Il Csm sceglie il nuovo procuratore nazionale antimafia. In corsa anche Gratteri

Ermes Antonucci

Mercoledì il Consiglio superiore della magistratura nomina il successore di Federico Cafiero de Raho alla guida della Dna. Tre i candidati: Giovanni Melillo, Nicola Gratteri e Giovanni Russo. Un alone di imprevedibilità avvolge la nomina

Un alone di imprevedibilità avvolge la nomina del nuovo procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, prevista mercoledì da parte del plenum del Consiglio superiore della magistratura. I candidati in corsa alla successione di Federico Cafiero de Raho, andato in pensione a febbraio, alla guida della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (Dna) sono tre: Giovanni Melillo, procuratore capo di Napoli, Nicola Gratteri, procuratore capo di Catanzaro, e Giovanni Russo, procuratore aggiunto alla Dna e attuale reggente dell’ufficio dopo l’uscita di scena di De Raho. Fin da subito Melillo è stato individuato come il favorito, ma le cose non sono andate come previsto. Agli inizi di aprile, la commissione per gli incarichi direttivi del Csm si è spaccata, esprimendo due voti in favore della nomina di Gratteri, due voti per Russo e uno soltanto per Melillo. La vera partita, tuttavia, si svolgerà in plenum e nessuno sembra in grado di avanzare pronostici. Il ballottaggio, ad ogni modo, appare inevitabile.

 

Sulla carta Gratteri potrebbe contare su sette voti, quelli dei tre togati della corrente davighiana Autonomia e indipendenza, di Di Matteo e dei tre laici in quota grillina. Melillo (che continua a essere visto di cattivo occhio da diversi consiglieri per il suo passato da capo di gabinetto del ministro della Giustizia Andrea Orlando) dovrebbe ottenere le preferenze dei cinque togati di Area ed eventualmente del primo presidente e del procuratore generale della Cassazione. Russo, la cui candidatura è stata abbastanza snobbata dai media, riceverebbe i voti dei quattro consiglieri togati di Magistratura indipendente e di parte dei quattro laici in quota Fi e Lega. Saranno quest’ultimi, insieme ai tre togati di Unicost, ad assumere il ruolo di ago della bilancia.

 

L’assegnazione dell’incarico di procuratore nazionale antimafia, di indubbio prestigio, va comunque esaminata con la giusta prospettiva. Come già evidenziato su queste pagine in passato, infatti, la Dna – istituita nel 1991 – sembra aver ben poco della “Superprocura” immaginata in origine dal suo “inventore”, Giovanni Falcone. La legge, infatti, attribuisce alla procura nazionale antimafia l’esercizio di funzioni di “impulso e coordinamento” delle attività di indagine in materia di criminalità organizzata, ad esempio attraverso l’applicazione temporanea di magistrati alle direzioni distrettuali antimafia. La procura nazionale, tuttavia, non può avviare o svolgere autonomamente indagini, se si esclude il potere (peraltro mai utilizzato) di avocare le indagini di fronte a contrasti irrisolti o a una perdurante e ingiustificata inerzia nell’attività di indagine da parte delle Direzioni distrettuali antimafia. Insomma, siamo di fronte più a un’istituzione di coordinamento che di azione. Motivo per cui persino la nomina alla guida della Dna di un pm d’assalto come Gratteri potrebbe non risultare così catastrofica.

 

A proposito di Gratteri, piuttosto sorprendente appare essere la relazione predisposta a sostegno della sua nomina dalla commissione affari direttivi del Csm, e votata dal togato Sebastiano Ardita (Autonomia e indipendenza) e dal laico in quota M5s, Fulvio Gigliotti. Centosettantacinque pagine di celebrazione della carriera dell’attuale procuratore capo di Catanzaro, delle sue doti investigative e dei risultati ottenuti con le sue inchieste (una delle quali definita di “rilevanza memorabile”).

 

Nessuno nega, ovviamente, che nel corso della sua carriera Gratteri abbia condotto importanti indagini contro la criminalità organizzata. A colpire è che in 175 pagine non si sia trovato neanche uno spazietto per ricordare anche i flop (alcuni non di poco conto) raccolti da Gratteri nel corso degli anni tra Reggio Calabria e Catanzaro: la maxi operazione contro la ‘ndrangheta compiuta nel 2003 a Platì, nella Locride, con 125 misure di custodia cautelare (alla fine solo in otto vennero condannati); l’operazione “Circolo formato” del 2011, con l’arresto di quaranta persone, tra cui il sindaco di Marina di Gioiosa Ionica e diversi assessori (gli amministratori locali poi vennero assolti); l’operazione “Quinta Bolgia” del 2018 sulla criminalità organizzata, che portò agli arresti domiciliari anche Giuseppe Galati, cinque volte parlamentare ed ex sottosegretario nei governi Berlusconi, poi archiviato dal gip; infine, l’inchiesta del dicembre 2018 che sconvolse la politica calabrese, con le accuse di corruzione e abuso d’ufficio contro l’allora presidente della Regione, Mario Oliverio (per tre mesi costretto all’obbligo di dimora nel suo comune di residenza e poi assolto da tutte le accuse).

E c’è ancora chi parla di valutazione professionale dei magistrati.