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Il sound ostile del patrigno della Slovenia

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Alla guida del semestre europeo, Janez Jansa  vuole imitare Orbán. Soffoca i media, litiga con uno sloveno (per ora)  all’estero e si barrica con gli amici

Le musiche trasmesse da Radio Student sembrano la colonna sonora di un cortometraggio di David Lynch. Suonano come stralci di sogni, di paure, di avanguardie. Su Radio Student si costruisce e si dibatte la Slovenia del futuro dal 1969 e la sua fondazione è legata alle proteste studentesche dell’anno prima. Ormai Radio Student ha perso la sua esclusività universitaria, è diventata un’emittente che ascoltano un po’ tutti, fa ancora riferimento all’Università di Lubiana, ma ha un valore nazionale. Matjaz Zorec, che oggi ne  è il direttore, ci ha detto che è nato come uno spazio per confrontarsi liberamente e ascoltare musica. E’ stata così per tanti anni, anche in quelli più duri e controversi della storia della nazione, quando c’era la Jugoslavia e quando la Jugoslavia non c’era più. Per questo sono rimasti tutti colpiti quando anche Radio Student ha perso i finanziamenti del ministero della Cultura. “Siamo una delle tante vittime di questo governo – dice Zorec – con l’aggravante che noi non facciamo profitti, non possiamo stare sul mercato”. Quando Janez Jansa, primo ministro della Slovenia, è arrivato al suo terzo mandato non consecutivo, tutti si aspettavano che avrebbe cercato di portare a compimento quello che aveva tentato di fare nei mandati precedenti. Incluso il suo attacco al pluralismo, ai media, anche a una radio studentesca, che lo ha fatto molto infuriare quando lo scorso anno scrisse su Twitter “morte al jansismo”, parafrasando il “morte al nazismo” dei partigiani comunisti durante la Seconda guerra mondiale. “Siamo di sinistra, ma abbiamo sempre contestato tutti, anche i governi arrivati prima di questo. Non ci aspettavamo che anche la nostra radio sarebbe finita sotto il bulldozer”. Il bulldozer Jansa sta portando avanti una guerra dura e frettolosa contro tutte le testate che non sono dalla sua parte. Il metodo è quello già sperimentato da Viktor Orbán in Ungheria, e tra i due il legame è forte. Anzi, c’è chi crede che Jansa altro non sia che un progetto di Orbán, che gli ha anche mandato i suoi uomini, i suoi oligarchi a finanziare la sua televisione, la Nova24Tv fondata nel 2015. Jansa si è trasformato nel difensore, la guardia del corpo dell’orbanismo, lo ha importato, applicato e seguito fedelmente. 
Il primo luglio la Slovenia assumerà la presidenza del Consiglio dell’Unione europea e c’è preoccupazione, non tanto per il suo programma, ma perché dietro Jansa c’è Orbán e sono in tanti a pensare che il premier ungherese userà l’occasione come se fosse sua.  Albin Sybera, analista di Visegrad Insight, ci ha detto che c’è anche un altro rischio: “Se Jansa utilizzerà al livello europeo la stessa retorica divisiva che utilizza a livello nazionale, potrebbe essere un impulso anche per gli altri populisti per alzare i toni, il linguaggio estremo diventerebbe mainstream”.  Siamo andate a indagare tra le pieghe di questa presidenza che ci accompagnerà per sei mesi, tra i programmi, le aspettative e i piani passati e futuri di Janez Jansa, un Orbán più piccolo che si crede Trump, e che come l’ex presidente americano ha due passioni: Twitter e il deep state.

