Jean Claude Juncker (foto LaPresse)

La trappola di Bruxelles

Matteo Scotto

L'Unione europea non è abilitata ai grandi progetti dagli stessi paesi che ne fanno parte. Non può materialmente proporre alcun tipo di visione lungimirante di riforma sostanziale, che sarebbe immediatamente affossata da chi oggi rema contro la comunità europea.

L’UE e la sue istituzioni sono cadute in trappola, una trappola politica da cui pare quasi impossibile uscire. Caricata ormai di un peso e di una responsabilità politica senza pari nella storia dell’integrazione europea, l’Unione non si trova tuttavia oggi nelle condizioni di poter offrire quello che la gente si aspetta. La proposta di bilancio della Commissione di questa settimana, che andrà poi negoziata da Consiglio e Parlamento, ne è un esempio lampante e qui dovremmo fermarci tutti a riflettere, per capire come affrontare l’importante anno di riforme che ci attende: ci sono le elezioni europee, ci sono le riforme dell’Eurozona proposte da Macron, ci sono le spinose questioni della sicurezza, del terrorismo e della migrazione da affrontare. La fiducia nelle istituzioni UE, come per la politica in generale, è molto bassa. Eppure, in modo quasi paradossale, è proprio dalle stesse istituzioni sfiduciate che ci si attende un cambio di marcia, una capacità vera di risolvere i problemi delle persone. Qui sta l’inghippo ed è proprio in questa attesa che i cittadini rischiano di far la fine di Vladimiro e Estragone nel dramma di Samuel Beckett. Anzittutto bisogna chiedersi come la UE sia finita all’angolo, alle volte additata come marionettista, in grado di fare e disfare i destini del nostro continente, altre volte come capro espiatorio di tutti i mali del mondo. Da un lato ci si è messa da sola, con una narrativa acritica e autoreferenziale innamorata di sé stessa al pari di Narciso. Surreale, in un democrazia di vasta scala come quella europea, poter pensare anche solo per un secondo che i cittadini possano innamorarsi di istituzioni asettiche e senz’anima, in un contesto privo di qualunque legame simbolico, storico e culturale quale Bruxelles, nei confronti del quale non può scaturire alcun sentimento di appartenenza o fedeltà. Dall’atro lato ce l’hanno messa i leader degli Stai membri, abili a fruttare un sistema che permette la tattica dello scarica barile, pronti a usare l’Unione a proprio piacimento e vantaggio politico. Basti guardare cosa è successo in settimana, con Juncker che presenta l’unica proposta di bilancio possibile — un compromesso al ribassissimo — eppure da leggere di per sé come ambiziosa, poiché non appena la bozza entrerà nel Consiglio, ne uscirà ancora peggio. Ecco che la UE, stretta ormai in un morsa squisitamente intergovernativa dagli Stati membri, non è abilitata ai grandi progetti. Non può materialmente proporre alcun tipo di visione lungimirante di riforma sostanziale, che sarebbe immediatamente affossata dai paesi che oggi remano contro la comunità europea. Ci si chiede dunque, in vista delle elezioni del prossimo anno, come si farà a scaldare i cuori degli elettori, specie quelli dei più giovani, i quali per battersi per qualcosa hanno bisogno di poter credere in qualcosa, qualcosa di importante, ben al di là del cinismo politico in cui la UE è intrappolata. Come diceva Sartori, la democrazia per stare in piedi ha bisogno tanto di realismo quanto di idealismo, perché sono gli ideali a farci reagire allo status quo, al semplice reale, e spingerci a essere migliori di ciò che siamo. 

Di più su questi argomenti: