Il Giro d'Italia tra i vinti di oggi e i vincitori di domani

Giovanni Battistuzzi

Perché le difficoltà di Froome e Aru sono una buona notizia per la corsa rosa. Le parole di Gaul e quello che c'è da aspettarsi dalle prossime dodici tappe

Promozioni e bocciature, tappe fatte e tappe da fare, vinti e vincitori che ancora vinti e vincitori non sono, o almeno non abbastanza. Il Giro d'Italia se ne sta fermo un giorno, il secondo, il penultimo. Intanto pensa, riflette su quello che è stato, immagina quel che potrebbe essere. Sicuramente volta una pagina, quella sempre complessa e sempre fumosa della prima settimana, quella che dice tanto, senza però di tutto, o almeno così si spera. Perché lungo è il Giro, si dice, perché tante sono le salite, e questo è certo, perché non sempre chi sembra tagliato fuori lo è davvero.

 

Intanto le none tappe corse dicono che due dei personaggi in cerca d'autore partiti da Gerusalemme non se la passano bene, anzi decisamente maluccio. Perché Chris Froome mai avrebbe pensato di poter finire undicesimo a 2'27". Perché Fabio Aru mai avrebbe pensato di avere quattordici corridori davanti e che Simon Yates potesse essere lontano 2'36". Perché con alle spalle tre arrivi in salita, due tappe toste e una cronometro di nove chilometri, per di più mossi, i due si immaginavano altro. Sicuramente non si sarebbero mai immaginati di ritrovarsi storti sui pedali, tra il vento e il freddo del Gran Sasso, a inseguire oltre venti uomini che sembravano zompettare senza troppo sforzo, mentre loro soffrivano, imprecavano e si stupivano di essere davvero loro a essere rimbalzati dalla montagna.

 

Il ciclismo se ne frega del pedigree, è concentrato sull'oggi, l'ieri lo ricorda con nostalgia, ma sulla strada non conta. E la strada ha detto che Yates va a palla, Thibaut Pinot, Domenico Pozzovivo ed Esteban Chaves sono un manipolo di duri a morire mica male, Richard Carapaz è un cavallo pazzo che può scombinare molte cose, Davide Formolo ha da dire di più di quello che ha detto e Tom Dumoulin e Miguel Angel Lopez hanno un potenziale incredibile, ma il motore un po' imballato.

 

L'istantanea è questa e non prevede nel riquadro Froome e Aru. Il Giro è però formato da molte istantanee, una diversa dall'altra, una che cancella l'altra senza davvero cancellarla.

 

L'istantanea è questa e nel suo fondale ci sono salite, ma singole, sparute. E questo è un indizio sfuggente, ma significativo.

 

Diceva Charly Gaul, quando parlava del Giro, che finché "non arrivano le salite ripetute, tutto quello che la strada ha detto ha un valore relativo". E lo diceva perché "così è sempre stato", e così è sempre stato "perché quando pedali per quindici chilometri in salita è una cosa, quando a quei quindici ne metti altri quindici e altri quindici ancora allora il discorso cambia".

 

Pensare che quello che si è visto finora possa essere spazzato via dallo Zoncolan o dalle Dolomiti è improbabile, ma processare ora i vinti della prima settimana senza dar loro un appello è altrettanto rischioso. Di riscritture totali del romanzo di una grande corsa a tappe è pieno il ciclismo. Verdetti che sembravano già definitivi sono stati spazzati via in un attimo, in pochi chilometri o soltanto in una curva. Può essere vero anche il contrario, sia chiaro: domini totali e totalizzanti, a volte imbarazzanti. Tant'è. Mancano due settimane, tra poco sapremo in quale libro verrà inserita questa corsa.

 

 

Quello che gli spettatori possono augurarsi è che sia l'orgoglio a guidare i vinti della prima settimana e non la disperazione o il rammarico per quello che è stato. Ed è il migliore augurio che ci si possa fare. Perché l'orgoglio è un motore che genera scatti, che genera voglia di ribalta e di rivalsa. E da Penne (partenza della decima tappa) a Roma (arrivo dell'ultima) di palcoscenici sui quali questo può essere sfogato ce ne sono abbastanza per regalare al Giro assalti e tracolli, rese e resurrezioni sportive che, almeno ipoteticamente, potrebbero ribaltare qualsiasi giudizio espresso sino a ora.