 


I direttori di Radio Student e di Mladina ci raccontano come sono stati silenziati e resi nemici pubblici dal primo ministro


 

Il semestre. Dopo quella portoghese, la presidenza della Slovenia del Consiglio dell’Ue si annuncia molto più tranquilla. Superata (si spera) la pandemia, Lubiana vuole rafforzare la resilienza dell’Ue, concentrandosi sull’unione della salute, l’autonomia strategica e la cybersicurezza. I primi piani nazionali del Recovery fund sono stati approvati dalla Commissione. La Slovenia presiederà gli Ecofin di luglio dove dovrebbe esserci il via libera definitivo da parte dei governi. La macchina è partita e non c’è interesse a mettere ostacoli alla ripresa nemmeno da parte dei paesi frugali. Sul piano legislativo ci sono alcuni dossier  delicati. A luglio la Commissione presenterà il pacchetto “fit for 55” con una parte consistente dei regolamenti e delle direttive destinate a ridurre le emissioni del 55 per cento entro il 2030. Parlamento europeo e Consiglio inizieranno a discutere in modo più serio anche del Digital Market Act e del Digital Service Act, pure se un accordo non è previsto prima della prossima primavera. C’è da sbloccare il processo di adesione: i Balcani occidentali sono una “priorità importante” del programma della Slovenia, che ospiterà un summit speciale tra l’Ue e la regione. I dossier più complicati rischiano di essere migranti e stato di diritto. C’è da portare avanti il negoziato sul nuovo Patto su migrazione e asilo.  Sotto la presidenza slovena partirà anche il meccanismo di condizionalità sullo stato di diritto, con Ungheria, Polonia e per certi aspetti la stessa Slovenia sul banco degli imputati. A Bruxelles circola voce che Janez Jansa voglia forzare la mano degli altri governi per costringere a chiudere la procedura dell’articolo 7 contro Polonia e Ungheria, mettendo ai voti una decisione che verrebbe bocciata per mancanza di unanimità. L’approccio adottato nel programma della presidenza lascia intravedere un tentativo di assolvere tutti in nome delle tradizioni costituzionali nazionali.  “Il nostro obiettivo è promuovere una cultura dello stato di diritto in tutta l’Ue e, attraverso un dibattito inclusivo, consentire agli stati membri di imparare gli uni dagli altri attraverso lo scambio di esperienze”, si legge nelle priorità pubblicate dal governo sloveno. “Vogliamo mostrare come lo stato di diritto possa essere ulteriormente rafforzato nel rispetto dei sistemi e delle tradizioni costituzionali nazionali”. Jansa proporrà la creazione di un “Istituto europeo per la democrazia costituzionale” che dovrebbe favorire la comprensione delle differenze costituzionali, socio-economiche, politiche e storiche tra gli stati.

 

Janez’s story. Il primo articolo della sua dissidenza, dopo la militanza nell’ala giovanile del Partito comunista sloveno, Janez Jansa lo scrisse nel 1983 su Mladina, storico settimanale sloveno famoso per le sue inchieste contro chi era di turno al potere. Jansa scrisse contro l’esercito della Jugoslavia e quella serie di articoli gli mise la polizia segreta alle calcagna, gli costò il passaporto e qualsiasi possibilità di lavoro nel settore pubblico: per guadagnarsi da vivere si mise a fare la guida sulle splendide montagne slovene e iniziò a scrivere programmi per computer. Nel 1986 il bando finì e iniziò la carriera di saggista e di politico nelle formazioni riformiste e anti comuniste che iniziavano a nascere in quel periodo, non senza problemi (fu arrestato) ma con una determinazione liberale che molti oggi accomunano a quella del giovane Orbán. La parabola politica di questi due leader è molto simile, e infatti oggi Jansa tende ad accodarsi sempre alle battaglie del premier ungherese: il passaggio da uno strenuo liberalismo europeista a una vocazione illiberale sempre più estrema è in effetti analogo, anche se in mezzo Jansa ha avuto parecchi problemi con la giustizia e  non ha mai raggiunto la statura politica di Orbán. Però la Slovenia con la guida del suo Partito democratico (che è di estrema destra, del resto anche Fidesz, il partito di Orbán, è l’acronimo di Alleanza dei giovani democratici) si è allontanata dal consensus bruxellese e oggi opera in sintonia con l’est dell’Europa, contro tutti gli altri. Se Orbán è il faro di Jansa sul continente, Donald Trump è stato ed è il suo faro globale: il premier sloveno applica in modo pedissequo il format complottista e distruttivo dell’ex presidente americano, utilizza gli stessi termini e lo stesso vittimismo: qualsiasi cosa accada, per Jansa è sempre colpa di qualche nemico della patria che lo boicotta. Oltre ai media e ai rivali politici, ci sono anche le manovre del deep state, che non si capisce quanto possa essere profondo in un paese di due milioni di abitanti, ma che Jansa denuncia ogni volta che è in difficoltà. Questo deep state è guidato dai suoi nemici, in particolare da uno: la famiglia Ceferin, il cui esponente più famoso è naturalmente Aleksander, presidente della Uefa dal 2016.


