Mauro Moretti (foto LaPresse)

L'intervista

“I vertici aziendali come capri espiatori”. Il caso Viareggio spiegato dalla legale di Moretti

Ermes Antonucci

Parla l'avvocato Ambra Giovene dopo il deposito delle motivazioni della sentenza che ha condannato l'ex ad di Ferrovie: "In Italia la giustizia mira più a punire un amministratore delegato che a trovare il vero responsabile del reato"

"In Italia si è diffusa una sorta di politica giudiziaria che di fronte a un fatto delittuoso mira più a punire un amministratore delegato piuttosto che a trovare il vero responsabile all’interno dell’azienda. Questo discorso non vale solo per il processo di Viareggio". Non usa giri di parole l’avvocato Ambra Giovene, legale di Mauro Moretti, all’indomani del deposito delle motivazioni della sentenza con cui l’ex ad di Rete ferroviaria italiana e poi di Ferrovie dello Stato è stato condannato a cinque anni per la strage di Viareggio, che il 29 giugno 2009 costò la vita a 32 persone. Per i giudici della corte d’appello di Firenze, Moretti ebbe colpe nella strage (causata dal deragliamento e dall’esplosione di un treno che trasportava gpl) per la mancata tracciabilità e per i controlli inadeguati sui carri merci noleggiati da società della Germania ma non perché Fs e Rfi non avessero imposto un limite di velocità ai convogli in transito in stazione. 

 

Secondo i giudici, la colpa di Moretti deriverebbe dalla “deliberata violazione di norme nazionali, sovranazionali e interne in tema di tracciabilità dei rotabili”, fondata su “una precisa scelta di politica aziendale, verosimilmente dettata dalla volontà di contenimento dei costi tramite limitazione degli impegni di spesa relativi al trasposto delle merci pericolose, per investire, anche in termini di sicurezza, nel trasporto passeggeri”. Il problema è che di questa presunta politica aziendale finalizzata al risparmio non è mai stato rinvenuto alcun atto o alcuna comunicazione, non solo di Moretti ma anche di tutti i manager condannati (tra cui Michele Mario Elia, ex ad di Rfi, e Vincenzo Soprano, ex ad di Trenitalia). “Il paradosso – spiega l’avvocato Giovene – è che Moretti nel 2006, in qualità di ad di Rfi, adottò una prescrizione che imponeva a tutte le imprese ferroviarie operanti sull’infrastruttura italiana di svolgere il controllo manutentivo sui carri esteri. Questa prescrizione è stata pedissequamente ripresa l’anno dopo da Elia e, cosa ancora più importante, nel 2008 dall’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria. Questo significa che c’è una prescrizione scritta in cui si dice ‘tracciate i carri esteri’, cioè l’esatto contrario di quanto sostenuto dall’accusa. Questo tema è stato totalmente ignorato dalla corte d’appello”. 

 

Anche la tesi del dirottamento degli investimenti verso il settore passeggeri sembra difficilmente sostenibile. “Innanzitutto Moretti, come ad di Ferrovie dello Stato non ha questo potere, cioè non decide se mettere i soldi sui treni per passeggeri piuttosto che su quelli per merci, perché questo è un tema che riguarda le singole società”, dichiara Giovene. “Ma c’è di più. Quando Moretti arrivò a Rfi, i treni passeggeri dell’alta velocità erano già stati tutti acquistati. Ciò che lui ha fatto è stato mettere questi treni sulla rete. L’affermazione secondo cui si sia risparmiato da una parte per investire sui passeggeri è quindi del tutto fuorviante”. Soprattutto se si considera che, alla fine, la causa della tragedia di Viareggio è stata identificata nella rottura di un assile difettoso, revisionato in Germania da società che non hanno nulla a che fare con Ferrovie dello Stato. 

 

Il processo Viareggio, così, sembra essere paradigmatico di una tendenza della magistratura a dare corpo al giustizialismo strisciante nell’opinione pubblica, individuando nei “capi” delle aziende i capri espiatori per ogni evento tragico. “L’ingegner Moretti è un po’ il soggetto attraverso cui passa una certa giurisprudenza che vuole individuare nei vertici aziendali i capri espiatori – afferma Giovene – Si cerca di dimostrare che i vertici sono i responsabili del controllo e della sicurezza, ma questo significa orientare la lettura del reato colposo verso un’astrazione verso l’alto della responsabilità. E infatti nel caso di Viareggio, messe da parte le aziende tedesche, solo i vertici del Gruppo ferroviario sono stati riconosciuti come responsabili”. 

 

“Questa visione verticistica è dannosa, perché il soggetto più distante dal fatto e dal territorio è proprio l’amministratore delegato, sul quale invece incombe un dovere astratto di controllo sulla sicurezza”, prosegue Giovene. “In questo modo perde il sistema giudiziario, ma anche quello imprenditoriale: le politiche aziendali, anche quando non identificate, vengono ritenute oggettivamente responsabili di ogni tragico evento per il solo fatto di provenire dai vertici societari”. La legale di Moretti annuncia che impugnerà nuovamente la sentenza di condanna in Cassazione.