Dalla giustizia alla sanità, quanto ci costa non sentire il “rumore”

Matteo Motterlini e Piero Ronzani

Il libro "Rumore" (Utet) di Kahneman, Sibony e Sunstein spiega l'origine delle diversità di giudizio umano sugli stessi fenomeni

Perché virologi ed epidemiologi giungono a previsioni in contrasto tra loro sulla base degli stessi dati? Perché i radiologi fanno diagnosi opposte sulla base della stessa radiografia? Perché i giudici assegnano pene diverse per crimini identici? La colpa è del troppo “rumore” che disturba il giudizio umano, come ci rivelano Daniel Kahneman (padre delle scienze comportamentali e premio Nobel per l’economia), Olivier Sibony e Cass Sunstein (coautore dell’influente “Nudge”) nel loro attesissimo “Noise: A flaw in human judgment” (in uscita oggi in traduzione italiana da Utet con il titolo “Rumore”).


Già nel 1974 uno studio condotto negli Stati Uniti rivelò che condanne per estorsione del tutto simili costavano all’imputato in alcuni casi vent’anni di carcere  e in altri solo tre. Se di per sé questa differenza di valutazione può destare preoccupazione, ancora più sconcertante è scoprire che essa non è dovuta alla diversa interpretazione della legge o a pregiudizi, ma è in buona parte frutto del caso o, appunto, del “rumore”. Analizzando oltre un milione e mezzo di sentenze nel corso di trent’anni, si è osservato per esempio che i giudici americani emettono sentenze più severe nei giorni che seguono la sconfitta della squadra locale di football. L’esame di sei milioni di casi in Francia ha evidenziato che i giudici infliggono pene più lievi nel giorno del loro compleanno. Anche il meteo può influenzare le sentenze, se è vero come sembra che le giornate molto calde sono particolarmente sfavorevoli alle richieste di asilo dei rifugiati. 

 

Il rumore dunque è l’eccessiva variabilità nei giudizi degli esperti che dovrebbero essere guidati da criteri oggettivi. Una variabilità che, tuttavia, non dipende da bias o differenze individuali. Infatti, al contrario degli errori di ragionamento sistematici, la distorsione prodotta dal rumore è un concetto statistico impossibile da osservare su  un singolo giudizio. Il rumore si “fa sentire” solamente quando si confrontano tra loro un certo numero di giudizi. Il vero problema del rumore  è che è difficile da isolare. Passa inosservato. Consideriamo per esempio l’ambito assicurativo. In un esperimento, Kahneman e colleghi hanno chiesto ai periti di analizzare un determinato caso e stabilire il premio. Dopo aver compiuto la loro stima, gli esperti hanno dichiarato che, tra la loro valutazione e quella dei  colleghi, si aspettavano una differenza massima del 10%. La differenza dovuta al rumore si attestava invece su un sorprendente 50%. Gli esperti avevano cioè previsto che si sarebbero trovati d’accordo con i loro colleghi quattro volte di più di ciò che corrispondeva alla realtà. Erano  “sordi” al rumore; ovvero del tutto inconsapevoli della variabilità dei loro giudizi come gruppo professionale (ciò suggerisce che, nel caso siate  per acquistare una polizza, è bene vi rivolgiate a più d’una compagnia).

 

Per quanto difficile da stimare, il costo che gli individui e la società pagano per giudizi erronei e conseguenti decisioni sbagliate causate dal rumore è  molto alto. Come ridurlo, quindi? A venirci in aiuto è la “saggezza della folla”. Quando i giudizi individuali vengono aggregati in un giudizio collettivo “medio”, la variabilità dettata dal caso tende a neutralizzarsi, fornendo una stima accurata del fenomeno da prevedere. Affinché  la “saggezza della folla” non si diventi “stupidità del gregge” è però necessario che i giudizi individuali siano indipendenti e decentralizzati. Ciò significa che le opinioni delle persone non devono essere influenzate da quelle altrui e che il processo di aggregazione non deve essere pilotato dall’alto. Un ambito che si presta  all’adozione di questa strategia di “igiene del rumore” è quello della ricerca e selezione delle risorse umane. L’attività di reclutamento ha un impatto enorme e duraturo sul buon funzionamento delle organizzazioni. Nonostante ciò, il modo in cui la maggior parte delle aziende seleziona i candidati le espone all’effetto deleterio del rumore. Decisioni demandate a un singolo, commissioni che si influenzano a vicenda, colloqui concatenati e raccomandazioni giocano tutti a sfavore dell’accuratezza della scelta. Un modo migliore di selezionare sarebbe quello di compiere colloqui separati, in cui i vari giudizi fossero espressi e condivisi solo quando ciascuno abbia potuto formulare indipendentemente la propria valutazione. In questo modo i giudizi aggregati ridurrebbero il rumore. 

 

Attenzione però: aspirare a ridurre il rumore nel giudizio umano non significa affatto mirare a ridurre la diversità di opinione. Non c’è niente da temere dal disaccordo e dalla pluralità di idee; anzi, dove non vi è diversità difficilmente si avranno crescita e innovazione. Ciò che ci deve preoccupare è la variabilità quando l’obiettivo del giudizio è l’accuratezza. Per intenderci, quando due dottori della stessa città formulano due diagnosi opposte sulla presenza di un tumore al seno per la stessa paziente, non ci troviamo semplicemente di fronte a opinioni diverse, ma al fatto che uno dei due sta commettendo un errore le cui conseguenze possono essere drammatiche. Proprio nel campo della medicina sono molti gli esempi virtuosi in cui la standardizzazione del giudizio ha ridotto il rumore nella diagnosi. Scomporre una diagnosi complessa in più valutazioni oggettive ha diminuito drasticamente il rumore, per esempio, nella valutazione dello stato di salute dei bambini alla nascita, così come proprio nell’interpretazione della mammografia per l’individuazione dei tumori. Anche in ambito giuridico si è constatato come regole differenti agiscano sulla discrezionalità delle condanne. Per esempio, l’introduzione negli Stati Uniti di specifiche linee guida per la formulazione delle sentenze ha ridotto la variabilità delle condanne dal 17% all’11%. Ma quando nel 2005 una poco lungimirante riforma del sistema statunitense ha reso queste linee guida solo di natura consultiva, e non vincolanti, la disparità dei giudizi è più che raddoppiata.

 

Il rumore è dappertutto. Dove c’è giudizio c’è rumore. E più di quanto si creda. Il rumore può portare a terribili ingiustizie e a errori di scelta dagli effetti incalcolabili per la società. Più impareremo a porvi orecchio e più sapremo creare ambienti decisionali atti a ridurlo. Ovvero capaci di scelte migliori e più “silenziose” perché meno sviate dalla casuale variabilità del giudizio degli esperti.

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