Segugi per allocchi

La teoria di Scarpinato sulla cattura di Messina Denaro demolisce procura e 41-bis

Luciano Capone

La spiegazione "dietrologica" della cattura di MMD, frutto di una "trattativa" tra stato e mafia svelata da Baiardo, fornisce un'immagine desolante di inquirenti e carcere duro: i magistrati non si accorgono di niente e i boss all'ergastolo parlano con tutti. Per fortuna sono ipotesi campate in aria

Nulla è come appare. Roberto Scarpinato, ex magistrato ora senatore M5s, fornisce una spiegazione dietrologica – nel senso del disvelamento di ciò che “sta dietro” – dell’arresto di Matteo Messina Denaro. Non è stato un semplice blitz, ma il frutto di una “trattativa” segreta tra apparati dello stato e mafia. Sul Fatto quotidiano l’ex procuratore generale di Palermo parte con un preambolo, che è un po’ un’excusatio non petita, in cui cui scagiona gli inquirenti (“la Procura di Palermo e il Ros sono pervenuti alla cattura di Messina Denaro in esito a una indagine impeccabile”) per poi arrivare al sodo. Cos’è successo davvero?

 

La spiegazione è nell’intervista rilasciata a Massimo Giletti di Salvatore Baiardo in cui l’amico dei fratelli Graviano, mafiosi al 41-bis, preannunciò che, parole di Scarpinato, “Messina Denaro si sarebbe fatto catturare come epilogo di una complessa e segreta trattativa la cui posta in gioco è la sua speranza di uscire dal carcere”. Ovviamente, questa ricostruzione non ha alcun senso: Baiardo disvela, in anticipo, la trattativa “segreta” e indicibile con il possibile effetto di farla saltare mettendo una pietra tombale sull’uscita di galera dei boss. In questo senso il “portavoce di Giuseppe Graviano”, così Scarpinato definisce Baiardo, avrebbe agito contro gli interessi del suo principale.


Essendo la contraddizione evidente, Scarpinato elabora un’interpretazione dell’accaduto molto più sofisticata. La “trattativa” per la consegna di Messina Denaro sarebbe avvenuta, alle spalle di Graviano, tra altri boss di Cosa nostra e elementi politico-istituzionali dello stato, più o meno deviati e non meglio identificati. Ma Graviano viene saperlo e così decide di inviare un “messaggio” attraverso la tv: “Una pubblica esibizione di forza dimostrando di essere in grado di venire a conoscenza di informazioni segretissime nonostante il regime del 41-bis e di essere pronto a fare in pubblico altre rivelazioni molto più compromettenti se qualcuno dovesse pensare di non mantenere le promesse che lo riguardano personalmente”.

 

In sostanza, il boss ricatta i due contraenti del patto, stato e mafia, che, secondo Scarpinato, hanno escluso Graviano dallo scambio per le verità che quest’ultimo avrebbe da dire su Berlusconi. “Un doppio avvertimento – scrive Scarpinato – per un verso ad altri boss stragisti che non hanno condiviso affatto le sue plateali dichiarazioni di sfida e i suoi annunci nel dibattimento ’Ndrangheta Stragista e che potrebbero aver fatto la scelta di condurre per loro conto una trattativa segreta che è passata sulla testa di Graviano e che potrebbe sacrificarlo e, per altro verso, agli interlocutori di costoro che hanno commesso l’errore di sottovalutare le sue risorse”.

 

La ricostruzione del senatore del M5s è un castello di ipotesi e supposizioni che si appoggiano su affermazioni apodittiche. In sostanza, non c’è una prova. E questo non è neppure un grosso problema, almeno ora che Scarpinato fa il politico e non più il magistrato. I problemi più seri emergono supponendo come vero tutto il castello di Scarpinato. Perché vorrebbe dire che le cose sono andate in questo modo. Alcuni boss stragisti di Cosa nostra, rinchiusi al 41-bis, e quindi impossibilitati comunicare data la loro pericolosità, hanno intavolato una trattativa con la politica e pezzi delle istituzioni da un lato e gli altri boss di Cosa nostra che sono in libertà dall’altro, convincendo Messina Denaro a consegnarsi in cambio di un allentamento del 41-bis. Graviano, un altro pezzo della Cupola, anch’egli rinchiuso al 41-bis, viene a sapere di questa trattativa da cui è stato escluso e, a sua volta, lo fa sapere al suo portavoce Baiardo ordinandogli di svelare l’indicibile in tv.


In pratica, tutti sanno tutto e parlano con tutti. Tutti tranne la procura di Palermo e il Ros che, sempre seguendo Scarpinato, credono di aver arrestato Messina Denaro autonomamente senza rendersi conto che si è trattato del frutto di una trattativa tra stato e mafia. Ma allora gli inquirenti elogiati da Scarpinato più che dei segugi sono degli allocchi, visto che di questa trattativa mica tanto segreta se n’è accorto in anticipo persino Graviano, che è al 41-bis e a cui neppure i boss di Cosa nostra volevano farla sapere.

 

La ricostruzione di Scarpinato, qualora fosse vera, certificherebbe la perfetta inutilità del 41-bis. Ciò che non si capisce allora, sempre seguendo la sua logica, è perché ritenga essenziale per reprimere e disarticolare la mafia non toccare questo regime carcerario che dovrebbe impedire qualsiasi contatto dei boss con l’esterno e invece è un colabrodo: consente a Cosa nostra di trattare, comandare e comunicare a piacimento, addirittura in prima serata sulla televisione nazionale.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali