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La giusta battaglia contro l'ergastolo ostativo al congresso di Nessuno tocchi Caino

Ermes Antonucci

“La Corte di Strasburgo e la Corte costituzionale hanno aperto una breccia nel muro di cinta del fine pena mai”, spiega Sergio D’Elia

Milano. Si terrà nel carcere di Opera a Milano, oggi e domani, l’VIII Congresso di Nessuno Tocchi Caino. L’appuntamento si svolgerà nel teatro del carcere, oggi dedicato a Marco Pannella, che nel 2015 partecipò a quello che fu il suo ultimo congresso dell’associazione di cui era presidente, animando e dando slancio alla battaglia per l’abolizione dell’ergastolo ostativo, che quest’anno ha colto i suoi frutti con le decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo e poi della Corte costituzionale. I dirigenti di Nessuno Tocchi Caino (il segretario Sergio D’Elia, la presidente Rita Bernardini e la tesoriera Elisabetta Zamparutti) hanno voluto porre al centro del congresso proprio il tema dell’ergastolo ostativo, ospitando alcuni protagonisti d’eccellenza del mondo del diritto, come Valerio Onida (presidente emerito della Corte costituzionale), Mauro Palma (Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà), Giovanna Di Rosa (presidente del Tribunale di sorveglianza di Milano), Andrea Mascherin (presidente del Consiglio Nazionale Forense), l’avvocato Antonella Mascia (che ha patrocinato il caso Viola contro Italia alla Cedu), Riccardo De Vito (magistrato di Sorveglianza di Sassari e presidente di Magistratura Democratica), Luciano Eusebi (Università Cattolica del Sacro Cuore) e l’ex magistrato Gherardo Colombo. “La Corte di Strasburgo e la Corte costituzionale hanno aperto una breccia nel muro di cinta del fine pena mai – spiega D’Elia al Foglio – Il congresso di Nessuno Tocchi Caino ha sicuramente il valore di una celebrazione, quasi di una festa, per il successo conseguito in questo straordinario anno in cui lo stato di diritto ha vinto sullo stato di emergenza, e la speranza sulla paura”.

 

Una celebrazione nel ricordo di Marco Pannella: “Marco è stato l’ispiratore di questo cambiamento – ricorda D’Elia – Lo ha instillato innanzitutto in quelli che riteneva i suoi fratelli: i detenuti, i condannati, gli ergastolani. Con il suo motto ‘spes contra spem’ li ammoniva dicendo: ‘Non state lì a sperare che qualcuno accenda la luce in fondo al tunnel in cui vivete, siate speranza e incarnate la speranza’. Così è stato. Ad esempio, i detenuti del carcere di Opera, protagonisti del docu-film di Ambrogio Crespi ‘Spes contra Spem-Liberi dentro’, hanno fatto tesoro del motto pannelliano. Condannati a una pena senza speranza, hanno deciso di essere speranza. La Corte di Strasburgo e la Corte costituzionale non hanno fatto altro che riflettere il cambiamento dei condannati all’ergastolo, decidendo di superare, di fatto abolire, il fine pena mai”. Un cambiamento che, però, viene duramente contrastato dal fronte giustizialista e dell’antimafia militante: “Noi di Nessuno Tocchi Caino ci siamo già accreditati presso il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per verificare se la sentenza Viola contro Italia è stata applicata nel nostro paese”, afferma D’Elia, che replica anche a chi negli ultimi mesi ha invocato l’intervento del parlamento per vanificare la pronuncia della Corte costituzionale: “Qualsiasi cosa faccia il Parlamento, la sentenza della Consulta resta una pietra miliare, anzi una pietra tombale su una logica antimafia che Sciascia aborriva, affermando che la mafia non va combattuta con la terribilità, ma con lo stato di diritto. Negli ultimi due anni la Corte costituzionale, presieduta da un grande giurista come Giorgio Lattanzi, è stata straordinaria. Sono sicuro che la nuova presidente Marta Cartabia sarà alla stessa altezza, e che quindi qualsiasi cosa decida di fare il parlamento ci sarà una Corte costituzionale cane da guardia dello stato di diritto contro le logiche dell’emergenza”. E’ proprio questa, conclude D’Elia, la nuova sfida di Nessuno Tocchi Caino: “Mettere in discussione l’idea aberrante secondo cui il sistema penale deve rispondere al dolore e alla sofferenza inflitti dal reato con altrettanta sofferenza e dolore. Lo stato, in nome di Abele, non può diventare Caino”.

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