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Quanto si preoccupa l'Ue per la Macron fatigue

Paola Peduzzi e Micol Flammini

La sfida per le presidenziali del 2022 sembra pericolosamente simile a quella del 2017. Il bipolarismo  con Le Pen, la tortuosa via di mezzo e un libro

Anche in occasione del bicentenario della morte di Napoleone Bonaparte, il presidente francese Emmanuel Macron si è trovato a camminare nella strada di mezzo, “né rinnegare né pentirsi”, come disse quando, l’estate scorsa, criticò i manifestanti che buttavano giù statue di francesi coinvolti nella schiavitù. Lo ha fatto con il suo metodo, che è quello del moderato radicale: sembra una contraddizione e invece è il sogno di molti liberali, essere appassionati, determinati, convincenti senza essere estremi. La strada di mezzo è la via scelta dal macronismo: si fece larga nel 2017, quando Macron vinse le presidenziali con la sua formula “né di destra né di sinistra” che attirò fuoriusciti da entrambe le parti, e nel frattempo si è fatta un po’ più stretta, o meglio: più tortuosa. In Francia sicuramente, ma anche in Europa, ché Macron è il presidente che ha festeggiato l’investitura sulle note dell’Inno alla gioia europeo, che ha rilanciato in un discorso alla Sorbona del 2017 il progetto dell’Unione europea in termini di integrazione sociale e culturale, che sei mesi dopo ha ribadito davanti al Parlamento europeo: “Non voglio appartenere a una generazione di sonnambuli che ha dimenticato il proprio passato e i tormenti del proprio presente. Voglio appartenere a una generazione che avrà deciso di difendere la propria democrazia”. Macron ha voluto incarnare il Rinascimento europeo, posizionandosi come il successore di fatto di Angela Merkel e del liberalismo dell’Ue, e l’argine contro gli estremismi. Però la strada si è fatta complicata, e non soltanto perché la Francia ha dovuto affrontare crisi enormi, dalla rivolta dei gilet gialli alla rivolta per la riforma delle pensioni al professor Paty decapitato per strada da un islamista ceceno — fino alla pandemia, livellatrice globale di tutte le crisi. La dimostrazione di quanto sia tortuosa questa  strada di mezzo e di quanto la Francia sia ancora un fronte nella battaglia contro l’illiberalismo è che la sfida elettorale del 2022, quando Macron cercherà il suo secondo mandato proprio mentre il suo paese avrà la presidenza di turno dell’Unione europea, è pericolosamente uguale a quella del 2017: Emmanuel Macron vs Marine Le Pen. Manca ancora molto tempo e tutto può accadere, per esempio la destra gollista potrebbe dotarsi di un candidato credibile e così potrebbero fare le forze progressiste del Partito socialista e dei Verdi, ma in questi anni il macronismo non ha annientato il lepenismo, le due forze hanno pareggiato alle elezioni europee del 2019, e continuano a fronteggiarsi come se stessero in equilibrio. Perché? Abbiamo provato a indagare quella che alcuni chiamano la “Macron fatigue”.

 


Macron ha voluto incarnare il Rinascimento europeo, posizionandosi come il successore  di Angela Merkel


 

Il voto nelle regioni. A giugno si terranno in Francia le elezioni regionali che erano previste a marzo ma che sono state posticipate a causa della pandemia. Le dinamiche a livello locale sono diverse da quelle nazionali, ma il giornale della sinistra più radicale, Libération, ha pubblicato una prima pagina piuttosto significativa: Macron e Le Pen spolpano il partito della destra tradizionale, i Républicains, mangiandoselo voracemente, sporcandosi il bavaglio, e lasciando soltanto le ossa. L’intento del giornale di sinistra non è soltanto quello di sancire la fine del gollismo ma anche quello di denunciare che la prossima contesa elettorale sarà tutta a destra. O meglio: Macron è di destra. Come dicevamo, dare i Républicains per finiti è prematuro, soprattutto se un esponente progressista del calibro di Daniel Cohn-Bendit, un deluso dal macronismo, lancia la candidatura del gollista Michel Barnier, meglio noto in Europa come Mr Brexit. Poi c’è l’altro elemento dell’equazione: la sinistra appunto, che sta cercando un modo per riunirsi e anche per gestire la variabile verde, che in Francia come in Germania ha un peso sempre più rilevante nel definire le forze progressiste. Se davvero Macron è diventato di destra, a sinistra lo spazio dovrebbe essere grande, eppure anche qui ci sono delle difficoltà. Domenica si celebrano i quarant’anni dalla prima vittoria presidenziale di François Mitterrand e molti socialisti andranno a Le Creusot, città cara all’ex presidente, per ricordare e magari ritrovare lo spirito di allora. Tutti i nomi più importanti che vi vengono in mente ci saranno, ma il segretario del Partito socialista, Olivier Faure, che forse è il meno conosciuto ma è comunque il leader attuale, non ci sarà. La ragione dell’assenza dice molte cose sulle attese e le prospettive della gauche francese: Faure sarà a Parigi per partecipare alla Marcia per il clima e dice che al suo posto anche Mitterrand, dovendo scegliere tra storia e battaglie urgenti, avrebbe fatto come lui. Come dicono molti commentatori: nemmeno Mitterrand riesce più a creare, anche solo per un giorno, una sinistra unita.

 

Il presidente d’Europa. Quando Macron arrivò all’Eliseo con quella corsa inaspettata, quella freschezza rivoluzionaria, più che presidente, era l’appellativo di leader con cui i vari commentatori facevano precedere il suo nome. Il Time gli dedicò una copertina sognante, incoronandolo “Il prossimo leader d’Europa”, lasciando intendere che per la Merkel non c’era più spazio. Ci sarebbe stato eccome. Forbes invece lo elesse “Il leader del libero mercato”. Di attesa Macron ne ha creata tanta, di aspettative, di speranze e anche di antipatie. Lo scorso anno è uscito un libro scritto non da un europeo ma da un americano con un titolo in continuità con  la copertina del Time: “The last president of Europe”, L’ultimo presidente d’Europa. L’autore è William Drozdiak che ha avuto l’occasione di parlare a lungo con il presidente, e tra le pagine troviamo i resoconti delle loro chiacchierate. Drozdiak è stato per molti anni corrispondente dall’Europa per il Washington Post e quando gli abbiamo domandato quanto il Macron di oggi assomigli a quello del 2017, ci ha risposto: “Credo abbia perso forza ed entusiasmo, è difficile rimanere idealisti dopo anni di presidenza”. Macron è passato attraverso molte difficoltà. I gilet gialli che per ventitré settimane hanno messo a ferro e fuoco la Francia e che lui ha cercato di affrontare con i grand débat, maratone di dialogo con le maniche arrotolate in mezzo ai cittadini. Poi l’affaire Benalla, le prime dimissioni dei suoi ministri, la pandemia e gli ultimi attentati, il più grave: la decapitazione del professor Samuel Paty. Una presidenza complessa con tante riforme, tanti progetti e un’immagine della Francia, in Europa e nel mondo, che dopo l’immobilismo di François Hollande è sicuramente migliorata. Drozdiak ha intitolato il suo libro “The last president of Europe” perché crede che Macron sia l’ultimo leader rimasto a difendere la visione dell’Unione europea dei padri fondatori: anche se ora ha perso un po’ di quell’idealismo delle origini, la vocazione è rimasta. “Credo che in questi anni Macron abbia provato una forte delusione. Sperava che altri leader, come Angela Merkel, si unissero alla sua visione di un’Europa più dinamica e credo si sia sentito in parte vendicato quando la cancelliera non lo ha abbandonato nell’annunciare il grande piano di ripresa economica per salvare l’Europa”. Drozdiak ci ha raccontato di aver chiesto a Macron cosa lo avesse colpito di più delle dinamiche politiche e il presidente gli ha risposto: “L’odio, in politica ho trovato tanto odio”. Ed è difficile immaginare che la campagna elettorale che lo aspetta, ne sarà priva. Drozdiak crede che il presidente può  vincere ancora,  “ma molto dipenderà dal modo il cui Macron darà forma alla nuova normalità e alla ripresa post pandemia”.

