Il gran carceriere

Giuseppe Marcenaro
Hudson Lowe, il generale britannico che vegliava su Napoleone a Sant’Elena. Anche per lui, chiacchierato in patria, era un esilio. Al primo incontro, la prima rissa. Per l’appuntamento alle nove di mattina. Bonaparte gli chiuse la porta in faccia.

Gli avevano praticamente sbattuto la porta in faccia. Si era presentato con inglese puntualità alle nove precise davanti all’uscio di Longwood House. Indossava la divisa di generale, rosso sgargiante, con una pettata di medaglie. Quelle lucrate durante le campagne cui aveva partecipato tintinnavano con le decorazioni conferitegli dalle corti russa e prussiana. Era il 17 aprile 1815. Il giorno prima sir Hudson Lowe era sbarcato dalla fregata Phaeton con tutti gli onori dovuti come nuovo governatore dell’isola di Sant’Elena. Era arrivato per sostituire l’ammiraglio Cockburn, fin a quel dì “custode” dell’imperatore Napoleone Bonaparte, esiliato nella piccola isola dell’equatore, nel bel mezzo dell’oceano Atlantico, dopo essersi consegnato il 15 luglio 1815 a Rochefort a bordo della nave britannica Hms Bellerophon al comando di Frederick Lewis Maitland.

 

L’ammiraglio George Cockburn aveva letto a uno sdegnato Napoleone il messaggio con il quale il governo britannico gli comunicava il suo esilio, specificando che solo tre degli ufficiali del suo seguito avrebbero potuto seguirlo. L’imperatore, a dispetto delle intenzioni degli inglesi, cercava di prendere tempo e anche l’opposizione inglese tendeva a trattenerlo in Gran Bretagna con uno stratagemma. A lord Liverpool era giunta la notizia che Napoleone, citato in giudizio come testimone in un processo sulla condotta della Marina imperiale in una battaglia avvenuta alle Antille contro la Royal Navy, sarebbe stato obbligato a presentarsi in tribunale. Potendo così sbarcare dal Bellerophon dov’era “trattenuto”. Il governo britannico attuò immediatamente una contromossa: il vascello venne fatto veleggiare al largo, intanto per allontanare la moltitudine di curiosi che ogni giorno incrociavano per vedere l’imperatore, e soprattutto per impedire al messo del tribunale di raggiungerlo e consegnargli la citazione. Ch’era il mezzo “formale” per sottrarlo alla custodia. Le scelte erano però già state formulate. Bonaparte fu trasportato a Plymouth da dove, trasferito sulla fregata Hms Northumberland, venne “spedito” a Sant’Elena. Arrivò il 23 ottobre del 1815.

 

Poi, storia nota. A Napoleone viene assegnata come residenza permanente un’antica villotta, la Longwood House di proprietà della Compagnia delle Indie. Qui vivrà inizialmente sotto la sorveglianza del capitano William Poppleton. Nella stessa villa sono alloggiati i generali Gourgaud e Montholon. Il maresciallo Bertrand si stabilisce con la moglie in un cottage non lontano. Il “soggiorno” della piccola corte sull’isola non è dei più agevoli. Anche se si vive nella speranza che in Francia succeda qualcosa capace di rovesciare ancora una volta il tavolo della storia.

 

Intanto, visto il suo cursus honorum e per mitigare curiosi chiacchierati ardori, consumati con giovani ufficiali, e perciò allontanarlo, il 1° agosto 1815 sir Hudson Lowe era stato nominato governatore dell’isola di Sant’Elena. Passarono un po’ di mesi prima che prendesse possesso del suo governatorato. Vi arrivò, con la moglie – da tutti quei che sapevano considerata “moglie dello schermo” – la sera del 16 aprile 1816. Aveva subito incaricato il capitano William Poppleton di informarsi su quale fosse l’ora più opportuna per incontrare il “prigioniero”. E scoppiò la prima rissa. Sembra che Poppleton gli avesse detto che il momento migliore sarebbe stato verso la nove di mattina.

