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Giorgia Meloni a Bruxelles: ecco il "giro d’orizzonte"

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Promesse, alleanze e intenzioni europee della presidente del Consiglio che oggi fa il suo esordio in mezzo a molte domande e qualche ispirazione 

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Giro d’orizzonte è l’espressione più utilizzata a Bruxelles in vista degli incontri di oggi tra i leader delle istituzioni dell’Ue e Giorgia Meloni. Ursula von der Leyen, Charles Michel e Roberta Metsola faranno dunque un “giro d’orizzonte” sui principali temi dell’agenda europea per capire  le posizioni e le intenzioni, le opinioni e le priorità della presidente del Consiglio. Perché, malgrado le rassicurazioni sull’Ucraina e sul rispetto delle regole fiscali nel discorso programmatico in Parlamento, l’Ue non è riuscita ancora a farsi un’idea chiara su Meloni. La trasformazione da leader sovranista che voleva uscire dall’euro a presidente del Consiglio  responsabile e  atlantista provoca più domande che risposte. Una fonte dell’Ue ci ha chiesto: “Qual è il suo programma? Cosa farà?”, riconoscendo che Meloni non è “il classico” capo di governo europeo. Il continuo uso di slogan da campagna elettorale è incompatibile con le soluzioni che vanno proposte, negoziate e concordate non solo con Bruxelles, ma con altri 26 stati membri. Dire di voler un’Europa confederale che si occupi di grandi temi significa dimenticare che piccole cose su cui l’Unione europea non ha competenze, come un virus, possono trasformarsi all’improvviso in crisi planetarie. Dal diametro delle vongole dipende la sostenibilità della pesca – e comunque l’Italia ha sempre ottenuto una deroga. Anzi, l’origine del limite di 2,5 centimetri è italianissima: l’Ue ha copiato il dispositivo di un Decreto del presidente della Repubblica, firmato nel 1968 da Giuseppe Saragat, per limitare l’impoverimento dei mari. Insomma, dal punto di vista di Giorgia Meloni, difendere il diametro delle vongole dovrebbe quasi essere una rivendicazione sovranista.

 

Attriti e convergenze. Abbiamo sondato un po’ l’umore a Bruxelles e i primi contatti telefonici dopo la nomina di Meloni a presidente del Consiglio vengono definiti “rassicuranti” da diverse fonti dell’Ue. Sulla politica estera  Meloni ha sottolineato  che ci sarà continuità con Mario Draghi: la priorità dell’Ue è il sostegno all’Ucraina e l’isolamento della Russia. Il fatto che non ci sarà un cambio di direzione è una buona base per iniziare a discutere e cooperare anche su altro, come la crisi energetica e il clima. Ma qui iniziano i primi problemi. Draghi ha passato il testimone nel momento in cui è ancora in corso la trattativa sul price cap, il tetto al prezzo del gas, e la solidarietà finanziaria sulla crisi energetica. Anche in questo caso ci si attende continuità da parte di Meloni. Ma fino a che punto la  presidente del Consiglio è pronta a scendere a compromessi? A Bruxelles, i piccoli dettagli possono spostare decine di miliardi di euro a favore o contro un paese. Se la Germania continuerà a opporsi a un price cap dinamico, l’Italia accetterà un price cap limitato al gas per produrre elettricità?  Dato che Berlino rifiuta uno strumento di debito comune stile Recovery fund (l’opzione preferita della Meloni, secondo un articolo di Repubblica), basterà uno strumento stile Sure (sempre che i tedeschi lo accettino) per evitare scambi di accuse sull’egoismo dei paesi ricchi e quelli indebitati sempre a chiedere soldi, anche quando sono diretti da leader orgogliosamente sovranisti? Ieri a Berlino c’era il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Il leghista ha incontrato il ministro delle Finanze Christian Lindner anche per discutere queste questioni.  Si è portato dietro la sua fama di  draghiano e il suo vanto di essere uno dei tre ministri    a cui l’ex presidente del Consiglio dava del tu, ma trattare con i tedeschi non è comunque  semplice. Né per Meloni né per Giorgetti, che si intende di più con i francesi e in passato aveva detto di avere in simpatia un solo tedesco, l’ex capo dell’Esa Johann-Dietrich Wörner: speriamo che Lindner, simpatico a pochi, non lo abbia  sentito. 

