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giustizia

Il caso della "talpa" di Piazzale Clodio è criminale. Ma è poi così diverso da altri?

Maurizio Crippa

La corruzione per avere notizie dai tribunali e le intercettazioni che volano. Il contesto in cui si svolgono le attività della giovane procuratrice non è diverso da quello che abbiamo visto in questi anni, impunito e persino elogiato in quota libera stampa

Arrivati al punto in cui si legge: “Con accertamenti particolarmente complessi sono stati anche intercettati gli addetti alle intercettazioni”, si fa evidente che nel grande tribunale dell’intercettateci tutti in cui il nostro paese è stato trasformato si è ormai superata la soglia del grottesco. Nemmeno un Gogol’ sarebbe giunto alle vette dell’écrivain del Corriere. Le mura del tribunale sono crollate come quelle di Gerico, rivelando il perverso rapporto tra intercettatori – i padroni delle intercettazioni, che si comportano come Putin con i rubinetti del gas – e i consumatori finali (sounds familiar?) di quelle intercettazioni, spesso illegali. La vicenda è quella della “talpa” di Piazzale Clodio, e ha invero una sua specificità criminale che non si intende certo sottovalutare. Ma i côté criminali parlano sovente anche di altri mondi.

 

E’ la vicenda di Camilla Marianera, giovane praticante d’avvocatura arrestata con l’accusa di essere “la talpa che faceva uscire notizie riservate dal tribunale di Roma”.

 

Le ricostruzioni fanno intuire un aspetto serio, e uno meno. Quello serio è che in collaborazione con il fidanzato, anche lui agli arresti, con legami con la mala delle tifoserie e zone limitrofe (per ora il livello criminale è basso) la praticante-talpa acquisiva con la corruzione notizie che poi vendeva con rodato sistema a tariffario persino a compratori del giro Casamonica. Corruzione di pubblico ufficiale, a partire da “un addetto all’ascolto e alla sbobinatura”. Ma ci sarebbero altri indagati per “mazzette in cambio di notizie riservate su procedimenti in corso, utenze intercettate, microspie”. Non comunque il Watergate, niente da giustificare l’eccitazione dei giornali. Soprattutto per un Palazzo di giustizia che ancora non ha finito di scrollarsi la fama di avere più buchi del Colosseo quadrato.

 

La parte più leggera riguarda la presunta Mata Hari, “laureata in Giurisprudenza all’Unicusano, commessa in negozi di abbigliamento, collaboratrice della sorella nutrizionista”, che “ha sostenuto l’esame a Catanzaro senza però superare il secondo orale”. Perché mai una “ragazza affidabile e determinata” ma senza particolare curriculum sia stata “segnalata” da un funzionario del comune per un contrattino in uno staff di assessorato, è davvero un calarsi nelle cose all’italiana, che avvengono negli studi privati, nelle aziende, nella politica (e allora lì è subito scandalo). Avvengono anche nei tribunali: ma lì, guai a parlare di scarsa qualità e pochi controlli. Poi dicono che la meritocrazia non serve.

 

Vi è però un terzo aspetto che fa di questa storia un caso esemplare. Si insiste molto sulla corruzione, sul ruolo criminale. Ma nessuno che ponga a tema un altro aspetto: che il contesto in cui si svolgono le attività della giovane procuratrice non è diverso da quello che abbiamo visto in questi anni, impunito e persino elogiato in quota libera stampa. Camilla Marianera otteneva informazioni illegali su indagini. In che modo si siano nutrite in Italia le pagine e le “inchieste” di giudiziaria qualcuno lo ricorda? Senza tornare ai tempi eroici di Tonino, quando i fascicoli riservati venivano lasciati in bella evidenza, acciocché i cronisti capissero al volo chi fosse il prossimo boccone della Catturandi, basterebbe il caso di oggi: le intercettazioni di Zaia su Crisanti che il gip di Padova ha giudicato “irrilevanti”, ma che tutti abbiamo ascoltato. Se avevano un contenuto del tutto penalmente irrilevante, per quale motivo erano state depositate, rendendole agibili alla stampa? Oppure l’oscenità del colloquio fra Tiziano Renzi e il suo avvocato, che non solo era “inutilizzabile”, ma nemmeno avrebbe dovuto essere registrato – a parte la Ddr e le fantasie di Scarpinato, in quale democrazia si intercettano gli avvocati? – ma che finì stampato sul Fatto, che da qualche parte l’avrà trovato. Dai tribunali escono da sempre, nonostante le strette di legge, informazioni che non dovrebbero. Per quelle che finiscono sui giornali, le talpe di solito si fanno remunerare in natura: pubblicità alle inchieste, notorietà, esche lanciate. I verbali senza timbro di Amara, che il pm Paolo Storari passò brevi manu a Davigo, su cui la stampa ha campato settimane? Erano usciti gratis, anzi secondo i magistrati coinvolti a fin di bene. Non è vero, ma pazienza. La differenza è che Marianera pagava e si faceva pagare in contanti, e ovviamente c’è una bella differenza tra i file audio che finiscono stampati e la talpa di Piazzale Clodio. Però, appunto, c’è anche qualcosa che sounds familiar.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"