toghe a processo

L'assoluzione di Contrafatto sembra la condanna di Davigo

Luciano Capone

Nel proscioglimento dell'ex segretaria, il gup di Roma stronca il dr. Sottile (a processo a Brescia): "Si è spinto ben oltre i confini" e "in palese violazione delle norme", arrecando "un danno ingiusto ad Ardita" secondo la "logica della Congiura di Palazzo". “Ci consegna un’immagine allarmante del Csm"

La sentenza di non luogo a procedere nei confronti di Marcella Contrafatto è una tegola per Piercamillo Davigo. Perché le motivazioni del gup di Roma Nicolò Marino sembrano più quelle di una condanna dell’ex consigliere del Csm, imputato in un altro processo a Brescia, che del proscioglimento della sua ex segretaria.

 

La vicenda è sempre quella, torbida, della circolazione dei verbali secretati di Piero Amara sulla fantomatica “loggia Ungheria”, consegnati dal pm di Milano Paolo Storari a Davigo e da questi spiattellati dentro e fuori dal Csm e poi finiti anche ai giornali. Contrafatto, allora segretaria di Davigo, era imputata a Roma per calunnia nei confronti di Francesco Greco, ex procuratore di Milano, accusato di insabbiare l’indagine sui biglietti che accompagnavano il plico dato ai giornali. Un’altra singolarità di questa vicenda è che Contrafatto era indagata sia per rivelazione di segreto (la consegna dei verbali) sia per calunnia (le frasi di accompagnamento). Ma la procura di Roma ha separato i due procedimenti, nonostante si basassero sugli stessi fatti e le stesse prove. Come se dopo una rapina a mano armata si facessero due processi separati, uno per la rapina e l’altro per porto d’armi abusivo.

 

Ma a parte questo aspetto, la sentenza che analizza gli stessi fatti oggetto del processo a Brescia, esprime giudizi duri contro Davigo “spintosi ben oltre i confini dei poteri conferitigli come membro togato del Csm”.  Il gup di Roma, analizzando la versione dei fatti fornita da Davigo nell’interrogatorio reso al pm di Brescia, scrive che quelle dichiarazioni aprono “uno squarcio sulla diffusione – ad avviso di questo decidente assai allarmante – dei verbali di Amara, sine titulo stampati dallo stesso dott. Davigo e consegnati ad alcuni consiglieri del Csm e/o portati comunque a conoscenza di svariate figure istituzionali al di fuori dell’organo di autogoverno della magistratura, come nel caso del senatore Morra”.

 

Il gup Marino, in particolare, censura il fatto che Davigo abbia messo in giro la voce, presa dalle dichiarazioni secretate e non verificate di Amara, che il consigliere del Csm Sebastiano Ardita appartenesse alla massoneria. “Trattasi di affermazioni gravissime, naturalmente quelle del dott. Davigo – scrive il gup – con la apparente ferma convinzione che il portato dichiarativo di Amara corrispondesse a verità, addirittura svolgendo accertamenti sulla credibilità del dichiarante tramite il consigliere Giuseppe Cascini, in palese violazione delle norme di legge” che regolamentano le attribuzioni dei membri del Csm, con la conseguenza “di avere arrecato al consigliere Ardita un danno ingiusto, consistito nell’isolamento di questi all’interno del Csm”.

 

Ma ciò che emerge – ad eccezione del consigliere Nino Di Matteo e dello stesso Ardita, che hanno interrotto questa macchina del fango rivolgendosi alle autorità competenti – è uno spaccato inquietante dell’organo di autogoverno dei magistrati: “All’interno del Csm vi erano stati imbarazzanti silenzi e inescusabili omissioni, che non possono trovare giustificazione alcuna per chi ha avuto in mano quei verbali, li ha letti e poi distrutti – scrive il giudice Marino – o per chi, dopo averli letti, si è finanche spinto a fornire al dott. Davigo valutazioni sulla credibilità di Amara, sicuramente al di fuori dei compiti e dei doveri istituzionali che l’alto incarico di componente del Csm ricoperto imponeva”.

 

Qui la censura del giudice è particolarmente forte nei confronti di Giuseppe Cascini che, informato da Davigo del contenuto dei verbali, non solo non l’ha denunciato ma gli ha offerto un consulto: “Ci consegna un’immagine preoccupante ed assai allarmante del Csm, che ancora una volta sembrerebbe aver operato non sulla base di conoscenza e rituali comunicazioni o atti formalmente acquisiti, bensì nella logica della ‘congiura di Palazzo’”. Giudizi pesanti anche per il consigliere Giuseppe Marra, che ha distrutto i verbali dopo la perquisizione della Contrafatto. Marra si sarebbe reso responsabile, come Cascini, del reato di omessa denuncia, e in aggiunta di quello di soppressione di corpo del reato. Probabilmente la procura sarà costretta ad aprire un fascicolo nei loro confronti.

 

Eppure sarebbe bastato poco per evitare l’ennesimo scandalo nella magistratura: bastava “seguire le regole”. “Ma il consigliere Davigo – scrive il gup – nonostante la sua straordinaria esperienza, ha purtroppo imboccato la strada sbagliata, e con lui altri”. È vero che Davigo è imputato non in questo ma in un altro processo ancora in corso – la prossima udienza è il 23 febbraio e dovrà essere sentito il consigliere Marra, che a questo punto dovrebbe essere assistito da un avvocato – ma i giudici di Brescia nel formulare il loro giudizio non potranno ignorare le motivazioni e il quadro descritto dal gup di Roma.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali