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Dentro a Nord Stream 2 scorrono i tormenti europei

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Milleduecento chilometri di pressioni, necessità, paure, minacce e ricatti. Ecco il gasdotto che collega la Russia alla Germania, tappa per tappa

Questa storia inizia a Ust Luga, una città a nord della Russia, famosa per il suo porto che tra ferraglie e imbarcazioni si affaccia sul Mar Baltico. Ust Luga è soltanto la superficie, perché tutto, in realtà, inizia molto in profondità, dal ricchissimo sottosuolo russo, dove Dostoevskij mise le memorie di uno dei suoi personaggi, o chissà di se stesso, e dove ancora oggi scorre una delle risorse più preziose della Russia: il gas. A Ust Luga, vicino alla baia di Narva, divisa a metà tra la costa estone alta e rocciosa e quella russa bassa e sabbiosa, inizia il Nord Stream 2, il gasdotto della discordia europea, il tormento di Angela Merkel e della sua Germania, un punto di attrito tra Berlino e Washington lungo 1.200 chilometri. 

 
Il progetto è molto ambizioso e dopo il successo del Nord Stream, la Germania e la Russia hanno iniziato a trattare per raddoppiare la capacità del primo gasdotto e costruirne un altro, che gli passa affianco accarezzando il fondale del Baltico. Costo: 9,5 miliardi di euro. Metri cubi di gas in più: 55 miliardi l’anno. Nome: Nord Stream 2. L’idea del raddoppio è arrivata nel 2011, ma le compagnie che fanno parte della Nord Stream AG – dentro ci sono i russi di Gazprom, ma anche tedeschi, olandesi, austriaci, inglesi e in seguito si sono aggiunti anche francesi e norvegesi – sono riuscite a mettersi d’accordo per dare inizio alla costruzione quattro anni dopo. Il gasdotto  dipende  da uno dei vicini europei più controversi: la Russia di Vladimir Putin. Per questo dopo l’accordo tra le compagnie, otto governi dell’Ue si sono fatti avanti per dire che un nuovo progetto di quella portata con la Russia  non era affatto una buona idea. I Paesi baltici e la Polonia erano i più preoccupati e dalla loro parte c’erano gli Stati Uniti, per niente contenti che la Germania continuasse la sua politica di affari con il Cremlino. Tra trattative, frenate brusche dovute alle sanzioni – e anche alla riproduzione dei merluzzi che blocca il cantiere nei mesi estivi –  i lavori sono iniziati  e anzi con grande inquietudine da parte degli americani, vanno spediti. La scorsa settimana, dal palco del Forum economico di San Pietroburgo, Putin ha annunciato che la prima linea del gasdotto è stata completata. Ci si inoltra sempre di più nelle acque tedesche e la protagonista, la regina indiscussa di questo cantiere è la nave posatubi Fortuna, che l’Amministrazione Trump, a suon di sanzioni, ha tenuto ferma per un anno. La nave sarebbe in grado di posare un chilometro di tubi al giorno, ma finora non è mai andata tanto veloce, in media ne ha depositati 480 metri al giorno. Per questo al suo fianco è arrivata la Akademik Chersky e le due navi si sono mosse dalle acque russe, poi finlandesi, poi svedesi e poi danesi assieme a una corte di altre imbarcazioni, una dozzina, precedute, dove necessario, dalla rompighiaccio Yuri Topchev. Tutte imponenti, tutte russe, tutte sanzionate dagli americani. Tutte dirette verso la Germania.

 


Dalla baia di Narva fino a quella di Greifswald, il gasdotto percorre acque russe, finlandesi, svedesi, danesi e tedesche


 

La lettera. C’era il solito vento e il solito profumo di pesce appena fritto a Sassnitz l’estate scorsa quando è arrivata la lettera che minacciava “una guerra economica” ai danni di questa cittadina dell’isola tedesca di Rügen che s’affaccia sul Mar Baltico. Dietro al porto, c’erano impilati i tubi che servivano per completare la parte di Nord Stream 2 nelle acque della Germania, il punto d’arrivo del gasdotto. Tre senatori repubblicani americani  avevano scritto al sindaco di Sassnitz minacciando sanzioni “dirompenti” se non avesse fermato i lavori di Port Mukran, l’hub logistico per la costruzione di Nord Stream 2: allora c’erano ancora 150 chilometri di tubi da depositare, e la missiva era sembrata un’ingerenza inaccettabile in uno scontro che già aveva causato molti rallentamenti. La destinazione finale del gasdotto è la baia di Greifswald che sta poco distante e che è famosa per la sua acqua salmastra, più salata di quella dolce ma meno salata di quella di mare, un habitat naturale esclusivo. Da Greifswald partono altri rami del gasdotto che devono rifornire non soltanto la Germania ma anche altri paesi europei: queste linee sono già pronte e operative, se Nord Stream 2 dovesse essere bloccato ci sarebbero ripercussioni per tutti. La produzione di gas in Germania, Olanda, Danimarca e Regno Unito si è quasi dimezzata dal 2009 al 2019 e il sito olandese di Groningen smetterà di produrre del tutto nel 2022. Nell’Unione europea sta scendendo a ritmi più rapidi rispetto a quelli previsti dello studio che sta alla base della fattibilità (o forse dovremmo dire della necessità) di Nord Stream 2. La domanda di gas invece aumenta, anche se fluttua molto a seconda delle stagioni: la flessibilità necessaria per soddisfare il fabbisogno energetico europeo era garantita dalla produzione interna, ma ora che questa produzione è in calo, bisogna stare sul mercato che è dominato non soltanto dalla Russia, ma anche da Stati Uniti e Qatar, che conoscono bene le esigenze europee e che fanno leva come possono, cioè in sostanza sui prezzi. E’ anche per ridurre questa dipendenza che a Sassnitz i lavori non si sono fermati, anzi ove possibile sono andati più veloci: prima si finisce prima ci leviamo questo tormento. O forse no.

 
Un fatto compiuto. Pochi giorni fa il segretario di stato americano, Antony Blinken, ha detto che Nord Stream 2 è ormai “un fatto compiuto”. Durante l’audizione al Senato per la conferma del suo ruolo a gennaio, Blinken aveva detto che avrebbe fatto “tutto il necessario” per evitare che il progetto andasse a compimento, in perfetta continuità con l’Amministrazione Trump. Durante gli anni trumpiani, i modi bruschi e aggressivi della Casa Bianca avevano fatto inacidire tutti i rapporti: Trump arrivava dagli europei, gli gridava dietro, e facevano notizia gli urli. L’ex presidente americano aveva detto alla cancelliera tedesca, Angela Merkel, che lei faceva la paladina del mondo libero e intanto legava l’Ue mani e piedi alla Russia. Così per diciotto mesi i lavori di Nord Stream 2, tra sanzioni e pressioni, si erano molto rallentati. Non si sono mai di fatto fermati, ma hanno trasformato il gasdotto in un campo di battaglia – una battaglia che evidentemente la Merkel non voleva combattere. “E allora Nord Stream 2?” è diventato l’atto d’accusa nei confronti della cancelliera e della Germania in generale, la rappresentazione dell’egoismo tedesco o del suo interesse nazionale in collisione con quello europeo. Quando Alexei Navalny, l’oppositore di Vladimir Putin più famoso del mondo, è stato avvelenato la scorsa estate e la Germania ha insistito per poterlo ospitare e curare a Berlino, una delle minacce di ritorsione alla Russia è stata proprio: sospendiamo Nord Stream 2. Anche se di fatto ormai il gasdotto non si poteva fermare, o come dicono molti tedeschi: non era utile fermarlo. L’Amministrazione Biden si è accorta a tal punto del disagio della Merkel che, a sorpresa, qualche settimana fa ha deciso di sospendere le sanzioni ai manager che guidano la costruzione del gasdotto, cosa che ha fatto imbestialire anche molti deputati e senatori americani. Ma come? Il presidente Biden dice che Putin è un assassino e poi gli lascia costruire l’arma letale di ricatto contro l’Europa? I diplomatici americani dicono che la linea dura avrebbe avuto un impatto deleterio più sulla Germania che sulla Russia e che lo slogan di Biden “America is back” significa principalmente una cosa: gli alleati devono tornare ad avere fiducia in noi. Diplomazia a parte: è ovvio che, se l’America lascia correre su Nord Stream 2, vorrà qualcosa in cambio. 