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Do you know Pnrr? I soldi dell’Ue saranno un tema centrale dell’incontro con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Se Meloni vuole davvero chiedere di riaprire il Pnrr, alcune modifiche limitate e puntuali sono possibili. Nel suo discorso programmatico Meloni ha parlato della necessità di ritoccare il Pnrr per gli effetti dell’inflazione sugli appalti. Gli oltre  200 miliardi non verrebbero messi in dubbio da uno spostamento di data delle gare. Ma una riscrittura del Pnrr, anche se non impossibile, è fortemente sconsigliata dalla Commissione. Gli esborsi verrebbero sospesi. Si dovrebbe aprire un altro lungo negoziato per concordare con Bruxelles riforme e investimenti. Il nuovo Pnrr dovrebbe essere nuovamente approvato dagli altri stati membri. Lo scenario migliore sarebbe un ritardo di almeno sei mesi nell’erogazione dei fondi. Quello peggiore sarebbe uno stop per mancanza di accordo. Come una palla di neve, uno stallo sul Pnrr si ripercuoterebbe su altri settori nei quali la fiducia è fondamentale: la protezione della Bce con il nuovo programma di acquisto titoli Tpi, la riforma del Patto di stabilità e crescita, il completamento dell’Unione bancaria. A proposito: l’Italia ratificherà il nuovo trattato del Mes o la Meloni manterrà la sua opposizione?

 

A porti chiusi. L’ipotesi dell’Ue è che sul fronte economico non dovrebbero esserci grossi problemi con Meloni, perché l’Italia ha bisogno dell’Europa e dei suoi aiuti (non solo il Recovery, ma anche la Bce). I primi test saranno la legge di bilancio e la prosecuzione delle riforme del Pnrr. Laddove l’Ue si aspetta grossi guai è l’immigrazione. Il ritorno alle tensioni del 2018-19, quando Matteo Salvini bloccava i porti, si sta già concretizzando con la minaccia di non far sbarcare i migranti salvati dalle navi delle ong. Un “blocco navale” sarebbe incompatibile con il divieto di respingimenti dell’Ue. Anche la versione edulcorata di Meloni – la fase tre della missione navale Sophia – è considerata irrealizzabile. La missione Sophia era stata chiusa su richiesta del governo Conte 1 e di Salvini perché le sue navi erano obbligate a salvare i migranti in mare e sbarcarli in Italia. La fase 3 di missione Sophia, con la possibilità per gli assetti navali europei di entrare nelle acque libiche per distruggere le imbarcazioni dei trafficanti, non è mai stata realizzata perché la Libia non ha mai dato il suo consenso. “Anche i libici sono sovranisti”, ha ironizzato un diplomatico europeo: “Più che Bruxelles, Meloni dovrebbe convincere le fazioni in Libia a cedere il controllo delle loro acque”. Anche il piano per l’Africa è illusorio. Il diplomatico ci ha ricordato che “ogni premier ha il suo. Matteo Renzi aveva lanciato un Compact per l’Africa”. Quanto alla ridistribuzione dei richiedenti asilo, per ora è solo su base volontaria per un numero ridotto (10 mila). Il principale ostacolo alla solidarietà sui migranti sono gli alleati di Meloni nell’Ue: la Polonia di Mateusz Morawiecki e l’Ungheria di Viktor Orbán.  Il suggerimento che verrà discretamente indirizzato a Meloni durante i suoi incontri è proprio di non seguire la strada del premier ungherese. Quando Metsola dice che l’Italia deve restare al centro dell’Europa vuole dire che non deve mettersi ai margini come l’Ungheria. 

 