 

Napoleone, appreso dell’appuntamento senz’essere stato informato, ovviamente reagì malissimo. “Sono veramente stupito che il capitano Poppleton abbia potuto fissarmi degli orari visto che sono qui da ben quattro mesi e mai una volta ho ricevuto chicchessia alle nove”. Nessuno si era ovviamente preoccupato di avvertire il nuovo governatore della reazione dell’imperatore. Alle nove precise del mattino dopo Lowe bussò alla porta della “residenza” francese. Il generale de Montholon, gelidamente, gli comunicò che non vi erano visite previste lungo la giornata. Il governatore, irritato, si recò allora a Hutt’s Gate, l’abitazione del gran maresciallo Bertrand. Protestò per il fatto che Napoleone non fosse stato informato della sua visita. Bertrand, più impassibile di un inglese, replicò che i1 capitano Poppleton sapeva benissimo che l’imperatore, ormai da quattro mesi a Sant’Elena, non aveva mai ricevuto nessuno alle nove del mattino. Tutte le volte che un personaggio aveva chiesto d’incontrarlo, l’ora ?ssata dall’imperatore era sempre stata le sedici. Era l’etichetta imposta a Sant’Elena.

 

Napoleone sapeva chi fosse Hudson Lowe. Lo confidò a Las Cases. “Il comportamento del signor Lowe, discende dalle sue abitudini, dalla vita che ha ?n qui condotto. Ha comandato soltanto stranieri disertori, piemontesi, còrsi, siciliani, tutti rinnegati, ribaldi, traditori della loro patria: il fango e la schiuma d’Europa. Se avesse comandato uomini dabbene, soldati, inglesi, e se egli stesso fosse un vero inglese, non dimenticherebbe che bisogna usare dei riguardi verso colui che si è obbligati a onorare”.
Ma chi era Hudson Lowe? Irlandese per parte di madre, era nato a Galway, un posto con una spiaggia sassosa al fondo di una baia volta verso l’oceano, protetta dalle isole Aran. Un luogo sperduto d’Irlanda, ricordato soltanto dai vortici provenienti dall’Atlantico. Figlio di John, un chirurgo militare, in quell’angolo dimenticato il 28 luglio 1769 venne al mondo il futuro “carceriere” di Napoleone. Quando assunse il “comando” con il titolo di governatore dell’isola dov’era stato deportato l’imperatore, Lowe aveva quarantasette anni e un accidentato curriculum militare.

 

A vent’anni era entrato nella milizia del Devon. Durò poco. Inviato a Gibilterra, nel 1793, dichiarata dall’Inghilterra la guerra contro la Francia, Lowe sbarcò per il servizio attivo in Corsica. Poi fu all’Elba, e a Minorca. Ebbe finalmente un comando: un battaglione di esiliati corsi, noti come i Corsican Ranger, inviati in Egitto. Pochi anni dopo, facendo carriera, con il titolo di tenente-colonnello, sempre al comando dei corsi, era in Sicilia. Riuscì a conquistare l’isola di Capri. Subito dopo espugnata dalle truppe di Gioacchino Murat. Doveva essersi specializzato in isole, perché di lì a poco con la sua truppa, conquistò Ischia, Procida, Zante, Cefalonia. Per pochi mesi governatore di Cefalonia e Itaca. Incaricato di istruire una legione russo-tedesca di nuova formazione, con quella, incorporata nelle armate anti francesi nella guerra finale contro le truppe di Napoleone, Lowe partecipò a ben tredici battaglie della campagna di Francia.