Il nemico Ceferin. La storia di Jansa e Ceferin si incrocia in un posto preciso: Grosuplje, una cittadina appena a sud di Lubiana, che noi ricordiamo per una fossa comune che risale alla Seconda guerra mondiale. Jansa è nato qui, sessantadue anni fa, da una famiglia cattolica; Ceferin ci ha abitato per un po’, quando sua madre era diventata preside della scuola che anche lui frequentava. Ceferin è il rampollo di una potente famiglia di avvocati e, una volta cresciuto, è diventato lui stesso l’avvocato dell’ex sindaco di Lubiana, Zoran Jankovic, e dei suoi due figli: un’altra famiglia nemica di Jansa. I rapporti sono stati altalenanti da allora, mai buoni ma nemmeno pessimi, finché il fratello maggiore di Ceferin, Rok, è stato nominato giudice della Corte costituzionale slovena. Da lì in poi è stato tutto un inseguirsi e azzannarsi, anche se all’inizio della pandemia, quando Jansa era ritornato al potere, pareva fosse stata siglata una tregua. Il neopremier aveva pubblicamente (cioè su Twitter: lo chiamano Marshal Twito) ringraziato Ceferin che, con una telefonata a Jack Ma di Alibaba, aveva garantito una commessa di centinaia di migliaia di mascherine. Durò poco, anche perché Jansa mal sopportò il fatto che Ceferin si prese tutto il merito, ostentandolo, di quelle mascherine. In più Ceferin si mise a criticare in modo esplicito la gestione da parte di Jansa della pandemia (in effetti disastrosa) e il premier rispose accusandolo di essere il primo responsabile del contagio in Europa: la partita di Champions League Atalanta-Valencia del 19 febbraio a Milano. Il magazine Democracija, che ha una proprietà ungherese, pubblicò un articolo in cui chiedeva: Ceferin avrebbe potuto evitare il disastro del coronavirus a Bergamo? Da quel momento lo scontro è stato aperto, e la Superlega, nei suoi due giorni di vita, ha contribuito ulteriormente: Jansa disse che era un gran progetto, un’alternativa necessaria all’orrida Uefa di Ceferin. Quando poi la Superlega collassò, il team Jansa fu costretto a fare marcia indietro, dicendo che comunque Ceferin non aveva alcun merito, erano stati i tifosi inviperiti a determinare il fallimento della Superlega (pare che Jansa in quell’occasione si prese anche una lavata di capo da Orbán). Al di là delle liti calcistiche, il problema del premier è che da un anno Ceferin lascia intendere di voler tornare in Slovenia, una volta finito il mandato alla Uefa, e buttarsi in politica: potrebbe fare da guida ai partiti di sinistra ora divisi nell’opposizione a Jansa. Il Financial Times ha sottolineato che, nel semestre di presidenza europea, Jansa vuole che lo sport diventi più materia comunitaria rispetto a come è ora: anche questo è un modo per infastidire Ceferin.

