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Perché il Cura Italia non basta a curare i detenuti

David Allegranti

"Si doveva prevedere questa deflagrazione a seguito della sospensione dei colloqui e la si doveva gestire con l’attenzione umana che essa meritava", ci dice Marco Zullo del M5s

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Roma. Marco Zullo, europarlamentare del M5s, è molto critico con il nuovo decreto “Cura Italia” per come affronta, o meglio non affronta, la questione delle carceri.
 
Zullo, esiste un problema di sovraffollamento delle carceri?
“Ovviamente sì. Ed è strutturale. I gravi fatti che hanno portato persino alla morte di 13 persone negli scorsi giorni non sono semplici reazioni alla situazione di emergenza legata al Covid-19. Per quanto esecrabili e ingiustificabili, tali comportamenti sono il frutto di anni di disinteresse per l’intero comparto penitenziario da parte delle istituzioni e di tensioni sempre pronte a scoppiare, ancor più in situazioni di emergenza; sono la diretta conseguenza della totale dimenticanza di un intero settore e delle vite di tutte le persone che vi gravitano attorno: detenuti, polizia penitenziaria, dirigenti, e rispettivi familiari. La scintilla, questa volta, è stata la sospensione dei colloqui con i familiari e la paura di essere in grave pericolo di contagio da Covid-19, ma le polveri che sono esplose sono fatte di sovraffollamento, di mancanza di servizi essenziali e di un sistema giustizia al collasso di cui detenuti e operatori penitenziari pagano il conto”.
 
 
   
Il Dap guidato da Francesco Basentini si è dimostrato all’altezza nella gestione di questa crisi? E il ministro della Giustizia?
“Questo ci interessa relativamente. Il punto è un altro: si doveva prevedere questa deflagrazione a seguito della sospensione dei colloqui e la si doveva gestire con l’attenzione umana che essa meritava. Si sarebbero dovute spiegare le misure adottate e le si sarebbe dovute accompagnare sin da subito con interventi atti a intervenire in tema di sovraffollamento. L’Italia, già duramente condannata dalla Corte di Strasburgo per il sovraffollamento carcerario, dovrebbe affrontare seriamente e urgentemente questo problema. A tal proposito, accolgo con favore le dichiarazioni della presidente del Tribunale di sorveglianza di Milano circa le misure che intende adottare per alleggerire le carceri quanto più possibile in seguito all’emergenza coronavirus e circa la volontà di richiedere al ministero e al Dap che si prendano sulle spalle la responsabilità del sovraffollamento e prevedano modifiche normative in modo da alleviare la permanenza in carcere. Credo nell’importanza di creare, a tal fine, sinergie tra le strutture penitenziarie e le tante virtuose realtà locali. Per questa ragione, già da mesi stavo lavorando a un progetto di reinserimento che coinvolgerà i soggetti sottoposti a misure di sicurezza. Questo, con la collaborazione della direttrice del carcere di Modena - a cui va tutta la mia solidarietà e vicinanza - e il coinvolgimento di alcune associazioni di volontariato del distretto fortemente impegnate da anni in questo settore”. 
   
Il nuovo decreto, appena pubblicato, contiene a suo avviso norme adeguate?
“Assolutamente no. Si tratta di norme timide che estendono in misura minima la portata di alcune norme già in vigore, introducendo però al contempo nuove limitazioni alla loro applicazione. Penso soprattutto al testo dell'articolo 123, la cui applicazione appare condizionata in larghissima misura alla disponibilità dei ‘braccialetti elettronici’ e, in certa misura, a un provvedimento del capo del Dap per cui dovremmo potere attendere ancora 10 giorni... Mentre in queste ore si apprende che si sono registrati i primi casi di Covid-19 in diverse carceri. Ma siamo ancora in tempo: come suggerivo già diversi giorni fa, esistono delle misure concrete e a costo zero che dovrebbero essere adottate immediatamente. Auspico, ad esempio, che tutti i tribunali di sorveglianza adoperino al massimo gli strumenti di legge che consentono la detenzione domiciliare a chi ha un residuo breve di pena; che la sussistenza di patologie a rischio in caso di contagio sia fatta rientrare tra le ipotesi di concessione della detenzione domiciliare e dell’affidamento ai servizi sociali; così come proposto da Antigone ed altre importanti realtà. Che senso ha, ad esempio, l’art. 124 dell’odierno decreto? Ai detenuti in semilibertà, già dunque valutati come non pericolosi, si sarebbe potuta concedere la possibilità di dormire a casa tout court, prevedendo un regime di eccezioni specifiche. Poi, superata la situazione di crisi, si dovrà pensare ad affrontare i gravi problemi strutturali e ripensare il sistema punitivo in termini di maggiore efficacia in termini rieducativi e di risocializzazione”.
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