Manlio Sgalambro con Antonio Carulli

Cara “Italian Theory”, ricordati di Sgalambro

Davide D'Alessandro

Nell’ultimo libro di Antonio Carulli, dedicato al filosofo siciliano, emergono anche i risultati della riflessione morale raggiunti con le opere degli anni Novanta: l’indifferenza al sociale e all’Altro, il rifiuto totale della politica, il ruolo del delitto, in palese contrasto con il fatto che si muoia, a suo dire una insigne banalità concettuale

Di Manlio Sgalambro poco si parla (spesso a sproposito) e poco si tende ad analizzarne l’opera come meriterebbe. A quattro anni dalla scomparsa (il 6 marzo prossimo ricorre la data di morte, a una settimana da quella di nascita di Emanuele Severino, l’esatto suo “nemico” in filosofia), l’unico a compiere una ricostruzione esaustiva della totalità del suo pensiero è Antonio Carulli, giovane filosofo dagli esiti imprevedibili (si pensi alla sua dura Metafisica delle mestruazioni, uscita sempre nel 2017 per lo stesso Editore) giunto - poco più che trentenne - ormai al quinto libro, quattro dei quali per i bei tipi de Il melangolo, dietro l’eccentrica regia di Simone Regazzoni, valente direttore editoriale, che ospita nella sua collana storica - “la gialla” degli Opuscula - una necessaria Introduzione a Sgalambro (pp. 211, € 16). A Sgalambro, peraltro, era già stata dedicata la miscellanea Caro misantropo (La Scuola di Pitagora, 2015).

Il libro, densissimo e scritto molto bene, tutto addentro, privo di note, parte da un assioma semplice, ma non a tutti noto, evidentemente: la centralità di Sgalambro nel dibattito postbellico tra Rensi, Martinetti e Papini. Con i primi scritti, tutti compresi tra la fine degli anni Quaranta e i primi Sessanta, il filosofo siciliano tracciò una singolare via a ciò che poi sarebbe diventato il pensiero negativo italiano - storiograficamente canonico - con Cacciari, l’unico grande accademico a innamorarsene veramente, e Negri: da I paralipomeni all’irrazionalismo ai saggi su “Tempo Presente” di Chiaromonte e Silone, passando per quel Crepuscolo e notte, che la critica salutò come il primo esempio di esistenzialismo negativo italiano, Sgalambro individua nel pensiero classico da Aristotele a Kant a - sorprendentemente - quei materialisti francesi e tedeschi, che allora imperavano, una repulsione totale a quel non essere oggetto di attenzione della scolastica heideggeriana pronta a prendere possesso della filosofia italiana, e dell’esistenzialismo così attratto dalla positività dell’essere.

Sempre controcorrente, Sgalambro con i capolavori La morte del sole e il Trattato dell’empietà avrebbe, negli anni Ottanta, sbugiardato le illusioni del pensiero postmoderno, opponendogli un concetto di Verità non preventivamente  antropologizzato, la ridicola presenza dell’uomo sulla faccia della Terra, la minaccia del mondo - il tema classico dell’acosmismo hegeliano -, l’immagine di un Dio ostile al singolo e pronto a distruggerlo (di qui l’insulsaggine del niente rispetto alla ingiustizia di essere distrutti dalla morte, prova ontologica unica dell’esistenza di un Dio e di una Verità esterni a noi e non addomesticabili). Il tutto a partire da autori allora “imperdonabili”: Spengler, Benn, Benda e Cano.

Il libro analizza anche i risultati della riflessione morale raggiunti con le opere degli anni Novanta: l’indifferenza al sociale e all’Altro, il rifiuto totale della politica (si vedano le pagine su Sgalambro lettore del fenomeno di Mani pulite, una vera chicca), il ruolo del delitto, anche qui in palese contrasto con il fatto che si muoia, a suo dire una insigne banalità concettuale.

Un mondo ostile, un uomo vittima del meccanicismo, un percorso aspro, il tutto in uno stile impeccabile, parente prossimo di quel Cioran dal quale il libro non esita a rimarcare l’immane distanza in termini di scelte di impianto metafisico. Settant’anni di riflessione passati alla lente di ingrandimento contro quanti credono che Sgalambro sia stato solo una figurina da spettacolo presa a calcare il palcoscenico con Battiato, geniale menestrello della musica italiana, del quale stravolse il modo di comporre testi di canzone: nessuna rima e immagini allucinate. Insomma, parole da non dirsi tra innamorati. Cara “Italian Theory”, verrebbe da dire, ricordati di Sgalambro.