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Così si cerca di avere una Taranto (e un'Italia) senza industria dell'acciaio

Annarita Digiorgio

Il fan club di Tesla invoca Elon Musk, mentre l’Eurispes (che ha fatto avanzare Xylella) propone un piano di 30 anni per rilanciare turismo e agricoltura

L’idea di chiudere Ilva e trasformarla in un parco fu annunciata da Beppe Grillo nel 2018. Al progetto degli sci d’acqua sull’altoforno non ci aveva mai creduto neppure Luigi Di Maio che, imbarazzato, da ministro dello Sviluppo in una riunione con i sindacati disse che era un’idea di Grillo ma non del M5s. Eppure l’idea rispunta insieme alla fake news secondo cui all’Italia non serve fare acciaio, proprio in un momento strategico per la siderurgia con i prezzi alle stelle, domanda in crescita e  produzione bloccata. E l’Europa al centro della guerra dei dazi tra Usa e Cina, che producono acciaio  senza limiti di CO2.

 

L’ultima trovata è venuta all’associazione  Tesla Owners Italia: il fan club di proprietari di veicoli Tesla, in rappresentanza dei cittadini tarantini, ha scritto una lettera a Elon Musk chiedendogli di trasformare l’area Ilva nella prima Gigafactory europea di auto elettriche (magari, vista la vicinanza dello spazioporto di Grottaglie, si può fare un accordo anche con SpaceX, chissà). Poi è arrivato l’Eurispes, che la scorsa settimana ha presentato il suo 33° Rapporto Italia con un capitolo dedicato a Ilva. Secondo l’Eurispes per la soluzione ambientale e lavorativa di Taranto servono tre decenni: “dieci anni per smontare gli impianti, altri dieci anni per bonificare il territorio e altri dieci anni per avviare una serie di attività alternative legate al settore del turismo, dei servizi, dell’ambiente, dell’agricoltura mantenendo gli stessi livelli occupazionali se non, addirittura, incrementandoli”. Il primo a crederci ovviamente è il Sindaco di Taranto Rinaldo Melucci (Pd): “Molte delle cose che leggiamo nel rapporto Eurispes sono parte integrante del piano di transizione già in atto dal Comune di Taranto”, ha commentato.

 

“Nel corso degli anni – è scritto nel rapporto – a più riprese abbiamo segnalato l’idea di smontare tutti gli insediamenti industriali ormai obsoleti. Se si considera che oggi l’acciaio può essere acquistato a livello internazionale a prezzi notevolmente inferiori di quelli necessari per la sua produzione a Taranto, e che in una economia globalizzata ciascun territorio dovrebbe cercare di valorizzare al meglio le proprie risorse, non resta che una soluzione: chiudere le acciaierie. A chi prospetta l’impoverimento del territorio e la perdita di migliaia di posti di lavoro si può segnalare che esistono soluzioni alternative: le risorse impegnate per mantenere in vita lo stabilimento possono essere utilizzate per smantellare gli impianti, bonificare il territorio e restituirlo alle sue naturali vocazioni: turismo e agricoltura”. 

 

Peccato che turismo e agricoltura siano le due vocazioni naturali del Salento che proprio l’Eurispes ha contribuito a distruggere, o quantomeno a non preservare. Nel 2015 l’Eurispes presentò insieme alla Coldiretti il “Rapporto Agromafie”, coordinato dall’ex magistrato Gian Carlo Caselli, il cui capitolo iniziale era dedicato a “Lo strano caso della Xylella fastidiosa“. Venne subito rilanciato dal Fatto quotidiano, che per anni ha dato voce alle teorie complottiste e negazioniste della pericolosità del batterio che sta distruggendo gli ulivi pugliesi: “Le ‘stranezze’ elencate e illustrate dal rapporto sono davvero tante e legittimano interrogativi d’ogni tipo”, scriveva Caselli. L’ex magistrato sosteneva che l’introduzione della Xylella “presenta aspetti che potrebbero andare oltre la fatalità”. I più paranoici insinuavano che il batterio fosse stato creato in un laboratorio della Monsanto in Brasile, importato in Italia per un convegno dell’Istituto Agronomico Mediterraneo a Bari e da qui diffuso all’esterno, più o meno volontariamente, dagli scienziati. “In questa storia paiono esserci tutti i presupposti di una guerra chimica o batteriologica”, diceva il fondatore e presidente di Eurispes Gian Maria Fara.

 

Caselli aggiungeva: “Abbiamo ritenuto fosse il caso di lanciare un sasso nello stagno. E qualcosa si è mosso. Vedremo alla fine cosa verrà a galla. A oggi, sono tante le ombre da diradare”. Poco dopo la procura di Lecce, sulla scia delle teorie del complotto, avviò un’inchiesta contro un gruppo di ricercatori (finita dopo 4 anni con un’archiviazione) che di fatto bloccò il piano di eradicazione e contenimento del batterio. “Una liberazione da parte dei competenti magistrati” per Michele Emiliano. Al loro fianco c’era l’associazione Peacelink, guidata dal prof. tarantino Alessandro Marescotti, che scriveva  alla Commissione europea di fermare le misure di contenimento.

 

Quel rapporto Eurispes, come scrisse Luciano Capone, divenne la Bibbia del complottismo e la fonte di diffusione delle teorie antiscientifiche e dell’inchiesta contro gli scienziati  della procura di Lecce, contribuendo alla diffusione del batterio. Dopo aver dettato una linea sulla Xylella che ha contribuito a distruggere turismo, agricoltura, economia e paesaggio del Salento, l’Eurispes ora ha in mente una soluzione per sistemare Taranto.

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