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Lega, benvenuta al Sud!

Davide D'Alessandro

Il 4 marzo, per merito di Salvini, è nato un nuovo partito nazionale, proteso a parlare a tutti gli italiani, disposto a sfidare i disastri di una globalizzazione subita e mai guidata dalla politica, una globalizzazione che ha impoverito e in alcune zone falcidiato il tessuto produttivo

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Un’Italia da Lega..re è uno slogan che non dispiacerebbe a Matteo Salvini, poiché il dato più rilevante delle ultime elezioni politiche è la capacità di penetrazione del suo partito nel centrosud. Un’Italia da cucire, da tenere insieme riducendo le distanze e gli squilibri che la dividono da decenni. Dall’Umbria alla Sicilia, dall’Italia di mezzo alla punta dello Stivale, da Perugia a Palermo, le percentuali sono incontrovertibili. Basta gettare uno sguardo al Proporzionale Camera: Marche, 17,27; Umbria, 20,15; Abruzzo, 13,8; Basilicata, 6,28; Calabria, 5,61; Campania 1, 2,89; Campania 2, 5,75; Lazio 1, 11,84; Lazio 2, 16,52; Molise, 8,67; Puglia, 6,18; Sardegna, 10,79; Sicilia 1, 5,18; Sicilia 2, 5,11.

Il merito va certamente al suo leader che, rispetto al fondatore, ha operato una torsione decisiva: la Lega Nord è diventata Lega, la parola secessione è stata archiviata, l’ampolla del Po riposta nel cassetto. “Prima gli italiani”, non prima i Lombardi o i Veneti o i Padani. L’Italia è una e indivisibile e lo spirito di Salvini non è stato quello del conquistatore di regioni a lui ostili, ma di ascolto e di recepimento delle istanze e delle tante domande rimaste da tempo inevase, per la responsabilità di una classe politica mediocre, autoreferenziale, dedita a coltivare il proprio orticello, un orticello che non ha mai dato frutti al popolo, quel popolo che il 4 marzo ha fatto sentire alto il proprio disgusto, la propria rabbia.

L’Italia è una e indivisibile, forse un giorno dotata di maggiori autonomie locali, di serie impostazioni federali, ma le litanie del Nord che mantiene il Sud, del Sud che vive e campa alle spalle del Nord sono sparite. Salvini eletto in Calabria è il simbolo di una trasformazione fortissimamente voluta. Già nel 2015, sul prato di Pontida, le bandiere del Piemonte e del Friuli iniziarono a mischiarsi (non a contaminarsi) con quelle della Puglia, dell’Abruzzo, del Molise. Un’accoglienza straordinaria oggi ricambiata con una valanga di voti.

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Che cosa si aspetta il Sud dalla Lega? Che cosa chiede il Sud alla Lega? È banale, troppo banale, spiegare tutto con la protesta, con il peso dei migranti, con gli sbarchi infiniti. C’è una buona amministrazione della Lega al Nord che va ereditata per trasmissione diretta, un sistema-partito da innestare in un contesto piuttosto refrattario alla militanza e all’organizzazione strutturata. Il senso della Lega per la politica, per la formazione politica, la vicinanza, direi l’adesione ai problemi reali e quotidiani vissuti da quella fatidica gente, sempre usata e strumentalizzata a sproposito, sono i segni ben riconoscibili di un processo avviato e gestito con acume e intelligenza, alimentato con la presenza, palmo a palmo, di un leader giovane, mai arrogante, ritenuto credibile.

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Il 4 marzo è nato un nuovo partito nazionale, proteso a parlare a tutti gli italiani, disposto a sfidare le incongruenze (e i disastri) di una globalizzazione subita e mai guidata dalla politica, una globalizzazione che ha impoverito e in alcune zone falcidiato il tessuto produttivo. Dalla conclamata fine dei partiti (di alcuni partiti) la novità è un partito che non solo resiste, che non solo si è piegato fino al 3% senza spezzarsi, ma che avanza con una strepitosa intensità espansiva. La Lega non è uno slogan ben riuscito. Andrebbe studiata e analizzata con maggiore serietà, come fece Ilvo Diamanti che oggi, con Marc Lazar, scrive Popolocrazia, ma ieri scriveva prima La Lega. Geografia, storia e sociologia di un nuovo soggetto politico, poi Il male del Nord. Lega, localismo, secessione.

Quella era un’altra Lega, ma senza quella non ci sarebbe questa. Un partito mutato in un’Italia mutata. Solo chi è fazioso non se ne accorge, solo chi non vuole vedere non vede. Il ghigno schifato che lo storico Luciano Canfora ha esibito dalla Gruber, disquisendo sulla Lega, è la supponenza di chi non si perita di comprendere, di chi esclude a priori, mentre i voti della Lega esplodono. Gli intellettualoni da una parte e i cittadini dall’altra, i professoroni da una parte e i cittadini dall’altra. I voti per i partiti non graditi dai professoroni sono sempre voti di protesta, voti sbagliati.  Non è un modo intelligente, il ghigno schifato, per analizzare un fenomeno politico che al pari del M5S, ma con altre caratteristiche, s’impone all’attenzione degli osservatori imparziali. Per fortuna qualcuno se ne trova ancora in giro, grazie a Dio.

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