 


La lotta tra Jansa e i Ceferin è  tutto un azzannarsi e un rincorrersi, inizia a Grosuplje e potrebbe finire in politica


 

Il nemico Mladina. L’altro ossessione di Jansa è la rivista Mladina, proprio quella in cui scrisse il suo primo articolo. Anche a Mladina sono stati tagliati dei fondi, ma con la rivista, sarà il passato, sarà la giovinezza – Mladina vuol dire proprio giovinezza – la questione sembra essere personale. Soprattutto con Grega Repovz, il direttore, che quando Jansa firmava i suoi articoli aveva sedici anni e girava attorno alla redazione perché sapeva che bisogna fare qualcosa per il paese e Mladina era il posto giusto. “Era la rivista attraverso cui accadevano i cambiamenti in Slovenia. Tutti gli intellettuali che volevano elezioni libere, una nuova costituzione, scrivevano per Mladina. Jansa si occupava di esercito jugoslavo, era un bravo giornalista e poi l’esercito era uno degli argomenti da cui tutti si tenevano alla larga”. Negli anni Mladina è rimasto molto critico nei confronti di tutti e Jansa non l’ha presa bene, così ha rotto con i suoi ex colleghi. Con Grega Repovz in realtà aveva rotto già da un po’: “Quando lavoravo per il giornale Delo, e Jansa divenne premier per la prima volta, cercò subito di intromettersi negli affari della redazione e uno dei primi effetti fu che il direttore mi chiese di non scrivere più”. Repovz decise di lasciare il giornale e tornò a Mladina. Qualche mese fa Jansa intervenne in un dibattito al Parlamento europeo e come sfondo dietro alle sue spalle scorrevano una serie di foto, una raffigurava Grega Repovz con in testa un cappello con la falce e il martello. “Ero a Mosca con dei colleghi, a un certo punto a un mercato vedo il cappello, lo provo, un collega mi fa la foto e poi la mette su Facebook. Chi avrebbe immaginato che Jansa l’avrebbe utilizzata per dire agli europei: guardate, il direttore di Mladina è un vero comunista”. Repovz non è comunista, anzi, di esserlo non ha avuto neppure il tempo, dice. “Quando è caduto il comunismo in Slovenia avevo diciassette anni, e una volta caduto era finito per sempre. Anche avessi voluto, ero troppo giovane per esserlo”.
 

La trasformazione. La Slovenia è un paese che rimane profondamente europeista e secondo Marko Lovec, professore di Relazioni internazionali presso l’Università di Lubiana, continua a esserlo nonostante il governo di Jansa spinga dall’altra parte. “L’europeismo per gli sloveni è un sentimento più che ragionevole. E’ un paese piccolo, che dall’Ue trae molti benefici. Il governo sta assumendo degli atteggiamenti euroscettici, cerca il suo spazio politico e questo risponde anche a logiche internazionali”. C’è stata la Brexit, c’è stato  Trump, ci sono dei flussi elettorali che stanno muovendo i voti da sinistra a destra e rischiano di spopolare il centro. “La Slovenia ancora non è un problema per l’Ue, ma è certo che le mosse di Jansa preoccupano”. 
 

Le alleanze della Slovenia sono un problema antico. Un cruccio per il paese che desiderava tanto entrare nell’Ue, ma, una volta entrato, ha iniziato a soffrire di solitudine. Non trovava il suo posto tra gli europei, aveva come la consapevolezza di essere una storia sé. E questo atteggiamento, Marko Lovec lo chiama la “sindrome di Greta Garbo”. La Slovenia, come la Garbo, negli anni non è mai riuscita a trovare partner che ritenesse alla sua altezza. Lubiana si è chiusa in un atteggiamento solitario, fiera della sua unicità, un po’ come quando l’attrice chiedeva di circondare i set con tendoni neri affinché nessuno la vedesse recitare. Ora Jansa sta cercando di trovare alla Slovenia degli amici, anche se siamo quasi certe di una cosa: a cena con un Viktor Orbán, Greta Garbo non ci sarebbe mai andata. 

(ha collaborato David Carretta)

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