Indro Montanelli

Indro Montanelli, la Storia è lui

Davide D'Alessandro

Grande annusatore delle nostre virtù, pochissime, e dei nostri vizi, tantissimi, ci ha detto meglio di chiunque chi siamo stati e chi siamo. Con lucidità, con fermezza, con l’incedere altero, senza infingimenti, senza mai abbassare gli occhi, senza mai piegare la schiena. Se finì a terra, una volta, fu perché gli spararono

Vado in edicola al mattino e incontro ancora Indro Montanelli, Montanelli e Dante, Montanelli e il Duce, Montanelli e i secoli bui, Montanelli e i secoli d’oro, Montanelli e la Storia d’Italia, la Storia sua e di Roberto Gervaso, sua e di Mario Cervi, sua e degli studenti italiani che l’hanno sempre preferita a quella dei parrucconi, degli accademici buoni a scrivere per loro e tra di loro, mai per gli altri. Anch’io, da studente, la preferivo di gran lunga al libro di testo, anzi la sostituivo al libro di testo, la studiavo al posto del libro di testo, ma senza dirlo, per essere brillantemente promosso. Bastava dirlo, o solo anche farsi scoprire mentre sbirciavo tra le sue pagine, perché il professore, sempre fazioso e di sinistra, arricciasse il naso, storcesse la bocca, incupisse lo sguardo.

Che strana, l’Italia, e che strani, gli italiani! Nessuno quanto lui (anzi solo Prezzolini e Longanesi con lui), ne ha colto e rappresentato i tic, le manie, l’intima essenza. Grande conoscitore o, meglio, annusatore delle nostre virtù, pochissime, e dei nostri vizi, tantissimi, ci ha detto meglio di chiunque chi siamo stati e chi siamo. Con lucidità, con chiarezza, con l’incedere altero, senza infingimenti, senza mai abbassare gli occhi, senza mai piegare la schiena. Se finì a terra, una volta, fu perché gli spararono. Ma si rialzò e perdonò. Gli piacerebbe questo articolo se scrivessi, come scrivo, che quei vizi li aveva anche lui, li coltivava e li combatteva, narciso impenitente, toscanaccio inimitabile, italiano a modo suo, polemista insuperato, moralista neppure per idea.

Non è vero, caro De Gregori, che la storia siamo noi. La Storia, quella d’Italia e del giornalismo italiano, è Montanelli. Ritrovarlo in edicola, in libreria, in tutte le edizioni possibili, è ancora un inno alla scrittura, a come si pensa prima di scrivere, a cosa si pensa mentre si scrive, a come si apre un pezzo, a come lo si conduce, a come lo si chiude. Montanelli non avrebbe mai fondato una scuola di scrittura, a mo’ di un Baricco qualsiasi, perché si può insegnare a leggere, non a scrivere. La sua lezione gratuita è a disposizione di tutti. Basta aprire una vecchia copia del Giornale, (ri)leggere un suo articolo a caso, e restare stupiti e ammirati ogni volta di più. Montanelli non scriveva. Montanelli era ed è la scrittura. E se non ci fosse la sua firma, in coda al pezzo, sarebbe lo stesso. Riconoscibilissimo poiché diverso da tanti, diverso da tutti. Autenticamente Indro. Anzi Cilindro. Come all’anagrafe. E mi manca, quanto mi manca! Perché non posso più leggerlo, ma solo (ri)leggerlo. E non posso più essere promosso, (ri)studiandolo, perché la scuola è finita. Resta la vita, finché resta. Una cosa leggermente più seria.