 

Fu lui, entusiasta messaggero, a recare a Londra, nell’aprile 1814, la notizia della prima abdicazione di Bonaparte. Ottenne il titolo di sir e la promozione a maggiore-generale. Era tuttavia guardato con sospetto. Troppo vanitoso. E peggio, controllato dai comandi militari inglesi quando si diffuse la diceria della sua propensione all’amore greco. Insomma se la faceva con alcuni suoi sottoposti. Con estetica raffinatezza sceglieva tra i belli della compagnia. Fu così emarginato. La sorte gli negò l’onore della risolutiva battaglia di Waterloo, alla cui vittoria avrebbe potuto vantarsi di aver contribuito. Quel giorno, 18 giugno 1815, era a Genova, inviatovi per organizzare le forze inglesi di stanza in quell’area.

 

Con l’arrivo di Lowe a Sant’Elena si compì il destino di due esili. Carcerato e carceriere tolti di mezzo. Tra loro fu battaglia. L’epopea dei dispetti formali. Un duello sordo durato cinque anni, fino al fatale 5 maggio 1821 quando Napoleone morì. Un sollievo per entrambi. Almeno per l’imperatore cui ormai non doveva proprio importare più nulla se un Lowe qualsiasi, negandogli l’attributo di Sire, gli si rivolgeva “degradandolo” a “generale Bonaparte”. Il governatore tignava sui conti del mantenimento che periodicamente gli presentava la “corte francece” di Longwood House. L’imperatore reagiva. “Questi particolari sono penosi e ignobili. Non riuscirete a strapparmi l’oro che non possiedo. E poi ditemi, chi vi chiede qualcosa? Vi ho forse pregato di sfamarmi?” Lowe “sequestrava” personalmente libri e oggetti arrivati a Sant’Elena dichiarando che il destinatario era sconosciuto quando erano indirizzati “A Sua Maestà l’Imperatore”.

 

E Napoleone si sfogava con Las Cases che annotava le stizzite reazioni in quello che sarebbe diventato il Memoriale di Sant’Elena: “Chi vi ha dato il diritto di contestarmi il titolo? Fra pochi anni il vostro lord Castlereagh, il vostro lord Bathurst e tutti gli altri, voi stesso, sarete sepolti nell’oblio e nella polvere… O se i vostri nomi verranno ricordati, sarà per le cose indegne compiute contro di me”. In effetti, come noto, la vita di Napoleone a Sant’Elena era controllatissima. Un prigioniero guardato a vista. Si temeva una sua fuga. Ogni giorno un ufficiale inglese compieva un sopralluogo a Longwood. Spiava dalla finestre se Napoleone fosse nella sua stanza. Una intrusione continua nel privato più privato. Lowe voleva che il “generale” fosse guardato a vista. Un ennesimo libro esce adesso, curiosa antologia di testimonianze: Gianpietro Grecchi, Napoleone muore (Gammarò ed., 314 pp., 19 euro).

 

Il 5 maggio 1821 liberò i duellanti. Uno sottoterra. L’altro fece ritorno in Inghilterra orgoglioso di come il suo impegno avesse contribuito a porre fine alla vita dell’ingombrante personaggio che, sia pur relegato su un’isola nel mezzo dell’Atlantico, aveva continuato a inquietare i governi europei. Hudson Lowe si aspettava un riconoscimento, una promozione, una decorazione da aggiungere alla sua collezione. Non gli ci volle molto a scoprire d’aver “custodito un mito”. Inaspettatamente per Lowe, non soltanto la gente comune, ma anche scrittori popolari come Walter Scott esaltavano la memoria di Napoleone. “Le vittorie francesi furono davvero straordinarie. Per il suo paese Napoleone fece grandi cose… I suoi progetti sagaci, grandi e rivolti al pubblico bene”. In Lowe crebbe una cocente delusione. S’era inoltre diffusa la convinzione che Napoleone fosse stato avvelenato e che quella di Lowe fosse la mano assassina.

