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EuPorn-Il lato sexy dell'Europa

Merkel e Draghi, la special relationship dell’Ue

Paola Peduzzi e Micol Flammini

La cancelliera tedesca e l’ex banchiere hanno costruito, cena dopo cena, una casa europeista che in Germania ha fatto storcere molti nasi

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C’è da tempo molta sintonia tra Angela Merkel e Mario Draghi, e siccome non è stata un’alleanza facile e ben accolta, molti a Berlino hanno trovato la formula della pace: l’ex presidente della Bce è il più tedesco degli italiani, per questo gode di tanto credito. A molti, soprattutto nel mondo conservatore e ancora più in là, in quell’Alternative für Deutschland che partiva ultrarigorista sui conti ed è poi approdata al nero della xenofobia – a molti la formula non pare affatto riuscita, perché di tedesco  Draghi al più ha la sua immagine sobria, disciplinata e frugale, non certo le idee. Ma negli ultimi quindici anni il mondo conservatore tedesco ha avuto come guida – madre, matrigna, padrona – Angela Merkel che ha visto nel mandato europeo di Draghi una convergenza con la propria idea di Europa, una sintonia magari non su tutti i dettagli ma certo sulla visione. “Wir schaffen das” e “whatever it takes” sono gli slogan di questa convergenza, di questa special relationship tutta europea tra la cancelliera tedesca e il probabile prossimo presidente del Consiglio italiano. Andando a scoprire il carattere, i legami, le convinzioni del nostro Mr Europe, in Germania si ritrovano le poche increspature di un’immagine altrimenti molto liscia: qui in Germania ci sono stati gli scontri di potere e ideologici più accesi, riassumibili nei denti da vampiro con cui ancora oggi molti definiscono il “Graf Draghila”, il conte Dracula. Qui ci sono anche i Manfred Weber, il bavarese capogruppo del Partito popolare europeo, che al Financial Times dice che l’arrivo di Draghi in Italia è una bella notizia, ma che ora l’Italia deve fare i suoi compiti. Qui ci sono i conservatori che annusano l’aria di fine regno merkeliano e un po’ sperano di poter recuperare quell’autonomia che la Merkel ha levato, sostituendola con una visione europea complessiva in cui i “whatever it  takes” andavano protetti dai più falchi. Siamo andate a curiosare in questa special relationship, nei sorrisi e nelle crepe, e abbiamo trovato quel che vuol dire “più Europa” per lei, per lui, e per loro due insieme. 

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C’è da tempo molta sintonia tra Angela Merkel e Mario Draghi, e siccome non è stata un’alleanza facile e ben accolta, molti a Berlino hanno trovato la formula della pace: l’ex presidente della Bce è il più tedesco degli italiani, per questo gode di tanto credito. A molti, soprattutto nel mondo conservatore e ancora più in là, in quell’Alternative für Deutschland che partiva ultrarigorista sui conti ed è poi approdata al nero della xenofobia – a molti la formula non pare affatto riuscita, perché di tedesco  Draghi al più ha la sua immagine sobria, disciplinata e frugale, non certo le idee. Ma negli ultimi quindici anni il mondo conservatore tedesco ha avuto come guida – madre, matrigna, padrona – Angela Merkel che ha visto nel mandato europeo di Draghi una convergenza con la propria idea di Europa, una sintonia magari non su tutti i dettagli ma certo sulla visione. “Wir schaffen das” e “whatever it takes” sono gli slogan di questa convergenza, di questa special relationship tutta europea tra la cancelliera tedesca e il probabile prossimo presidente del Consiglio italiano. Andando a scoprire il carattere, i legami, le convinzioni del nostro Mr Europe, in Germania si ritrovano le poche increspature di un’immagine altrimenti molto liscia: qui in Germania ci sono stati gli scontri di potere e ideologici più accesi, riassumibili nei denti da vampiro con cui ancora oggi molti definiscono il “Graf Draghila”, il conte Dracula. Qui ci sono anche i Manfred Weber, il bavarese capogruppo del Partito popolare europeo, che al Financial Times dice che l’arrivo di Draghi in Italia è una bella notizia, ma che ora l’Italia deve fare i suoi compiti. Qui ci sono i conservatori che annusano l’aria di fine regno merkeliano e un po’ sperano di poter recuperare quell’autonomia che la Merkel ha levato, sostituendola con una visione europea complessiva in cui i “whatever it  takes” andavano protetti dai più falchi. Siamo andate a curiosare in questa special relationship, nei sorrisi e nelle crepe, e abbiamo trovato quel che vuol dire “più Europa” per lei, per lui, e per loro due insieme. 