Meloni e famiglia. Ci sono sovranisti di lotta e sovranisti di governo, che anche se governano si comportano sempre come un partito in perenne campagna elettorale. Giorgia Meloni, anche se la sua esperienza di governo è ancora molto breve, potrebbe essere già ascritta a questa seconda categoria come i suoi amici di famiglia europea, i Conservatori e riformisti (Ecr). Più che a Budapest è a Varsavia che guarda la Meloni, perché è lì che si trova l’epicentro del partito, costituito in maggioranza dai polacchi del PiS, che sono appunto al governo dal 2015, ma continuano a ragionare da opposizione. Il PiS ha capito che Fratelli d’Italia poteva essere un alleato prezioso in tempi non sospetti, ha scommesso sul partito pensando che potesse  crescere e sapendo che avere un giorno al governo di un paese come l’Italia una forza del loro gruppo sarebbe stato un gran colpo. Hanno avuto ragione, se non fosse che Italia e Polonia non sono sempre compatibili, sicuramente non per l’immigrazione. Tra i conservatori e riformisti ci sono anche i cechi del Partito democratico civico del premier Petr Fiala, considerato un moderato;  i Democratici svedesi, che anche se non sono al governo a Stoccolma danno l’appoggio esterno e hanno contribuito a decidere il programma dell’esecutivo. Poi ci sono gli spagnoli di Vox, con Santiago Abascal che è in attesa di avere il suo momento e guarda a Meloni come un esempio. Dicono che a lui manchino pazienza e studio, anche per questo i polacchi non hanno finora investito sullo spagnolo.  Poi ci sono gli altri sovranisti, quelli di lotta.
 

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Marine e gli altri salviniani. S’è molto chiacchierato del rapporto tra Meloni e Marine Le Pen, leader un po’ in disarmo del sovranismo francese, dopo la seconda sconfitta elettorale alle presidenziali dell’aprile scorso.  Le Pen si è congratulata con il nuovo governo italiano, ha detto che “ovunque in Europa i patrioti arrivano al potere e con loro questa Europa delle nazioni che abbiamo auspicato”, ma i giornali francesi si sono parecchio divertiti a raccontare le diversità tra le due leader, un argomento irresistibile trattandosi appunto anche di due donne. Se in passato i rapporti tra Le Pen e Meloni erano stati stretti, poi le strade si sono divise e l’asse sovranista franco-italiano si è cementato con Matteo Salvini e dentro al gruppo europeo Identità e democrazia, che ha avuto un gran successo alle elezioni europee del 2019. Tutte le iniziative di un’alleanza sovranista tra l’Ecr e Identità e democrazia, passando dall’ungherese Viktor Orbán che cerca casa dopo la fuoriuscita dal Partito popolare europeo, sono però fallite: gli interessi nazionalisti faticano a trovare sinergie. In un’intervista al Corriere della Sera all’inizio di ottobre, la Le Pen ha detto: “Noi non abbiamo mai cercato cloni in Europa, ma alleati, persone che condividono la stessa nostra grande visione. Ci sono due rive, quella dei nazionalisti e quella dei mondialisti, e Giorgia Meloni si trova incontestabilmente sulla stessa nostra riva”. Ma è una riva frastagliata, che si è ulteriormente frammentata con la guerra di Putin in Ucraina, dal momento che Le Pen è contraria all’invio di armi offensive a Kyiv, è contraria a proseguire con le sanzioni e vorrebbe pure che la Francia uscisse dalla Nato. C’è anche una questione di potere: il gruppo Identità e democrazia ha più o meno lo stesso numero di europarlamentari dell’Ecr, ma lo slancio dei partiti che lo compongono si è perduto. Lo stesso Salvini ha ottenuto l’8 per cento alle ultime elezioni: un crollo e una partecipazione come socio di minoranza al governo italiano. Ma anche l’Fpö  austriaca o l’AfD tedesca si sono ridimensionate, e non hanno alcun ruolo di governo. Senza arrivare a credere a chi dice che i rapporti tra  Le Pen e  Meloni sono pessimi, è evidente che sono cambiati in Europa i protagonisti del nazionalismo, e che se delle condizioni d’alleanza saranno mai poste, saranno con più probabilità dettate dalla premier italiana.

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Per il momento è la Spagna che guarda con più attenzione all’Italia e si domanda: ma potrà succedere anche da noi? Alcuni analisti dicono che la vittoria di Giorgia Meloni  non è esportabile a Madrid e forse Vox il suo momento d’oro lo ha già alle spalle. Poi, dicono, in Spagna  una Meloni non c’è. O meglio, qualcuno sostiene che ci fosse: era Macarena Olona, ex esponente di Vox. Ha rotto con il suo partito e ha creato un progetto tutto suo, che sarà presentato venerdì e si chiamerà Olona. Nel video di lancio si sente lei apostrofare la folla: “Soy libre, soy española, soy madre, soy hija, soy hermana”. Sì, proprio così. Qualcuno, scherzando, le ha ricordato: ti sei dimenticata di dire “Soy Giorgia”. 

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(ha collaborato David Carretta)

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