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l'intervento del guardasigilli

Le parole che Nordio ha dimenticato di dire contro il modello securitario della destra di governo

Claudio Cerasa

Cospito, la fermezza, il diritto. Bene l'intervento del ministro sul 41-bis che non si tocca, ma una politica con la testa sulle spalle dovrebbe ricordare che difendere le garanzie per tutti, anche per i criminali, è un dovere non trattabile dello stato

Sarebbe stato molto prezioso, oggi, dai banchi del governo, ascoltare dalla bocca di un ministro ultragarantista come Carlo Nordio una qualche frase su un tema che l’attuale Guardasigilli conosce bene e che, nella vita precedente, l’ex magistrato ha spesso denunciato: l’orrore di un paese che sceglie di imboccare con forza la strada del securitarismo giudiziario. C’è stato un tempo in cui Nordio ricordava spesso che è nel rapporto con il carcere che si misura la capacità della politica di rispettare lo stato di diritto. E che è proprio sul tema delle carceri che si misura la differenza tra una politica che sceglie di difendere il garantismo e una che sceglie invece di ammiccare al giustizialismo. La pena, diceva un tempo Nordio, “deve essere prima di tutto equilibrata, quindi deve essere razionale, non ci può certamente essere giustizia attraverso la richiesta di una pena esemplare e se proprio dobbiamo dirla tutta”, diceva Nordio, “il fine pena mai non è compatibile, al fondo, con il nostro stato di diritto”.

Nordio sa quanto sia importante, per un paese che ha a cuore il sistema a difesa delle garanzie, evitare di soffiare sul fuoco del securitarismo, quando si parla di carceri, e per questo è stato sorprendente vederlo in Parlamento, durante la sua informativa alla Camera sul caso dell’anarchico Alfredo Cospito in sciopero della fame da 105 giorni, sorvolare su una questione che il partito di cui fa parte ha scelto di abbracciare in modo totalizzante: la trasformazione in amici dei criminali di chiunque si occupi dei diritti dei carcerati. Bene ha fatto Nordio, naturalmente, a dire che il 41-bis “è una legge dello stato e costituisce un elemento normativo non trattabile”, che “la possibilità di mutare questa normativa è inesistente” e che “lo è ancora di più se dovessimo collegare questo mutamento ai disordini che si sono creati in questi giorni da parte degli anarco insurrezionalisti”, disordini che coincidono con “atti di intimidazione nei confronti dei quali lo stato deve avere la massima fermezza”. Ma male ha fatto il ministro a perdere un’occasione buona per ricordare alcuni fatti, che sarebbero stati utili anche al suo collega di partito, Giovanni Donzelli. Per esempio che non necessariamente chi si occupa degli abusi del 41-bis sta cercando di fare un favore ai terroristi. Per esempio che non necessariamente chi chiede di rivedere l’ergastolo ostativo sta chiedendo di venire incontro alle richieste dei mafiosi. Per esempio che non necessariamente chi va a trovare un carcerato deve condividere le idee di quel carcerato. Per esempio che non necessariamente chi si occupa di diritti dei carcerati sta scegliendo di indebolire il sistema della giustizia italiana. Per esempio che non necessariamente chi difende un indagato sta sposando una tesi innocentista in un processo.

La deriva securitaria della giustizia italiana, che Nordio conosce bene, può apparire come un tema secondario rispetto a un tema più grande, che coincide con la necessità dello stato, di fronte alle minacce degli anarchici, di mostrare la sua fermezza. Ma una politica che sfrutta un caso come quello di Cospito per ricordare che ogni cedimento sul tema del carcere duro significa voler fare il gioco dei mafiosi, che ogni discussione sulle garanzie di un carcerato significa voler prendere le parti di quel carcerato e che ogni tentativo di ragionare sugli eventuali abusi nell’applicazione di una legge significa voler fare il gioco di chi quella legge la vuole modificare è una politica votata più alla difesa dello sciacallaggio che alla difesa del garantismo. Le garanzie per chi si trova in carcere non sono un elemento accessorio del nostro stato di diritto e di fronte alla possibilità che a un criminale, come è Cospito, possa essere riconosciuto un diritto, come quello di non trovarsi al 41-bis, una politica con la testa sulle spalle dovrebbe ricordare che la fermezza di uno stato è anche lì: nella lotta per la difesa delle garanzie per tutti, anche per quelli che la politica sogna di far marcire in galera.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.