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editoriali

Già. “Mafia Capitale” non era mafia

redazione

Le condanne della Corte d’appello ricordano la verità sul Mondo di Mezzo

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Dieci anni di reclusione per l’ex Nar Massimo Carminati, dodici anni e dieci mesi per il ras delle cooperative romane Salvatore Buzzi. Sono queste le condanne stabilite martedì sera dalla Corte d’appello di Roma nei confronti dei due principali imputati dell’inchiesta “Mondo di Mezzo”, al termine del processo d’appello bis. A chiedere il ricalcolo delle pene era stata nell’ottobre 2019 la Corte di Cassazione, che aveva clamorosamente demolito il cuore pulsante dell’inchiesta messa in piedi dagli inquirenti romani, facendo cadere l’accusa di associazione mafiosa. Il “Mondo di Mezzo” non era mafia, ma semplice corruzione, aveva stabilito la Suprema Corte (motivazioni depositate lo scorso giugno), spazzando via non solo il teorema avanzato dall’allora capo della procura di Roma Giuseppe Pignatone, ma anche anni e anni di retorica forcaiola su “Mafia Capitale”. Una narrazione alimentata nel corso del tempo da una moltitudine di inchieste giornalistiche, libri e persino film, che hanno esposto la città di Roma e tutto il nostro Paese al ludibrio del mondo.

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Dieci anni di reclusione per l’ex Nar Massimo Carminati, dodici anni e dieci mesi per il ras delle cooperative romane Salvatore Buzzi. Sono queste le condanne stabilite martedì sera dalla Corte d’appello di Roma nei confronti dei due principali imputati dell’inchiesta “Mondo di Mezzo”, al termine del processo d’appello bis. A chiedere il ricalcolo delle pene era stata nell’ottobre 2019 la Corte di Cassazione, che aveva clamorosamente demolito il cuore pulsante dell’inchiesta messa in piedi dagli inquirenti romani, facendo cadere l’accusa di associazione mafiosa. Il “Mondo di Mezzo” non era mafia, ma semplice corruzione, aveva stabilito la Suprema Corte (motivazioni depositate lo scorso giugno), spazzando via non solo il teorema avanzato dall’allora capo della procura di Roma Giuseppe Pignatone, ma anche anni e anni di retorica forcaiola su “Mafia Capitale”. Una narrazione alimentata nel corso del tempo da una moltitudine di inchieste giornalistiche, libri e persino film, che hanno esposto la città di Roma e tutto il nostro Paese al ludibrio del mondo.

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La Corte d’appello di Roma, come detto, era chiamata soltanto a rideterminare le pene per una ventina di imputati, tra cui Buzzi e Carminati (altri erano già stati condannati in via definitiva, altri assolti), e non è neanche da escludere un nuovo passaggio in Cassazione prima che sulla vicenda giudiziaria venga posta la parola fine. E’ per queste ragioni che la notizia della sentenza riceverà dagli organi di informazione un’attenzione secondaria, di certo di gran lunga inferiore al trambusto mediatico iniziale, incentrato sulla “mafia al comune di Roma”. In questo (comprensibile) imbarazzo mediatico rischia così di sfuggire l’unica vera notizia che meriterebbe di essere ricordata all’opinione pubblica italiana. Lo facciamo noi: “Mafia Capitale” non era mafia.

 

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