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Le norme per ridurre il sovraffollamento ripartono da Angelino Alfano

David Allegranti

Che cosa c’è nel decreto sulle carceri che dovrebbe puntare alla riduzione del sovraffollamento

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Roma. Il fine settimana non è bastato a trovare un accordo nella maggioranza sui provvedimenti da prendere per gestire l’emergenza sanitaria in carcere. E ancora ieri, fino a sera, il confronto fra il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e gli alleati è stato serrato (soprattutto con il sottosegretario alla giustizia Andrea Giorgis del Pd e con Italia viva, fin dall’inizio molto critica con la gestione dell’amministrazione penitenziaria guidata da Francesco Basentini, di cui chiede le dimissioni).

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Roma. Il fine settimana non è bastato a trovare un accordo nella maggioranza sui provvedimenti da prendere per gestire l’emergenza sanitaria in carcere. E ancora ieri, fino a sera, il confronto fra il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e gli alleati è stato serrato (soprattutto con il sottosegretario alla giustizia Andrea Giorgis del Pd e con Italia viva, fin dall’inizio molto critica con la gestione dell’amministrazione penitenziaria guidata da Francesco Basentini, di cui chiede le dimissioni).

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Il decreto in teoria dovrebbe puntare alla deflazione carceraria per ridurre il sovraffollamento. Quali sono però le norme contenute? L’articolo 120 del testo punta sull’esecuzione domiciliare delle pene, una misura alternativa già prevista dal nostro ordinamento (fu introdotta durante il governo Berlusconi, con Angelino Alfano ministro della Giustizia, dalla legge 199 del 2010) per chi abbia da scontare ancora 18 mesi di detenzione in carcere. Una norma che in dieci anni, dall’entrata in vigore fino al 29 febbraio 2020 ha fatto uscire di carcere, secondo i dati del ministero della Giustizia, 27.152 persone.

 

 

Qual è dunque la novità? Anzitutto, vengono ampliati i reati per cui la detenzione domiciliare non si può applicare (maltrattamenti contro familiari o conviventi e atti persecutori; delinquenza abituale). Per nessuno di questi reati, semplicemente, viene verificata la possibilità che il detenuto abbia a disposizione un domicilio diverso da quello in cui vivono per esempio le persone che avevano subito maltrattamenti. In più vengono esclusi dalla detenzione domiciliare anche quei detenuti “nei cui confronti sia stato redatto rapporto disciplinare (…) in quanto coinvolti nei disordini e nelle sommosse verificatesi negli istituti penitenziari dalla data del 7 marzo 2020 fino alla data di entrata in vigore del presente decreto”. La novità più consistente, si fa per dire, riguarda la velocità e la semplificazione procedurale con cui dovrebbero essere disposte le detenzioni domiciliari. Il magistrato di sorveglianza provvede “con ordinanza adottata in camera di consiglio, senza la presenza delle parti, con riduzione del termine per decidere a cinque giorni. Quindi, la cancelleria dell’ufficio di sorveglianza, entro quarantotto ore, comunica l’ordinanza all’istituto, che provvede all’esecuzione, nonché all’ufficio locale di esecuzione penale esterna e alla questura competenti per territorio”. Questa procedura a “contraddittorio differito”, in cui l’ordinanza è notificata al condannato o al difensore e comunicata al procuratore generale della Repubblica, i quali entro dieci giorni dalla comunicazione possono proporre reclamo al tribunale di sorveglianza, “assicura decisioni più celeri”. La relazione tecnica del decreto prevede che le disposizioni in esame potranno far uscire di carcere solo tremila persone a fronte dei 61 mila detenuti, di cui circa diecimila non definitivi. “Dal punto di vista finanziario si rappresenta che le disposizioni in esame, che potranno trovare applicazione nei confronti di un limitato numero di detenuti chiamati a scontare una pena residua non superiore a 18 mesi (contingente stimato in un massimo di 3000 unità) e per un periodo circoscritto, legato all’emergenza epidemiologica Covid-19, fino al 30 giugno 2020, non sono suscettibili di determinare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello stato”. I braccialetti elettronici, necessari a verificare lo stato della detenzione domiciliare, dovranno essere usati “ferma ovviamente la disponibilità degli strumenti”, salvo per detenuti con residuo pena di sei mesi che andranno in detenzione domiciliare senza dispositivo elettronico. Domanda: questi braccialetti ci sono oppure no? Il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ha annunciato in Consiglio dei ministri di avere già a disposizione 2.500 braccialetti e che i rimanenti saranno acquistati. “Il ministro della Giustizia si assuma la responsabilità del momento, non scarichi sugli altri e affronti il tema del sovraffollamento carcerario alla luce del Covid-19. Su detenzione domiciliare va aumentato il termine della pena residua, così non serve a niente”, dice al Foglio Cosimo Maria Ferri, deputato di Iv e componente della commissione Giustizia. “Quelle del pacchetto Bonafede sono norme manifesto, non cambia niente. Ci vuole coraggio e visione per gestire un’emergenza sanitaria anche nel settore Giustizia e ancora di più nel settore penitenziario. Non si deve pensare al consenso o alla popolarità della norma introdotta ma alla salute di tutti e al bene del paese”.

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