aiuto, a tutto il popolo nipponico: lasciatemi libero. Ma libero da che cosa? Abdicare, nel Giappone moderno, è semplicemente impossibile. La Kunaicho, la potentissima Agenzia della Casa imperiale che controlla vita e morte dei regnanti di Tokyo, come sempre ha lasciato trapelare ben pochi dettagli su quel discorso. Una cosa però si può supporre. Mentre Akihito pronunciava quelle parole quantomeno destabilizzanti per la dinastia imperiale più antica del mondo, davanti a lui, e come sempre dietro le telecamere, c’era Michiko.

 

Fino al periodo Edo l’abdicazione degli imperatori era una pratica piuttosto diffusa – che fosse volontaria oppure forzata. L’ultimo imperatore ad abdicare fu Kokaku, che lasciò al figlio l’impero nel 1817. Per rendere l’idea delle generazioni passate nel frattempo, basti pensare che Kokaku era il 119esimo imperatore del Giappone, Akihito è il 125esimo. Dall’Ottocento il mondo si è trasformato, il Giappone ha cambiato volto, e le lotte di potere tra shogunati e il potere politico imperiale sono finite con l’inizio della Restaurazione Meiji (1866). Ottant’anni dopo, gli americani che riscrissero la Carta giapponese subito dopo la fine della guerra e la resa incondizionata di Tokyo lasciarono il padre di Akihito, Hirohito, al suo posto d’imperatore. Secondo gli storici lo fecero per non privare i giapponesi della giusta motivazione per affrontare il Dopoguerra dopo due Bombe atomiche. Il trono del Crisantemo fu spogliato però di tutte le caratteristiche che fino ad allora avevano costituito l’impero giapponese, rendendo quella dell’imperatore una figura prevalentemente di rappresentanza. Dopo il 1946, chi siede sul trono non ha più una “natura divina”, e fu lo stesso Hirohito ad annunciarlo in un celebre discorso trasmesso alla radio il 1° gennaio del 1946 (la dichiarazione sulla natura umana dell’imperatore, il Ningen sengen).

 

Ma soprattutto, l’imperatore non era più il comandante in capo, e gli era preclusa qualsiasi interferenza con la politica. E’ anche per questo che furono invece lasciate le tradizionali regole di successione – regolate da legge ordinaria parlamentare – di padre in figlio (rigorosamente maschio), e rimase pure la norma secondo la quale “l’imperatore resta in carica fino alla sua morte”. Perché le “dimissioni”, altrimenti, si sarebbero potute usare per scopi politici. Nonostante queste rigide regole sull’interferenza, da quando è entrato in carica ventisette anni fa Akihito si è spesso lasciato andare a considerazioni vagamente politiche, soprattutto in quest’ultima fase di regno, con il Kantei – il palazzo del governo di Tokyo – occupato dal falco conservatore Shinzo Abe. Qualunque proposta di legge che dovesse modificare le regole della successione, oggi, sarebbe subordinata a un dibattito parlamentare e a uno scontro politico. Per capire il desiderio di Akihito di rinnovare l’istituzione più antica del Giappone, di cambiarla dal suo interno – non solo lasciandolo libero di abdicare ma anche modificando la successione maschile – e per spiegare quanto la vita all’interno delle mura di cinta del Palazzo imperiale sia ferma a settant’anni fa, mentre il mondo fuori cambia, vive, si rinnova, è sufficiente raccontare la vita di una donna che da ventisette anni è prigioniera del suo ruolo. Senza voce.

 

Per fare una passeggiata a Tokyo, Michiko, l’ottantunenne moglie dell’imperatore del Giappone deve chiedere l’autorizzazione alla Kunaicho quattordici giorni prima. Il protocollo dell’Agenzia – un carrozzone burocratico composto da milleduecento dipendenti che comprende i funzionari, il cerimoniale, le guardie, gli autisti, un’orchestra, sarti, contadini, eccetera – è tra i più rigidi del mondo. La coppia imperiale non possiede un cognome, non possiede documenti, non possiede beni materiali (appartengono tutti allo stato), non può esprimere opinioni, nemmeno sulla marca di sake preferita (viene consegnata da un luogo segreto, senza etichetta). Michiko deve seguire tutte le regole previste, anche quelle stabilite per il suo rapporto pubblico con il marito. In un ritratto del 2007 pubblicato sul Telegraph in occasione della visita a Londra della coppia imperiale, William Langley scriveva: Michiko è una farfalla con un’ala rotta. “Deve cambiare il kimono tre volte al giorno, tenere gli occhi bassi, e camminare tre passi dietro suo marito. Non possiede soldi suoi, nemmeno un telefono dal quale fare telefonate private. Soltanto cinque anni fa è stata autorizzata a viaggiare sola, senza l’imperatore”. E non è che Akihito sia un mostro, anzi. Il problema è piuttosto della Kunaicho, spiegava al Telegraph Jeffrey Kingston, professione di Storia all’Università di Tokyo, “un gruppo di burocrati il cui unico lavoro è quello di tenere la famiglia sotto uno stretto controllo, e assicurarsi che tutti i membri vivano secondo i dettami dell’agenzia”. E le mogli degli imperatori, in tutto questo, sempre tre passi dietro al marito – anche se nel passato giapponese è piena la storia di imperatrici donne, vedove o mogli di mariti impossibilitati a cui veniva assegnata la reggenza per i brevi periodi in cui serviva.

