L'Aquila, la fiaccolata del 2018

L'Aquila, dieci anni dopo una ferita ancora aperta

Davide D'Alessandro

309 morti, 1.600 feriti, 80.000 sfollati. Non servono più gli appelli, le raccomandazioni, le preghiere. Servono le immagini di com’era e di com’è per comprendere che il dolore, quello vero e profondo, non è di tutti, non lo sentono tutti allo stesso modo

L’Aquila, 6 aprile 2009, ore 3:32:39. Terremoto di magnitudo momento 6,3. 309 morti, 1.600 feriti, 80.000 sfollati. Questi sono i dati, freddi, cupi, inchiodanti. Poi ci sono le voci, di chi non c’è più e di chi c’è ancora, voci che risuonano per le strade, per i vicoli del centro, davanti e dentro le chiese. Non si è fermata la vita, dieci anni fa, ma si è fermata la storia di questa città bella, sobria, misurata, persino riparata fino a quando la natura non è venuta a cercarla, investendola con la sua violenza. Bambini, ragazzi, adulti, anziani, donne e uomini, cose, oggetti cari, tutto si è portata via. Oggi, oltre al ricordo che non è ricordo, poiché vive costantemente dentro ogni aquilano, resta il dolore per ciò che era stato promesso e non è stato mantenuto. Sapete, c’è la corsa, dopo ogni sisma, alla solidarietà, agli appelli, alla vicinanza, alle tante cose da fare, alla ricostruzione. Sembra quasi un giorno di festa. Tutti promettono tutto. Poi arriva il lunedì, il giorno feriale, e il martedì, e gli altri ancora e bisogna chinarsi davvero sulle macerie e tentare di eliminarle. Non è facile, d’accordo, ma si deve perché la storia si è fermata, la vita no, la vita continua a pulsare, a far sentire il suo sdegno, la sua rabbia, la sua voglia di …vita.

Sotto il cielo dell’Aquila, dieci anni dopo, la politica, o quel che ne resta, ha fatto poco e l’ha fatto lentamente, molto lentamente. Come colpire una seconda volta. Non servono più gli appelli, le raccomandazioni, le preghiere. Servono le immagini di com’era e di com’è per comprendere che il dolore, quello vero e profondo, non è di tutti, non lo sentono tutti allo stesso modo. Ci sono poesie, libri, racconti a dirci di quella notte, di quel dolore, ma sono parole e le parole, se non accompagnate dai fatti, volano come aquila vola. Non so come sarà L’Aquila fra altri dieci anni. So che il 6 aprile di questi primi dieci è una ferita aperta, sanguina e nessuno riesce a cucirla. Non manca l’ago e neppure il filo. Manca il cuore, il cuore dell’uomo.

 

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