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La cancelliera tedesca e l’ex banchiere hanno costruito, cena dopo cena, una casa europeista che in Germania ha fatto storcere molti nasi


 

La relazione speciale. Le scelte, Angela Merkel, le prende con attenzione. Spesso, per scegliere, impiega tempo, ma una volta presa una decisione è pronta a difenderla, combatte, le rimane fedele. Così è successo con tutto e anche con la decisione di sostenere la candidatura di Mario Draghi come presidente della Bce. Matthew Karnitschnig è la voce di Politico da Berlino e ci ha detto che prima dell’arrivo di Draghi a Francoforte, ma anche durante il suo mandato, le critiche sono state tante, soprattutto da parte degli economisti conservatori vecchia scuola, “c’è stata molta contrarietà per esempio nei confronti del programma di acquisto dei titoli di stato, ma la Merkel ha difeso il programma, nonostante sapesse quanto molti conservatori tedeschi fossero contrari”. La storia tra Draghi e la Germania è complessa e accidentata, non aveva molto sostegno, ma è stato bravo a scegliere i suoi interlocutori, soprattutto ha avuto una guida singolare, interpretata proprio dalla cancelliera. “Durante la crisi greca c’era molta paura del contagio e in quel periodo Merkel e Draghi hanno collaborato e instaurato un rapporto lavorativo strettissimo. Molto più di quello che si pensi. Io – ci dice il giornalista – non ricordo che un cancelliere tedesco e il presidente della Bce abbiamo avuto mai  un rapporto così regolare. Non è stato così prima di Draghi né ora con Lagarde”. Era la situazione eccezionale a renderlo così assiduo. Lui andava spesso a Berlino a cenare con lei, e il sostegno di Merkel è stato cruciale, lei ha deciso di ascoltare lui anziché tanti esponenti della sua Cdu, come Wolfgang Schäuble, e ha creduto nella strada tracciata da Draghi. “Senza il sostegno della cancelliera non avrebbe potuto portare avanti le sue politiche e probabilmente prima di dire quel whatever it takes ne aveva già discusso con la Merkel”. Il perché di tanta fiducia, fiducia che gran parte della nazione non accordava a Draghi, viene dal suo background, ci dice Karnitschnig, dalla passione della cancelliera per la competenza. “Lei non è esperta in economia e per questo ha molta fiducia nelle competenze di Draghi, nel suo curriculum da vero economista”. Oggi Christine Lagarde non è un’economista e neppure Jean-Claude Trichet lo era. “Credo che se al posto di Draghi ci fosse stato un presidente con meno competenze economiche, la fiducia di Merkel non sarebbe stata allo stesso livello. Nelle mani di Draghi, la cancelliera credeva che l’euro fosse al sicuro”. 

 

Weidmann, la prima crepa. Gli otto anni di Draghi alla Bce sono fatti di rapporti tesi, di spiegazioni, perché anche lui, come Merkel, è uno che spiega, che ragiona, che decide e difende le sue decisioni. Se il suo rapporto con la cancelliera è stato un tutt’uno di cene tra Berlino e Francoforte, di fiducia e discussioni, il rapporto con la Bundesbank è stato invece difficilissimo ed è una dinamica interessante, perché a opporsi a tante delle politiche di Draghi era soprattutto Jens Weidmann, che prima di diventare governatore della banca centrale tedesca era il principale consigliere economico della cancelliera “e in quel ruolo era molto aperto alle misure emergenziali, le condivideva – ci dice il giornalista tedesco due volte candidato al Pulitzer – poi, da capo della Bundesbank nel bel mezzo della crisi è diventato più ideologico e rigoroso”, più simile a quegli economisti conservatori vecchia scuola che si opponevano alla nomina di Draghi. Quindi, se dietro al sì della Merkel alla presidenza di Draghi c’era Weidmann, Weidmann è poi diventato il contestatore più accanito delle politiche di Draghi. “Comunque, l’ex presidente della Bce godeva del sostegno della cancelliera, dell’Spd e di alcuni partiti dell’opposizione, bastava, nonostante Weidmann”. Dopo il secondo mandato di Draghi, Weidmann era tra i più in vista per la sua successione, ma la Merkel non l’ha sostenuto apertamente e a pesare su Weidmann era proprio il suo antidraghismo. Posizione che ha provato a correggere, ha rilasciato molte interviste   per dimostrare di essere cambiato, che da capo della Bce avrebbe abbandonato il rigore difeso  da capo della Bundesbank. Per dimostrarlo una volta disse anche che lui era un po’ come Thomas Becket, nominato arcivescovo di Canterbury e primate d’Inghilterra da Enrico II con la missione di rendere la chiesa meno potente, ma poi finito per diventare un difensore accanito dell’istituzione ecclesiastica, quindi della Bce. Non è bastato e soprattutto Weidmann non aveva quello che Draghi aveva all’inizio del suo mandato: il sostegno di Merkel.