 

Michiko ha sposato Akihito il 10 aprile del 1959. I due si incontrarono durante una partita di tennis, nell’estate del 1957, in un resort a Karuizawa, una popolare meta turistica nella meravigliosa prefettura di Nagano. Michiko era la figlia maggiore di Hidesaburo Shoda, presidente della Nisshin Seifun – un’enorme azienda di prodotti alimentari e di distribuzione giapponese. Un cattolico, in un paese di scintoisti. Dopo un anno e mezzo, la Kunaicho annunciò il fidanzamento tra Akihito e Michiko. Il fatto che lei non fosse una aristocratica, ma la prima donna senza sangue blu a fidanzarsi con un erede al trono, portò i giapponesi ad amarla sin da subito, e quella fazione di falchi conservatori e tradizionalisti a cercare di scoraggiare le nozze. Ma “Mitchi”, come la chiamavano durante il college, era bellissima, era ricca, ed era colta. Si era laureata nel 1957 all’Università del Sacro cuore di Tokyo in Letteratura, aveva conosciuto Oxford e Harvard. Secondo il biografo dello scrittore giapponese Yukio Mishima, Henry Scott Stokes, Mitchi era stata promessa in sposa all’uomo che il 25 novembre del 1970 compì il suicidio rituale per protestare contro la decadenza giapponese. Eppure lo stesso Mishima, dopo il matrimonio imperiale del ’59, criticò l’idea di un erede al trono del Crisantemo che sposa una donna del popolo. Secondo l’agenzia di stampa Kyodo news, in quel periodo aumentarono perfino le vendite dei televisori tra la popolazione, perché tutti, davvero tutti, volevano vedere la futura coppia imperiale coronare il sogno d’amore. Anche oggi il legame tra Akihito e Michiko sembra più forte delle regole, dell’etichetta e della Kunaicho. In occasione del compimento dei suoi ottant’anni, il 20 ottobre del 2014, Michiko ha risposto ad alcune domande sulla sua infanzia e sulla sua vita: uno spaccato privato a cui difficilmente si è potuto assistere. “I primi ricordi della mia infanzia, fino all’età di dieci anni e prima che la situazione della guerra deteriorasse, riguardano le mie giornate passate quasi tutte a giocare fuori, sotto il sole”. Per la piccola Michiko la natura aveva un ruolo fondamentale, una passione che guarda caso condivide con il marito Akihito, che studiò brevemente Scienze politiche ma poi si interessò molto di più alla biologia e alla ittiologia, diventando uno dei massimi esperti al mondo di ghiozzi. Dopo l’evacuazione di Tokyo, ricorda Michiko, “le mie giornate erano ben lontane dalla vita tranquilla che avevo condotto fino a quel momento. Il Giappone del Dopoguerra aveva molti aspetti complicati che perfino uno studente delle elementari poteva avvertire, e quello è stato un periodo molto sensibile per me. Dopo la fine della guerra sono rimasta qualche tempo in campagna, per poi tornare a Tokyo per finire gli studi. Avevo cambiato scuola cinque volte in tre anni, e ogni volta che entravo in una nuova scuola trovato difficoltà ad adattarmi ai metodi d’insegnamento. Per molti anni questo problema mi ha lasciato con un sentimento d’insicurezza, come se ci fosse qualcosa che mancava nelle mie competenze accademiche di base. Molti anni più tardi, dopo il mio matrimonio, mi sono imbattuta in una poesia su un giornale, scritta da una donna – ho pensato che anche lei fosse cresciuta durante la guerra. L’ultima parte della poesia diceva: ‘Ci sono tante cose che non so / anche ora che sono una madre’”. La maternità fa soffrire perfino l’imperatrice: “Come genitori, tendiamo a pensare che i nostri figli saranno sempre con noi, ma col passare degli anni tutti e tre i nostri bambini, ciascuno avendo trovato il proprio partner nella vita, hanno lasciato la nostra famiglia, uno per uno. Sono molto diversi tra loro, caratterialmente. Anche se penso di averli cresciuti con tutto il mio amore e con cure affettuose, suppongo che ci siano molte cose che avrei potuto fare di più per i miei figli”. Michiko ha poi ricordato i suoceri e il suo amato marito, “che mi ha mostrato il percorso finora”. E i consigli di suo padre, che la mattina del suo matrimonio con l’erede al trono le disse: “‘Vivi secondo i desideri di Sua Maestà l’imperatore, e del suo erede al trono’. Il ricordo di quelle parole mi hanno sempre sostenuta e guidata. E penso che continueranno a farlo ancora”.

