Andrea Pertici con Pippo Civati nel 2015 (LaPresse)

Il caso

Andrea Pertici, il dirigente schleiniano del Pd che difende i pm contro Renzi

Luciano Capone

A rappresentare la procura di Firenze nel processo contro l’ex premier c’è un suo dichiarato avversario politico. E finirà per sostenere una posizione opposta a quella dei dem in Senato

Una delle accuse di Matteo Renzi alla procura di Firenze, accusato di finanziamento illecito nell’inchiesta Open, è quella di un accanimento politico-giudiziario nei suoi confronti. Non aiuta certo a confutare l’accusa dell’ex premier, o quantomeno ad allontanare il fumus persecutionis, la scelta dell’avvocato da parte della procura. Infatti, nell’udienza pubblica davanti alla Corte costituzionale per la decisione di merito sul conflitto di attribuzioni promosso dallo Senato sull’acquisizione agli atti di messaggi whatsapp, sms, e-mail, nonché di un estratto del conto corrente bancario di Renzi, a difendere la procura di Firenze c’era l’avvocato Andrea Pertici.

 

Pertici è un professore di Diritto costituzionale all’Università di Pisa, ma è soprattutto un avversario politico di Renzi, di cui ha ampiamente contestato tutte le scelte politiche. Pertici è stato un esponente di “Possibile”, il movimento di Pippo Civati, che nel 2018 tentò di candidarlo a Pisa nelle liste di Leu, ma poi la candidatura sfumò. Negli anni successivi è stato vicino alle battaglie (contro Renzi) del M5s, ma soprattutto è attualmente un dirigente del Pd. E’ infatti il costituzionalista di riferimento di Elly Schlein, con cui ha la comune militanza in Possibile proprio durante gli anni del Pd renziano, che l’ha cooptato nella direzione nazionale del Pd. “L’atteggiamento assunto dal nuovo Pd guidato da Schlein rispetto ai temi del lavoro è finalmente chiarissimo: dalla parte dei lavoratori, contro precarietà e per il salario minimo, opposto al Jobs Act del Pd renziano: chi ha appoggiato quest’ultimo dovrebbe chiedere scusa”, dice Pertici.

 

L’aspetto surreale della questione, però, è che sulla vicenda specifica delle intercettazioni di Renzi, il 22 febbraio 2022 il Pd votò compatto a favore del conflitto di attribuzioni, a tutela dell’articolo 68 della Costituzione e delle prerogative dei parlamentari. Nella dichiarazione di voto Dario Parrini, attuale vicepresidente della commissione Affari costituzionali al Senato, parlò di un “fondato e ragionevole dubbio” che la procura di Firenze avesse “ecceduto, che abbia superato il confine che divide il suo territorio da quello di un altro potere costituzionale”, perché “troviamo ragionevole l'argomento che i messaggi e-mail e WhatsApp coinvolgenti un parlamentare sono una forma di corrispondenza parificabile alle tradizionali comunicazioni scritte di tipo cartaceo” tutelate dalla Costituzione. Accade invece che un dirigente del Pd, Pertici, sostenga davanti alla Consulta una posizione opposta a quella che il Pd ha sostenuto in Senato. E che la procura di Firenze scelga come avvocato un dirigente di partito che è un dichiarato avversario politico di Renzi. Per nessuno sembra esserci un problema di opportunità: né Pertici, né per la procura di Firenze né per il Pd Schlein.

Di più su questi argomenti:
  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali