Dietro l'addio di Di Maio dal M5s c'è anche la scoperta del garantismo (almeno a parole)

Ermes Antonucci

Dalla lettera di scuse a Uggetti alla riforma del processo penale: non sarà diventato Beccaria, ma sulla giustizia Di Maio ha deciso di intraprendere una strada più garantista rispetto a Conte, almeno sul piano strategico

C’è anche un pezzo di giustizia, o meglio di strategia politica sulla giustizia, dietro la scissione di Luigi Di Maio dal Movimento 5 stelle: un allontanamento dalla tradizione più giustizialista e forcaiola del movimento, a vantaggio di posizioni (almeno a parole) più garantiste e attente ai principi costituzionali. Non bisogna ovviamente immaginare che Di Maio d’un tratto si sia trasformato in un novello Beccaria, anche perché i posizionamenti dei grillini non sono mai spiccati per coerenza. Eppure qualcosa è avvenuto attorno a un tema così delicato come la giustizia. C’è stata, da parte di Di Maio e della sua “cerchia”, una presa di distanza dal forcaiolismo più becero promosso dal movimento. Una presa di distanza che si è concretizzata anche nel sostegno ad alcuni importanti provvedimenti voluti dal governo Draghi, sotto la spinta della ministra della Giustizia Marta Cartabia.

 

Il punto di svolta dell’evoluzione del pensiero dimaiano sulla giustizia può essere individuato nella lettera che lo stesso ministro degli Esteri inviò al Foglio il 28 maggio 2021 per chiedere pubblicamente scusa all’ex sindaco Pd di Lodi, Simone Uggetti, per la gogna praticata dai grillini contro di lui nei giorni successivi al suo arresto nel 2016. Uggetti era appena stato assolto in appello dall’accusa di turbativa d’asta e Di Maio, a sorpresa, fece mea culpa per aver “esacerbato il clima” ai tempi dell’arresto del sindaco, invitando il Movimento ad avviare una riflessione sull’“utilizzo della gogna come strumento di campagna elettorale”. Un’iniziativa spontanea, quella di Di Maio, non concordata con Giuseppe Conte, che di lì a poco sarebbe stato eletto ufficialmente presidente del M5s. Conte, infastidito, reagì lanciandosi su Facebook in una lunga distinzione tra la gogna mediatica, sbagliata, e la tutela del principio di legalità e del “valore dell’etica pubblica”, su cui il movimento avrebbe mantenuto il “massimo rigore”.

 

Una prima, simbolica crepa nel fronte giustizialista del M5s, che si allargò con evidenza poche settimane dopo, in occasione dell’approvazione in Consiglio dei ministri della riforma del processo penale. L’accordo tra le forze politiche venne raggiunto solo all’ultimo momento. Conte e la sua truppa non intendevano in alcun modo cedere sul tema della revisione della disciplina della prescrizione, abrogata in precedenza con la riforma Bonafede. Solo un’intensa attività di mediazione di Di Maio permise di superare le resistenze grilline e di raggiungere l’intesa. Un’intesa impensabile fino a pochi mesi prima, consistente nell’introduzione del meccanismo dell’improcedibilità in caso di durata eccessiva dei processi.

 

“All’inizio Maio era certamente un giustizialista oltranzista. L’inserimento in un contesto di governo e non di opposizione lo ha spinto a maturare un approccio più garantista e più vicino alla nostra carta costituzionale”, riferisce una fonte parlamentare, molto attiva nel settore della giustizia.

 

Tra i circa 60 parlamentari che hanno deciso di seguire Di Maio nel nuovo gruppo “Insieme per il futuro” ci sono anche Gianfranco Di Sarno, membro della commissione Giustizia della Camera, Felicia Gaudiano, componente della commissione Giustizia al Senato, e soprattutto Anna Macina, sottosegretaria alla Giustizia, che con il collega Francesco Paolo Sisto ha seguito, con un approccio decisamente filo-governativo, la redazione della riforma dell’ordinamento giudiziario e del Csm approvata pochi giorni fa dal Parlamento. Non sarà diventato Beccaria, ma anche sulla giustizia Di Maio ha deciso di intraprendere un’altra strada rispetto a Conte, almeno sul piano strategico.