 

La sicurezza secondo Macron.  La virata securitaria è iniziata dopo la decapitazione del professore di storia e geografia Samuel Paty, dramma che ha avuto l’effetto di una scossa per tutto il paese, ma soprattutto per l’inquilino dell’Eliseo. Il progetto di legge contro i separatismi presentato in autunno e la futura legge antiterrorismo delineata mercoledì scorso in Consiglio dei ministri rientrano in questa sterzata decisa da Macron per rispondere a una realtà sempre più drammatica. La gauche radicale di Jean-Luc Mélenchon, ma anche l’ala sinistra della République en marche, lo accusano di criptolepenismo, di non essere poi così diverso dalla sua principale rivale in vista del 2022. Ma secondo il giornalista politico del Figaro, François-Xavier Bourmaud, bisogna fare chiarezza sulle differenze d’approccio al tema della sicurezza tra Macron e Le Pen e anzitutto mettere in prospettiva la virata securitaria dell’attuale capo dello stato. “Il 18 aprile 2002, a pochi giorni dal primo turno delle elezioni presidenziali, un fatto di cronaca traumatizzò la Francia: un anziano venne aggredito brutalmente nella sua casa di Orléans. Fu il cosiddetto ‘affaire Paul Voise’, dal nome della vittima delle violenze. Il volto tumefatto di quell’anziano occupò le prime pagine dei giornali francesi e contribuì secondo molti alla sconfitta dell’allora candidato del Partito socialista Lionel Jospin e al passaggio al secondo turno del candidato del Front national Jean-Marie Le Pen. Cosa sta accadendo in Francia oggi? Dall’estate scorsa, assistiamo a un ‘affaire Paul Voise’ praticamente ogni settimana. Colpi di mortaio contro i commissariati, aggressioni ai danni dei poliziotti, bande di giovani che si danno appuntamento per picchiarsi a Parigi e in provincia, tutto ciò crea un clima estremamente ansiogeno che aiuta a comprendere il motivo per cui Macron ha intrapreso una virata così forte in materia securitaria”, ci ha detto Bourmaud. Secondo il giornalista del Figaro, “al lavoro sul campo di Macron per rispondere all’insicurezza, la Le Pen oppone parole e discorsi che puntano a scioccare i francesi e che hanno un impatto più forte dal punto di vista emotivo. Per Macron sarà complicato avere la meglio in questo braccio di ferro. Tuttavia ciò che può fare è non lasciarle il monopolio, spiegare agli elettori da un punto di vista razionale il motivo delle sue scelte sulla sicurezza e sperare di minimizzare i danni”.

 


La sinistra lo accusa di criptolepenismo ma sulla sicurezza Macron lavora, Le Pen fa discorsi  per  scioccare i francesi


 

Il piano europeo. Che Macron si sia posto come presidente dell’Europa oltre che della Francia non lo ha mai nascosto e nella costruzione del futuro del progetto europeo ha cercato di dare il meglio di sé e della Francia. Ha spinto verso un’Europa sempre più sovrana, ha rispolverato termini che non sono piaciuti a tutti, come autonomia strategica, e come ci detto Drozdiak, “è ambizioso e ostinato” e le sue idee non le molla con la facilità. Era pronto a raccogliere il testimone di Merkel, quando la cancelliera lascerà la politica, ma è arrivato Mario Draghi, più esperto, più autorevole, con il quale pare vada d’accordo, anche se secondo qualche pettegolezzo brussellese il presidente del Consiglio italiano gli ha scombinato i piani e a Macron un po’ è dispiaciuto. Finora ha dato contributi importanti in Europa, fosse soltanto per aver proposto come commissario Thierry Breton, che in realtà è stato la sua seconda scelta, ma al quale si deve l’accelerazione della campagna di vaccinazione europea: è a capo della task force per aumentare la produzione dei vaccini. Ma il massimo ci si aspetta che arriverà quando la Francia assumerà la presidenza del Consiglio dell’Ue, a gennaio del prossimo anno, quando ci sarà la campagna elettorale per le presidenziali. Le attese, ancora una volta, in Europa sono tante. Le supera soltanto una cosa: la paura dello spettro Le Pen, che dopo questa fase di unità ritrovata, di populismi ammansiti, l’Ue sperava di poter dimenticare.
   

Oggi esce in Francia “Emmanuel Macron, Vérités et légendes”. Un libro di Arthur Berdah che, come suggerisce il titolo, parla del presidente  ma non c’entra l’Europa, non c’entra la Francia, non c’entra la politica: c’entra Brigitte, sua moglie. Le anticipazioni dicono che è un libro pieno di dichiarazioni d’amore bellissime, in cui stranamente, Macron parla della sua vita privata, di quell’innamoramento chiacchieratissimo che lo portò a sposare la sua insegnante di venticinque anni più  di lui. Pare che quando lei finì la sua prima lezione con la classe del futuro presidente, tornò a casa e disse a quello che all’epoca era suo marito: “In classe c’è uno studente nuovo, sa tutto di tutto, prende sempre la parola: è pazzo!”.

(ha collaborato Mauro Zanon) 


 

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