Questo non è il momento. La Germania è in campagna elettorale, a settembre inizierà ufficialmente il post Merkel, che sarà una fase di transizione delicata per la Germania, per l’Europa e sì, anche per l’America. Questo vuol dire che per il momento vale la regola: non dateci troppi pensieri. Non che Nord Stream 2 non sia parte del dibattito elettorale, anzi: la candidata dei Verdi, Annalena Baerbock, è contraria al gasdotto e dice che, se dovesse vincere, ne rivedrà funzionamento e contratti. Le sue ragioni sono principalmente ambientaliste: l’utilizzo delle risorse energetiche tradizionali rallenta il processo di emancipazione “green” che deve essere concluso entro il 2050. Finché ci sarà il gas, non investiremo sulle fonti alternative, e questo è un problema di visione, dice la Baerbock. Poi c’è la questione valoriale: con questa Russia brutale e repressiva non si fanno affari. Ma la voce dei Verdi tedeschi è pressoché solitaria: molti nella Cdu della Merkel e nella sinistra dell’Spd (il partito che era al potere prima della Merkel, con l’ex cancelliere Gerhard Schröder, che ora guida dal lato russo, cioè Gazprom, proprio questi progetti di rifornimento dell’Ue) vogliono rivedere il funzionamento di Nord Stream 2, ma cercano di stare più vaghi possibili. Ieri il candidato socialdemocratico alla cancelleria e ministro delle Finanze, Olaf Scholz, ha detto a un incontro con i giornalisti: il gasdotto “è un progetto privato che dovrebbe contribuire a soddisfare una parte del fabbisogno di gas della Germania e dell’Europa. E’ un progetto economico e l’attenzione sulla presunta dipendenza della Germania dalla Russia è esagerata. In futuro aumenteranno le fonti alternative, tanto più che la Germania punta a essere carbon neutral dal 2045, ma oggi la Germania è contenta di qualsiasi contributo in più che c’è, quindi è meglio che sia completato”. Questo non è il momento, insomma, e comunque vale la distinzione che ci siamo messi a fare anche nei confronti della Cina: è l’economia, non è la politica. Solo che non è vero.

 


Per l’America è ormai un “fatto compiuto”, e così la pensa anche la Germania. Chi non si dà pace è l’Ucraina



  
L’ansia di Kiev. Chi non si dà pace è l’Ucraina. Che per anni è stata la porta d’accesso del gas russo in Europa e questa sua posizione da intermediaria è importante per la sua economia. A partire dal 2017, circa il 40 per cento della fornitura totale di gas in Europa è stata alimentata da società russe attraverso il suolo ucraino, con tasse di transito che forniscono a Kiev da 2 a 3 miliardi di euro l’anno. La paura di Kiev è che Nord Stream 2 consentirebbe di evitare l’Ucraina privandola così di entrate preziose, circa il 3 per cento del suo pil, e rendendola più insicura. La Germania cerca di dare delle rassicurazioni, la Merkel ha più volte detto che il gas dovrà continuare a passare anche per l’Ucraina ma la Russia ha già confermato che i volumi di gas che passano per il territorio di Kiev  potrebbero essere più che dimezzati. E c’è chi sostiene che il Nord Stream 2 per Mosca sia un affare doppio perché dà ai russi anche la possibilità di aumentare le pressioni militari su Kiev. Il gasdotto ucraino è anche una protezione per questo paese a cavallo tra est e ovest: se non serve più, che ne sarà di questa garanzia?

 

Le tensioni tra Ucraina e Russia sono sempre sul punto di esplodere ed è difficile che le parole della Merkel possano far stare tranquilla Kiev. Le relazioni tra le due nazioni sono tesissime e invadono ogni campo, sono arrivate anche agli Europei di calcio. La nazionale ucraina ha presentato la sua divisa. Maglietta e pantaloncini gialli con qualche tocco di blu e sul petto dei giocatori una mappa della nazione. Ma una mappa della nazione così come la vediamo noi, come la vedono gli ucraini e non come la vedono i russi. Sulla divisa Kiev non soltanto si è tenuta le repubbliche separatiste filorusse di Lugansk e Donetsk, ma si è ripresa anche la Crimea. La penisola che Mosca ha annesso nel 2014. Il Cremlino si è arrabbiato moltissimo, ma è la dimostrazione che l’Ucraina combatte come può,  cerca di tenersi il gas in transito,  i suoi territori, e soprattutto la nostra attenzione.

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