 

Per strada, riconoscendolo, la gente lo rincorreva insultandolo. Lui non capiva. Non arrivò nessun encomio per il suo impegno a Sant’Elena. Nessun avanzamento di carriera. Re Giorgio IV gli rifiutò l’udienza che aveva chiesto con insistenza per spiegare le proprie ragioni. Il comando dell’esercito respinse la sua domanda di pensionamento. Gli alti gradi lo evitavano. E sir Hudson Lowe, che s’apettava chissà quali riconoscimenti, continuava a non capire. A modo suo si considerava un eroe. Avrebbe preteso di passare alla storia. L’esito della sua “impresa” fu invece una nemesi. Uno strano destino compiutosi per eccesso di zelo. Aveva semplicemente adempiuto agli ordini che gli erano stati verbalmente impartiti a Londra da Lord Castlereagh: rendere impossibile la vita al prigioniero. Ostinato alla consegna, con burocratico fervore, si era assoggettato a essere strumento di un odio cieco e ormai senza senso. L’astro napoleonico era definitivamente tramontato a Waterloo.

 

Alla fine non resse più. Chiese d’essere inviato in una colonia. Accontentato, partì per una località sperduta dell’India. Informata del suo arrivo, la gente del posto tentò di ributtarlo in mare non appena sceso a terra. Recava con sé la fama dell’uomo che aveva fatto morire Napolone. Non gli rimase che tornarsene sulla nave da dov’era sbarcato e riprendere il mare. Tentò di stabilirsi nelle isole Mauritius. Durò poco. Fece ritorno in Europa. Sotto falso nome sparì in una località sconosciuta, dove morì nel 1844. Non prima però, masticando veleno, d’essersi dedicato a scrivere un suo memoriale per smentire quello di Las Casas, la testimonianza di quanto era avvenuto a Sant’Elena. Sir Hudson Lowe rovesciò nel suo Contromemoriale di Sant’Elena tutta l’amarezza e lo sconcerto di cui poteva essere capace un militare. Quello di Lowe è un libro che rassomiglia a una strana vendetta.

 

Con stile rozzo, senza evidentemente rendersene conto, trasforma un tentativo di difesa in un terribile atto d’autoaccusa. Il governatore di Sant’Elena non fu che il fedele esecutore degli ordini impartitigli dai governanti del suo paese. Aveva sempre obbedito senza discutere. Per lui gli ordini erano ordini e poi, da buon inglese come credeva d’essere, odiava Napoleone. Nel Contromemoriale di Sant’Elena con la stolta vanità del burocrate cieco si dipinse come un San Giorgio il cui compito era quello di dare il colpo di grazia al tiranno. E in più, tagliato fuori dal mondo, immaginava che i suoi connazionali, dal sovrano all’ultimo degli scaricatori del Tamigi, seguissero con crescente simpatia le sue prodezze di governatore nell’isola di Sant’Elena.

 

“Ora non c’è più nessuno che imprechi contro di lui, è un coro universale, una sollevazione unanime contro un disgraziato che lo ha posto in una condizione fatale. C’è una scritta sulla fronte del disgraziato, questa scritta lo fa riconoscere da per tutto; e da per tutto si dice eccolo. E ciascuno lo fugge, in preda a orrore. Così avviene di me. E che ho fatto io? Io sono stato esecutore troppo fedele e zelante di istruzioni e di ordini che un ministero odioso mi impartiva. Da ogni parte si sono levate voci ad accusarmi di essere stato il carceriere, il carnefice di Napoleone Bonaparte… La sentenza dell’Europa pesa sopra di me; si è associata al mio nome per accompagnarglisi nei secoli venturi; e io sono uno di quegli sciagurati che scrivono legati a un cadavere; il cadavere di Napoleone è sempre con me, legato e stretto alla mia esistenza; e quando il mio nome viene pronunciato, vedo la gente fremere, vedo i visi oscurarsi, e lo sdegno contrarre i muscoli. Io che posso fare? Giustificarmi? Non me ne sento più la forza, perché vi sono accuse che schiacciano, soprattutto quando ormai si è persuasi che tentare di scagionarsi è inutile, quando si sa che i giudici hanno già pronunciato la sentenza e che non vogliono più dare ascolto all’accusato”.

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