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Editoriali

Cosa ha da dire il Csm sul caso Gratteri?

Redazione

Il procuratore di Catanzaro ci ricorda cos’è il circo mediatico giudiziario

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Giornali, radio, tv. Da 48 ore il capo della procura antimafia di Catanzaro, Nicola Gratteri, è ovunque a comunicare i dettagli della maxi operazione contro la ’ndrangheta lanciata giovedì, che vede indagato anche l’ormai ex segretario dell’Udc Lorenzo Cesa. Un circo mediatico-giudiziario a tutti gli effetti, in cui come al solito c’è spazio solo per l’accusa e per la colpevolizzazione anticipata degli indagati. “I processi si fanno nelle aule di giustizia. A me le chiacchiere non interessano”, si è persino spinto a dichiarare Gratteri in una delle tante interviste rilasciate proprio sui contenuti della sua inchiesta, quasi a sfidare il senso del ridicolo.

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Giornali, radio, tv. Da 48 ore il capo della procura antimafia di Catanzaro, Nicola Gratteri, è ovunque a comunicare i dettagli della maxi operazione contro la ’ndrangheta lanciata giovedì, che vede indagato anche l’ormai ex segretario dell’Udc Lorenzo Cesa. Un circo mediatico-giudiziario a tutti gli effetti, in cui come al solito c’è spazio solo per l’accusa e per la colpevolizzazione anticipata degli indagati. “I processi si fanno nelle aule di giustizia. A me le chiacchiere non interessano”, si è persino spinto a dichiarare Gratteri in una delle tante interviste rilasciate proprio sui contenuti della sua inchiesta, quasi a sfidare il senso del ridicolo.

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Ancora più incredibili sono le parole con cui il pm antimafia ha respinto le polemiche sulla “giustizia a orologeria”, cioè sulla coincidenza con cui l’inchiesta si è abbattuta su Cesa e sull’Udc, possibili “responsabili” in soccorso al premier Conte. Macché “giustizia a orologeria” contro Cesa, ha dichiarato Gratteri al Corriere della Sera, “io fino all’altra sera gli ho sentito dire in tv che lui e l’Udc non sarebbero entrati nella maggioranza, quindi questo problema non si è posto. Se ora qualcuno vuole sostenere il contrario lo faccia, ma io l’ho sentito con le me orecchie”. Concetto ribadito a Repubblica: “L’altra notte avevo capito che era all’opposizione”. Insomma, lo sconfinamento della magistratura nell’ambito della politica è ormai considerato così naturale che diventa persino normale per un pm giustificare le tempistiche della propria iniziativa giudiziaria facendo riferimento alla situazione politica del paese.

 

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Ma c’è di più. Nelle ore successive allo scoppio dell’inchiesta, il procuratore capo di Catanzaro si è persino spinto a intervenire in diretta televisiva nazionale per precisare i capi di imputazione contestati all’ex segretario dell’Udc e le circostanze alla base delle accuse. L’ennesimo sfregio al principio di presunzione di non colpevolezza previsto dalla Costituzione (e mai ci stancheremo di ricordare che anche una direttiva approvata nel 2016 da Parlamento europeo e Consiglio Ue imporrebbe alle autorità pubbliche di non rilasciare dichiarazioni che presentino l’indagato o l’imputato come una persona colpevole, ancor prima che la sua colpevolezza sia stata effettivamente dimostrata in sede giudiziaria).

 

Ma al di là dei metodi, sono anche i contenuti dell’inchiesta a lasciare perplessi. Cesa è accusato di aver agito da intermediario di un presunto patto di scambio siglato tra il segretario calabrese dell’Udc, Francesco Talarico, e un esponente della ’ndrangheta. L’unico elemento a sostegno di questa accusa sembrerebbe essere la partecipazione di Cesa a un pranzo organizzato da Talarico a Roma, in cui sarebbe stato presente anche l’imprenditore poi accusato di essere legato alla ’ndrangheta. I magistrati non sanno però di cosa si sia effettivamente parlato in quel pranzo, né dispongono di tracce di eventuali passaggi di denaro. Gli unici elementi sono alcune intercettazioni tra altre persone, in cui si parlerebbe anche di Cesa. Ben poco. E poi siamo sicuri che i partecipanti al pranzo sapessero che l’imprenditore era legato alla mafia? “Certo che sanno – ha dichiarato Gratteri a Repubblica – In questo caso, non possono non sapere che chi era loro di fronte aveva già avuto precedenti penali o era già espressione delle famiglie di élite della ’ndrangheta della provincia di Crotone”. La speranza, almeno per lo stato di diritto, è che l’inchiesta si basi su qualcosa di più concreto di un “non poteva non sapere”.

 

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Ma è la conclusione dell’intervista al Corriere a lasciare senza parole. A chi gli fa notare l’alto numero di arresti chiesti dalla procura e poi annullati o ridimensionati dal tribunale del Riesame o nei diversi gradi di giudizio, Gratteri replica: “Noi facciamo richieste, sono i giudici delle indagini preliminari, sempre diversi, che ordinano gli arresti. Così è avvenuto anche in questo caso. Poi se altri giudici scarcerano nelle fasi successive non ci posso fare niente, ma credo che la storia spiegherà anche queste situazioni”. Che cosa significa? “Ci sono indagini? Qualche pentito che parla anche di giudici?”, si chiede l’intervistatore. “Su questo ovviamente non posso rispondere”, replica il pm. Un’allusione (per usare un eufemismo) che rischia di turbare il lavoro dei magistrati che dovranno valutare l’inchiesta. Per il Csm tutto normale?

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