 

Nonostante le rigide regole di etichetta e la sofferenza più volte espressa da Michiko, l’imperatrice ha sempre rispettato ruolo e impegni. E’ anche per questo che la moglie dell’attuale erede al trono Naruhito, la “principessa triste” Masako Owada, forse prossima imperatrice, non è vista di buon occhio dalla Kunaicho. Oggi cinquantaduenne, Masako è figlia di diplomatici e lei stessa aveva davanti una buona carriera nel campo delle relazioni internazionali, ma dovuto rinunciare a tutto nel 1993, quando ha sposato Naruhito. Dieci anni dopo, quando la primogenita Aiko aveva solo due anni, Masako è sparita dalla vita pubblica. Da anni soffrirebbe di una depressione “cronica”, pressata anche dal fatto di non essere riuscita a dare al marito – e ai giapponesi – un figlio maschio. Naruhito l’ha sempre difesa, parlando di una incapacità della moglie di “adattarsi” alla vita imperiale, ma sui tabloid giapponesi di tanto in tanto ancora oggi vengono pubblicati articoli contro Masako, che non svolge il proprio ruolo. In un’intervista a Panorama di qualche anno fa, la famosissima scrittrice giapponese Nanami Shiono, amica dell’imperatrice Michiko, disse di lei: “Masako era la speranza delle donne giapponesi. Oggi, con il suo rifiuto di assolvere i doveri pubblici e i suoi gusti da arricchita, è la nostra vergogna”. E poi: “Dopo il terremoto, correre a confortare quella povera gente sarebbe stata un’occasione per recuperare. Invece lei non va. Come non esce a salutare quei giapponesi che arrivano da ogni parte del paese per pulire, gratis, il palazzo imperiale. Così distrugge l’immagine del principe ereditario. Il popolo si è staccato da lei”, ha detto.

 

Le immagini di Akihito e Michiko dopo il terremoto e lo tsunami dell’11 marzo del 2011 sono invece impresse nei cuori dei giapponesi. Dopo la tragedia, l’imperatore inviò un videomessaggio a reti unificate, e poi, insieme con la moglie, andò a visitare i centri per sfollati, rompendo ogni regola di etichetta. Come dire: non è il tempo delle regole, è il tempo della compassione, della misericordia. Questo atteggiamento ha avvicinato la coppia imperiale alla gente. Lo stesso hanno fatto i discorsi piuttosto progressisti di Akihito, che ogni Capodanno ricorda quanto male il Giappone ha fatto ai suoi vicini, vagamente opponendosi alla revisione costituzionale che vorrebbe far riavere a Tokyo il diritto di possedere un esercito (e di ingaggiare una guerra). La coppia imperiale viene da una Tradizione conservatrice, ma attualmente sembra l’opposizione più progressista e pacifista della politica giapponese. A questo si aggiunge il fatto che l’ottanta per cento dei cittadini appoggia la decisione dell’imperatore di volersi ritirare. E allora, chi si oppone al suo pensionamento?

 

Il messaggio di Akihito sulla riforma costituzionale per permettere l’abdicazione non riguarda solo la sua sofferenza fisica nel continuare a 82 anni a rappresentare la nazione. E’ una questione politica, che ha a che fare con la religione. “La Costituzione del Dopoguerra separa esplicitamente la religione scintoista dallo stato e trasforma l’imperatore giapponese in un capo dello stato simbolico”, scrive Sheila A. Smith in “Intimate rivals”. “Questa riforma non fu gradita da molti giapponesi. Per questo lo Yasukuni, il santuario scintoista, diventò il luogo di raduno per tutti coloro che cercavano di contrastare la narrazione del Dopoguerra, che nasceva dal Tribunale di guerra dell’Estremo oriente e che accusava il Giappone di crimini durante la prima metà del Ventesimo secolo”. Lo Yasukuni creò una spaccatura nel corso degli anni, e divenne il simbolo della restaurazione scintoista (anche per questo Shinzo Abe, e prima di lui Junichiro Koizumi, crea enormi fratture diplomatiche ogni volta che fa visita al santuario). La natura umana e progressista del Trono del Crisantemo si scontra quindi con la visione conservatrice dell’establishment di Shinzo Abe, una visione che condivide con gran parte dei membri del suo governo (compresa la nuova ministra della Difesa, Tomomi Inada) e con la nuova governatrice della città di Tokyo, Yuriko Koike. A oggi, gli unici alleati del riformismo della coppia imperiale sono il Partito comunista nipponico, e i giapponesi.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.