il caso

La gogna di Rep. e Domani contro Santanché conferma i buoni propositi di Nordio

Ermes Antonucci

I due quotidiani hanno pubblicato intercettazioni irrilevanti e diffamatorie contro la ministra del Turismo, che non avrebbero dovuto essere depositate dai pm. Una conferma della bontà delle proposte di riforma del Guardasigilli 

Dando ragione, senza rendersene conto, ai propositi del Guardasigilli Carlo Nordio, i quotidiani Repubblica e Domani hanno pubblicato ieri i contenuti di alcune intercettazioni compiute nell’ambito di un’indagine condotta a Milano nei confronti di alcuni esponenti di Fratelli d’Italia. Intercettazioni del tutto penalmente irrilevanti e anche lesive della reputazione di terze persone non indagate.

 

In sostanza, gli inquirenti milanesi ipotizzano che uno dei dirigenti del partito, Carlo Fidanza, il neodeputato Giangiacomo Calovini e l’ex vicecoordinatore di FdI in Lombardia, Giuseppe Romele, si sarebbero adoperati per ottenere le dimissioni di un consigliere comunale a Brescia, Giovanni Francesco Acri. Le dimissioni, ottenute attraverso una presunta corruzione, consentirono nel giugno 2021 al primo dei non eletti, cioè lo stesso Calovini, di prendere il posto di Acri al consiglio comunale, poltrona considerata propedeutica per poi ottenere la candidatura a Montecitorio.

 

I quotidiani non si sono limitati a riportare questa notizia, ma hanno pubblicato anche il contenuto di alcune intercettazioni realizzate nel corso dell’inchiesta e depositate dai pm al termine delle indagini. Alcune delle captazioni riguardano Daniela Santanché, all’epoca coordinatrice regionale del partito e ora ministro del Turismo. Santanché, non indagata, contattò Acri quando seppe che voleva dimettersi, per comprenderne le ragioni. Calovini venne a conoscenza del contatto e non la prese bene. Qui entra in azione il tritacarne mediatico-giudiziario.

 

Domani ha deciso di riportare (pagina 6, riga 58) il testo di un’intercettazione in cui Calovini si rivolge alla sua segretaria (“La Santa ha chiamato gli amici di Acri per dirgli che non deve dimettersi”) e la risposta di quest’ultima: “Na, che zoccola”. La Repubblica (pagina 6, riga 3) ha invece riportato il testo di un messaggio inviato via Whatsapp da Calovini nella chat della sua famiglia: “Santanché sta facendo di tutto per non farmi entrare in Consiglio. Quando morirà, perché morirà, cagherò sulla sua bara durante la cerimonia”. 
Verrebbe da chiedere ai giornalisti autori degli articoli quale sarebbe l’interesse pubblico alla base della pubblicazione di intercettazioni così volgari, lesive della reputazione di una persona non indagata e del tutto penalmente irrilevanti. Ma sarebbe probabilmente tempo perso.

 

E qui si arriva al secondo nodo della vicenda. Alla luce delle norme vigenti, modificate nel 2020 con la riforma Orlando (aggiornata da Bonafede), le intercettazioni pubblicate da Repubblica e Domani non avrebbero dovuto nemmeno essere depositate dai pm. Secondo l’articolo 268 del codice penale, infatti, “il pubblico ministero dà indicazioni e vigila affinché nei verbali non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini”. Nel caso in questione, risulta evidente che non si è di fronte a intercettazioni rilevanti per le indagini, visto che riguardano un soggetto terzo (Santanché) che nulla ha a che fare con il presunto patto corruttivo. Non solo: le conversazioni  depositate risultano palesemente lesive della reputazione della stessa Santanché, che, pur non essendo neanche indagata, si ritrova vittima di insulti e a essere rappresentata come una poco di buono. 

 

Secondo quanto riferito da Domani, inoltre, negli atti di indagine gli investigatori hanno riportato anche “i commenti ironici sulle frequentazioni di Acri con esponenti della malavita”. In particolare viene pubblicato il messaggio dialettale di un esponente di FdI in Lombardia: “Ma Acri l’è un mafius!”. Anche in questo caso viene da chiedersi quale sia il senso, da parte dei pm milanesi, di depositare un’intercettazione che in alcun modo riguarda la presunta condotta corruttiva oggetto dell’indagine, ma serve soltanto a gettare in cattiva luce uno degli indagati. 

 

Intervenendo alla Camera giovedì, il ministro Nordio ha replicato a chi dall’opposizione ha sostenuto che dopo la riforma Orlando del 2020 il problema della pubblicazione sui giornali di intercettazioni penalmente irrilevanti sarebbe stato risolto: “Peccato che proprio qualche settimana fa, nel mio amato Veneto, siano state diffuse intercettazioni che riguardano il governatore del Veneto e altre persone che erano assolutamente estranee alle indagini. Non erano infatti né indagate, né imputate, né niente e questo dimostra il fallimento di quella riforma”. L’indagine milanese conferma, se mai ce ne fosse bisogno, questo fallimento. 

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