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La Bild, la seconda crepa. Una bussola per capire il sentimento dei tedeschi nei confronti di Draghi sono le copertine della Bild. L’inizio è stato: tutto, ma non un italiano alla Bce. Poi: è  proprio tedesco, addirittura prussiano. La fine: è  il vampiro dei nostri conti correnti. Quando nel 2010 la candidatura di Mario Draghi alla presidenza della Bce si consolida, la Bild lo boccia. Anche perché i tedeschi avevano il loro candidato, Axel Weber, l’allora governatore della Bundesbank. “E noi lo sostenevamo”,  ci ricorda Ralf Schuler, coordinatore dei corrispondenti parlamentari della Bild, nostra guida tra le copertine del tabloid. “Eravamo preoccupati per la politica fiscale italiana e avremmo certo preferito che il presidente della Bce fosse un po’ più tedesco”. A inizio 2011 Alex Weber lascia a sorpresa la BuBa e la corsa verso Francoforte – l’aveva fatto perché le politiche della Bce di Trichet gli sembravano poco ortodosse –  Draghi espugna l’Eurotower e la Bild non protesta. Nel 2011  gli regala un elmetto prussiano, il Pickelhaube: “A guardarlo meglio è abbastanza tedesco, anzi prussiano”. E giù una serie di complimenti: è “un austero e un risoluto” con hobby “di basso profilo” come le passeggiate in montagna, “ha i piedi per terra”, è gradito al ministro delle Finanze Peer Steinbruck e “veste abiti eleganti di taglio inglese”. Questo innamoramento non dura molto e da condottiero prussiano, Draghi diventa il conte Draghila. Nel 2019 il banchiere  viene ritratto con due lunghi canini da vampiro. Titolo: “Così il conte Draghila ci svuota i conti correnti”. “La sua politica di tassi negativi colpirà i piccoli risparmiatori”, sintetizza Schuler. Certo, riconosce lo stesso giornalista, l’abbassamento del costo del denaro ha anche aiutato gli investitori e lo stato tedesco. 

 

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Il paradosso Weidmann e un viaggio tra le copertine della Bild dove Draghi si è trasformato da condottiero a vampiro


 

Il ritorno dei falchi. La coppia Merkel-Draghi è stata il lancio di una stagione importante per l’Europa, e adesso che Merkel è alla fine della sua carriera da cancelliera, la solidarietà post pandemia si attenua e il Recovery è anche un richiamo al rigore, sembra quasi di sentirli tornare, i falchi che si rallegrano con l’Italia per l’arrivo di Mario Draghi e le ricordano che è tempo di fare le riforme. Quando Draghi era arrivato a Francoforte, lo scetticismo deriva dalla sua italianità, ma anche dalla sua americanità: “C’era quel legame con Goldman Sachs che ai tedeschi non piaceva molto”, ci dice Matthew Karnitschnig. Ma la cancelliera si è fidata e ne è venuta fuori l’Europa che è capace di misure storiche per tirare tutti fuori da una crisi sanitaria ed  economica. Per Karnitschnig il merkelismo non finirà con Merkel, anzi, è ormai la postura che la Germania sa di dover adottare, perché le conviene. “La Germania e l’Ue sono così legate che  i loro interessi non  possono essere  separati, molti tedeschi dicono che stanno spendendo soldi per il sud Europa, che non conviene. E questo è un argomento che viene tirato fuori anche quando un partito è all’opposizione, ma la Germania è il beneficiario più grande dell’integrazione europea. L’euro ha fatto benissimo all’economia tedesca, il mercato unico anche, sono cose che le persone magari non capiscono ma chi arriva al potere lo sa”. Si può giocare a fare i falchi, anche dentro a questa nuova Cdu che però ha  votato contro Friedrich Merz al congresso del partito e un segnale l’ha già mandato: ha scelto il candidato più merkeliano, Armin Laschet. “La cancelliera si è fatta promotrice del Recovery perché ha capito che in Ue stava montando un sentimento euroscettico, soprattutto in Italia, che con la pandemia poteva aumentare e se si lasciavano peggiorare le cose sarebbe venuto giù tutto. Proteggere l’Ue è proteggere la Germania. I soldi spesi sono un investimento”. E’ facile essere falchi quando non si decide, ma poi, quando si è al potere bisogna affrontare la realtà e al modello Merkel a Berlino oggi non si vedono alternative.      

 

Dal passaggio da Draghi a Draghila, la Bild chiese indietro l’elmetto prussiano. Il banchiere disse che che geschenkt ist geschenkt, un regalo è un regalo, non si restituisce nulla. Chissà dov’è oggi quell’elmetto, se nel cassetto dei ricordi o pronto all’uso: oggi potrebbe essergli utile. 
   

(ha collaborato Daniel Mosseri da Berlino)

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